5 novembre 2014

LA FINANZIARIA DI RENZI: CAMBIO DI VERSO O GIRO DI VALZER?


La finanziaria di Renzi contiene cose di buon senso, qualche utile correzione, qualche nuovo errore ma è sostanzialmente in linea con tutte le ultime finanziarie. È nettamente migliore dal punto di vista della comunicazione politica, basta leggere i titoli dei diversi articoli: quelli che sono indiziati di portare novità e beneficio sono chiarissimi, tipo “Bonus 80 euro alle famiglie”, “taglio Irap” ecc., mentre quelli relativi alle coperture riprendono il linguaggio esoterico della legislazione italiana degli ultimi quaranta anni, parole e rinvii ad articoli di altre leggi, deleghe etc.

02dalfonso38FBQuello che manca è il “cambio di verso” di politica economica. Siamo sempre sul piano dei rapporti di forza, delle relazioni interpersonali, della serie “Me le hanno date, ma gliene ho dette” in particolare con riguardo ai veri decisori sulla politica economica del nostro continente, la signora Merkel in primis.

Pretendere che la storia sia maestra di vita è demodé, ma qualcosa ogni tanto occorrerebbe ricordarsi. La somma attuale dei debiti del pianeta è sette o forse nove volte il Pil planetario annuale. Nella storia non si è mai rimborsato un tale debito senza un evento straordinario come una guerra e pensare di fare “piani di rientro dal debito” con tagli alla spesa pubblica di quelle dimensioni serve solo ad alimentare la spirale risparmio – credit crunch – caduta investimenti che innescano tutte le Depressioni economiche conosciute, dal 1929 fino a oggi. Debiti molto elevati come quello dell’Italia e non solo sono sostenibili esclusivamente con una crescita spinta e un tasso di inflazione elevato.

Anche i sassi sanno che in un periodo di depressione tagliare la spesa pubblica ha un effetto recessivo moltiplicatore. Gli stessi sassi sanno che in situazione di depressione occorre alzare le tasse sui redditi alti e sui patrimoni, non tagliarle indiscriminatamente, diversamente sarà l’effetto rendita feudale, i ricchi sempre più ricchi, la scomparsa del ceto medio e l’aumento della povertà generale.

In Italia non mancano affatto le risorse, nemmeno quelle finanziarie: la ricchezza mobile su conti correnti, fondi, assicurazioni ecc. è di oltre 1500 miliardi di euro. Si è interrotto il circuito che insegnavano al primo anno di economia, il passaggio di risorse tra famiglie – banche – imprese, con i soldi che non arrivano alle imprese non tanto per colpa delle banche ma in quanto le imprese in un clima di poca fiducia e alte tasse sul reddito non investono, le famiglie aumentano la propensione al risparmio e le banche investono in carta-finanza, oltretutto tassata per meno di un terzo rispetto alla produzione e il lavoro.

Gli economisti liberisti alla Giavazzi o Rogoff e Reinhart basano le loro teorie su tabelle Excel con un errore di formula (fatto vero, non inventato) e invece di essere presi a pedate continuano a essere gli ispiratori di questa demenziale politica della “austerità”. Come fece Herbert Hoover nel 1929 si applicano formule (taglio tasse e taglio spesa pubblica) che portarono alla grande depressione del 1931, risultati che si sono ripetuti sempre in ogni loro applicazione. Valga per tutti l’esempio dei danni fatti dal Fmi tra la fine del Novecento e il 2011 con i paesi in via di sviluppo: pensando di estendere la cosiddetta ricetta dei Chicago Boys che aveva dato “risultati” con il Cile di Pinochet hanno distrutto economie in tentativo di sviluppo per decenni, fino a che la Cina (essenzialmente) con il proprio piano di investimenti e soprattutto la necessità di materie prime non li ha sottratti alla nefasta influenza di gente che non si era mai mossa da Washington e decideva dei destini del mondo.

Tutto questo per dire che in un periodo come questo è privo di senso mettere soldi in tasca al “privato” che non ha fiducia e non investe. Per ricostruire questo clima l’unica via è un grande piano di investimenti pubblici, che inevitabilmente viene finanziato a debito e inflazione, che deve far ripartire la “macchina”, esattamente come successe nel dopoguerra .

Le nuove infrastrutture e i nuovi investimenti riguardano il risanamento ambientale, idrogeologico, il recupero del patrimonio edilizio esistente, il trasporto su ferro (qualcuno dovrà dirlo a Maroni che pensa sempre alle Autostrade come Brebemi). Occorre farlo prima che si disperda la risorsa principale di cui disponiamo in Italia, la cultura delle arti e dei mestieri. E la dimensione di investimento non è quella dei Piani Marshall nazionali, ma è quella dei territori, quella “locale” che sviluppa le tendenze esistenti e non ne inventa di nuove.

È del tutto evidente, che, ancora una volta, il segnale e la guida del cambiamento in Italia non può che venire da Milano e da quella che è ancora una delle prime cinque aree economicamente più forti d’Europa. Rivendicare questo ruolo non è segno di arroganza o presunzione, ma al contrario è segnalare una precisa presa di responsabilità da parte di una comunità che ha sempre fatto da locomotiva per il treno del progresso italiano.

La formulazione di un nuovo patto istituzionale che veda riconosciuta una specificità e un ruolo di guida delle città metropolitane potrà avvenire solo se Milano tutta si metterà alla testa un movimento politico, culturale e sociale che ancora una volta funzioni da riferimento per l’intero paese.

Mi chiedo se Renzi e Pisapia non possano trovare un’intesa concreta proprio nel costruire le condizioni perché Milano possa essere la locomotiva di testa della nuova fase di sviluppo per l’intero paese. Un’intesa politica che varrebbe mille volte di più di qualsiasi altra cosa.

Franco D’Alfonso



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