12 novembre 2014

MILANO: GRATTACIELI E NUOVE ARCHITETTURE


Aver finalmente liberato lo skyline di Milano dalla servitù di non superare l’altezza della Madonnina e aver consentito la realizzazione di quella – tutto sommato abbastanza piccola – downtown di Porta Volta, ha sicuramente arricchito la città, togliendo ben poco alla sua identità e al suo carattere squisitamente ambrosiano. Dunque benvenuti i grattacieli, non è per colpa loro se monta il malcontento per il recente degrado della qualità urbana.

12viola39FBA Milano purtroppo manca un dibattito vero sull’architettura e sul disegno urbano: c’è l’Urban Center, ci sono i Consigli di Zona, pullulano le riviste di architettura, ma non esiste un luogo dove si discuta regolarmente e concretamente dei progetti importanti quando si è ancora in tempo per raddrizzarli o per ricusarli. Non voglio assumere il ruolo di critico e giudicare le opere di architettura che stanno modificando il volto della città, mi pongo invece come umile portavoce di una opinione diffusissima non tanto fra progettisti quanto fra persone di buona cultura che hanno viaggiato e che amano l’architettura come si ama la letteratura e la musica senza essere letterati o musicisti. Persone che, lungi da ogni forma di “qualunquismo” nei confronti dell’architettura, amano la loro città, ne conoscono la storia e i segreti, hanno voglia e pazienza per andare a vedere le cose nuove e farsene un’idea scevra da pregiudizi.

Ho passato con loro diverse domeniche a girare fra i nuovi quartieri di Porta Volta e della ex-Fiera al Portello, a visitare qualche nuovo intervento come i due grandi e tremendi “sarcofagi” dell’Expo di largo Cairoli. Confesso di averne tratto – in ottima e nutrita compagnia – conclusioni veramente sconfortanti. Non si può essere cresciuti vedendo sorgere le architetture di Ponti, Muzio, Albini, Gardella, Rogers e degli architetti della generazione immediatamente successiva (qualcuno piaceva di più, altri di meno, ma veniva loro riconosciuta quasi sempre una sostanziale dignità) senza aver sentito i primi scricchiolii, qualche anno fa, quando a Milano ogni nuovo edificio importante suscitava perplessità e raccoglieva più critiche che consensi; come il quartiere della Bicocca e il Teatro degli Arcimboldi, o le torri che si incontrano sulla sinistra arrivando dalle autostrade nord (i due ditoni alzati che anticipano quello di Cattelan alla Borsa e quella con sproporzionate tettoie tutte curve) o le cosiddette anonime “torri di Ligresti” che – tutte uguali – sono diventate una sorta di Landmark della città.

Poi sono arrivate le celebrità (se ci fosse un Dio vorrei che stramaledisse chi ha inventato la parola archistar, causa dei peggiori mali) e ci si chiede quanti milanesi apprezzino le residenze sorte intorno a Piazza Giulio Cesare, a destra e a sinistra rispetto al vuoto urbano destinato a riempirsi con i tre famosi grattacieli (il primo di essi, ancora al rustico ma da poco giunto al tetto, con quei due bastoni che lo reggono da un lato come fossero un’opera provvisionale o aggiunti dopo, per reggere un edificio già pericolante …). Per non dire di quella “cometa” posta profeticamente a protezione del nuovo Centro Congressi, o di quel “timpano” da giganti che conclude la Fiera-City verso le autostrade.

Da poche settimane si può passeggiare – e raccomanderei di farlo – per la nuova piazza antistante il timpano, intitolata a Gino Valle: è allucinante, nel senso che provoca non solo allucinazioni da horror vacui ma anche incubi, che incutono gli edifici da cui è circondata (non offrono nulla che la facciano assomigliare e usare come una piazza). Da lì si imbocca una passerella che permette di superare il fiume di automobili di Viale Renato Serra e di infilarsi nei nuovi quartieri dell’ex Alfa Romeo raggiungendo Piazzale Accursio attraverso un grande centro commerciale. Anche qui, usciti dalla passerella, il nuovo giardino che si incontra a sinistra, con quella montagnola che fa l’occhiolino al Monte Stella, tutto fa venire in mente tranne la voglia di inerpicarvisi.

