29 ottobre 2014

PIAZZA SANT’AMBROGIO: UN RIDISEGNO CHE NON CONVINCE


Si prova sollievo a rivederla di nuovo sgombra, senza il cantiere che da molto tempo ne ostruiva la vista e il passaggio. Ed è piacevole ritornarci proprio in una di quelle mattinate grigie che rendono Milano d’autunno così bella agli occhi di chi l’ama o almeno ne apprezza il fascino discreto. È piazza Sant’Ambrogio, restituita ai cittadini quest’estate dopo anni di lavori preceduti e accompagnati da polemiche, appelli e comprensibili proteste sull’utilità e l’opportunità di un parcheggio interrato – di cinque piani per quasi seicento auto – proprio lì, accanto alle fondamenta di uno dei monumenti simbolo della città e della cristianità ambrosiana. Oggi che la barbarie di quello scavo è alle spalle, quella che si presenta ai nostri occhi è una piazza storica rinnovata con intenzionale sobrietà, senza quelle inutili stravaganze a cui gli architetti talvolta si lasciano andare più per soddisfare il proprio ego che per altro.

08riboldazzi37FBIl linguaggio austero della basilica dove riposa il patrono di Milano e, più probabilmente, il timore di un rinfocolarsi del dissenso sull’autosilo devono aver suggerito una soluzione priva di eccessi che tra i suoi elementi essenziali annovera: un nuovo filare di alberi – di cui evidentemente si comprenderà appieno l’impatto visivo solo tra qualche anno quando le fronde avranno raggiunto una certa dimensione – che raddoppia quello esistente e segue diligentemente la lunga cortina edilizia che definisce il lato ovest della piazza; un’unica rampa di accesso al parcheggio collocata laggiù, lontano dal sagrato di Sant’Ambrogio, dove sbucano via Terraggio e via Sant’Agnese raccordate da un’immancabile rotonda; un blocco scale e ascensori – anch’esso di servizio al parcheggio sotterraneo e sistemato dove piazza Sant’Ambrogio piega verso largo Gemelli – che, pur non rappresentando il contrappunto ideale per il monumento ai Caduti o per l’ingresso dell’Università Cattolica che si staglia sul fondale di quel ramo della piazza, pare non voler imporre più di tanto la propria presenza; e poi cordoli e muretti in pietra; siepi ben curate e belle panchine, semplici nella loro fattura a doghe orizzontali di legno.

Il ridisegno di piazza Sant’Ambrogio pare essere frutto della ricerca di un qualche tipo di misura eppure, nell’insieme, questa soluzione non convince affatto. Non convince prima di tutto il parcheggio sotterraneo o meglio ciò che di ogni parcheggio sotterraneo affiora immancabilmente in superficie: se, cioè, è vero che la rampa e il blocco scale appaiono piuttosto defilati rispetto alla basilica – e dunque relativamente poco impattanti sul monumento – è altrettanto vero che la lunghissima grata di aerazione che accompagna tutto il marciapiede a fianco della basilica stessa toglie ogni argomentazione a chi continua a sostenere – in virtù di presunte capacità mimetiche – la correttezza di questo tipo di interventi in contesti così delicati.

Ma soprattutto non convince l’eccessiva frammentazione dello spazio riqualificato – ammesso che di riqualificazione si possa parlare – il cui assetto appare viziato proprio dalla struttura sottostante: la grata di aerazione ha reso necessaria la realizzazione di un’aiuola di bosso (altrettanto lunga) per nasconderla almeno un po’ alla vista; a questa si è affiancato un tracciato pedonale rettilineo (in calcestre come fosse nel bel mezzo di un parco) che a sua volta è stato delimitato da un’altra aiuola (speculare alla prima) che lo separa da un ultimo percorso dedicato al passaggio promiscuo di automobili e pedoni. In sostanza, quello che ci troviamo di fronte è un’incalzante sequenza di lunghe corsie longitudinali che imprime alla piazza dove regnava l’allegra confusione degli “oh bej! oh bej!” un carattere rigido e artificiale del tutto estraneo alla sua natura.

Non che piazza Sant’Ambrogio sia mai stata tra quelle che emozionano appena vi metti piede sbucando da qualche via laterale. Non che abbia mai esercitato la seduzione di altre consorelle più o meno note per cui le città italiane sono famose nel mondo. E non che la sua forma originale – spezzata e piuttosto dura da un lato e più indefinita dall’altro – abbia mai brillato per armonia d’insieme. Ma questa nuova sistemazione, nella sua apparente compostezza e moderazione, di certo non ne interpreta correttamente le forme e l’anima. Invitando lo sguardo verso punti focali che non meriterebbero alcuna attenzione particolare e forzando il movimento dei corpi in senso unidirezionale sembra piuttosto rimandare all’immagine di certi paesaggi urbani tipici della modernità novecentesca – dove lo spazio è prevalentemente vocato al transito di mezzi meccanici – tanto da rendersi inadeguata sia verso le architetture più o meno belle che popolano la piazza, sia verso la piazza stessa di cui altera senza ragione la spazialità inibendone il carattere urbano. Sembra cioè lì per testimoniare quanto un non ben meditato ridisegno di certi luoghi in cui la vita della città si è stratificata nei secoli – tanto da far parlare le pietre e i mattoni all’unisono – sia inutile e, per molti versi, perfino dannoso.

 

Renzo Riboldazzi



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