Le residenze, dietro gli uffici, affacciano su strade che vorrebbero essere “urbane” ma in realtà sono non-strade (non ci passa nessuno, non c’è un’edicola, un negozio, un bambino che giochi) e alcuni edifici sembreranno sempre in via di ultimazione per via di quelle strutture in cemento armato che salgono ossessivamente ben oltre l’ultimo piano; hanno più l’aspetto di seconde case da lungomare in inverno che non abitazioni di una città viva e pulsante come vorremmo che fosse Milano.

La immensa Piazza Valle è anche in salita, per chi provenga dal centro della città o dalla nuova stazione della metropolitana, sicché anziché “scendere in piazza” lì si “sale alla piazza” che, essendo fortemente inclinata, non consente di giocare a bocce o alla pétanque, non si possono far correre i bambini in bicicletta, tanto meno mettervi delle bancarelle come suggeriva Marco Romano tempo fa su queste colonne. Non parliamo poi di quella immensa tettoia, che protegge le uscite dal parcheggio interrato, che fa rimpiangere la più brutta delle fontane e il più triste dei monumenti con cui abbiamo da sempre adornato le nostre piazze. E pensare che tutto questo complesso della ex-Fiera ed ex-Portello è stato concepito come uno dei “raggi verdi” (quello in direzione dell’Expo e della nuova Fiera di Rho) che dovrebbero strutturare la cosiddetta viabilità dolce – pedonale e ciclabile – e disintossicare la città. Staremo a vedere quando sarà ultimato, ma temo che il raggio risulterà più grigio che verde.

Passiamo a Porta Volta che, insieme alla sede poco distante della Regione Lombardia, si propone come il nuovo downtown di Milano. Gli americani, che li hanno inventati, sanno che i grattacieli al piano terreno, e magari anche al primo e al secondo piano, devono contenere funzioni ed esercizi pubblici, negozi, bar, ristoranti, e che uffici e residenze devono essere collocate al di sopra dei primi livelli; noi non lo abbiamo ancora imparato e così i nostri grattacieli arrivano a terra con i loro uffici, le portinerie, le immancabili agenzie bancarie, senza offrire alcun contributo alla vivacità della strada e della città (e quando prevedono un bar o un ristorante sembra malamente adattato al posto di un ufficio). Poi provate quel triste percorso che da via Fabio Filzi, passando dietro ai nuovi grattacieli (sembra fatto per farvi passeggiare i cani) “sale” alla piazza Aulenti dove scoprirete di aver raggiunto una acropoli anziché una piazza: ci siamo dimenticati che la piazza, topos tipicamente italiano, è tanto più bella quanto più è chiusa (Piazza San Marco, Piazza Navona, la piazza di Vigevano) e concava (Piazza del Campo, Piazza del Popolo), mentre questa è in cima a un colle (artificiale, ovviamente), nasce chiusa ma fa di tutto per aprirsi verso il giardino che verrà e verso la stazione Garibaldi, con una orrenda pensilina. Per fortuna c’è quel bell’edificio con l’alta guglia visibile da tutta la città (ma quanto sarebbe stato meglio non avervi messo in cima il nome della banca proprietaria!).

Insomma, che succede a Milano? Non credo che si possano dire le stesse cose di Berlino, di Parigi, di Londra; siamo più vicini a Mosca o a Dubai. Credo piuttosto che sia cambiato il modo con cui viene “usata” l’architettura, strumento di marketing immobiliare o, come nel caso della Regione, di banale promozione del potere; non si dica è stato sempre così perché, anche se vere, quelle intenzioni erano temperate dalla volontà di onorare e rispettare la città. Siamo pieni di bravissimi architetti, spesso sono brave persino le archistar (che è tutto dire), ma non siamo più capaci di produrre buona architettura e luoghi in grado di esprimere autentica magnificenza civile. Sappiamo che un’opera di architettura ha un padre e una madre, progettista e committente (ma oggi ha un terzo genitore, non meno invadente, che è la burocrazia). Chi dei tre sarà l’assassino?

 

Paolo Viola



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