29 ottobre 2014

arte – GIOVANNI SEGANTINI TRA COLORE E SIMBOLO


 

GIOVANNI SEGANTINI TRA COLORE E SIMBOLO

Una retrospettiva come Milano non ne vedeva da tempo: 18 sale ricche di ricerca, dipinti e testi che ripercorrono la vita e il lavoro del maggiore divisionista italiano, Giovanni Segantini. Si tratta di un ritorno ideale quello di Segantini a Milano, il capoluogo lombardo rappresentò infatti il polo di riferimento intellettuale e artistico per l’artista; era la Milano della rivoluzione divisionista che stava lentamente dimenticando lo spirito scapigliata per cogliere la sfida simbolista. Al fianco del Segantini maturo delle valli e delle montagne svizzere si riscopre anche un giovane Segantini che a Milano compie il proprio apprendistato e ritrae i Navigli sotto la neve o delle giovani donne che passeggiano in via San Marco.

arte37FBLa mostra è un racconto complesso sul mondo di Giovanni Segantini che accompagna il visitatore in un graduale avvicinamento all’artista, che lo invita ad avvicinarsi attraverso i quadri, alle emozioni, ai pensieri e alle riflessioni che alle opere sono vincolati.

I grandi spazi, gli animali, le montagne sono elementi non di complemento e non casuali in Segantini ma anzi, acquisiscono un valore mistico e quasi panteistico che permea l’intero lavoro, frutto del forte legame tra l’artista e la natura. Quest’ultima, madre spirituale per l’artista (e orfano di quella biologica), è spesso resa (co)protagonista delle opere al punto che giocando sui titoli e sulla compresenza tra uomo e animali si arrivi interrogarsi su quale sia il vero protagonista. L’uso dei colori, che si scopre con il tempo, sempre più potente grazie alla giustapposizione dei colori complementari e uno dei momenti culmine si raggiunge nell’azzurro senza eguali del cielo di Mezzogiorno sulle alpi (1891).

La mostra può essere percorsa e goduta in diverse maniere: in ordine cronologico seguendo l’evoluzione artistica e personale dell’artista accompagnati dallo scandire degli accadimenti della vita dell’artista, oppure seguendo le sette sezioni tematiche in cui l’esposizione è suddivisa: Gli esordi, Il ritratto, Il vero ripensato, Natura e vita dei campi, Natura e Simbolo attraverso i pannelli chiari e lineari che accompagnano ciascun gruppo di sale; o ancora, lasciandosi trasportare dall’uso magistrale della tavolozza dei colori, che ha reso Segantini il maggiore esponente del divisionismo italiano. È una delle poche occasioni dove le scelte curatoriali e allestitive consentono al visitatore di unire la vita e il lavoro dell’artista creando un percorso omogeneo dal quale emerge la complessità del carattere dell’artista, composto, come tutti gli uomini, da vari ruoli: figlio, padre, uomo, artista. Qualsiasi modalità si sia scelta per la fruizione della mostra se ne uscirà con appagata la necessità di bellezza e colore, ma più vivida quella di percorrere le montagna e le valli tanto amate dall’artista.

Una nota positiva: i toni alle pareti che vengono giustapposti uno dopo l’altro, stanza dopo stanza, creando come una rappresentazione visiva al sedimentarsi delle conoscenze dell’artista.

Una nota negativa: nessuna segnalazione all’ingresso della mostra sul numero di sale e il tempo previsto di visita, l’orario di chiusura sono le 19.30 ma dalle 19 i custodi provvedono incessantemente a fare presente la questione facendo uscire il pubblico dalle sale alcuni minuti prima dello scoccare della mezza. Alla stessa ora chiude anche il bookshop, non una scelta vincente laddove quest’ultimo rappresenta notoriamente una delle maggiori fonti di entrata per mostre e musei. Benedetta Marchesi

Segantini fino al 18 gennaio 2015 Palazzo Reale (Piazza Duomo, 12 – 20121 Milano) Biglietti (con audioguida in omaggio) €12/10/6 Orari Lunedì: 14.30-19.30 Martedì, Mercoledì, Venerdì e Domenica: 9.30-19.30 Giovedì e Sabato: 9.30-22.30

 

ALLA TRIENNALE DI MILANO TUTTE LE TRAME DEL RAME

Dalla pepita, forma in cui il rame viene trovato e raccolto, al Tracciatore di vertici a silici dell’esperimento BaBar, Trame è un inno al cuprum, uno degli elementi chimici con maggiore duttilità, conducibilità di calore e energia, e al tempo stesso è l’esaltazione dell’uomo e delle capacità di trasformare questo elemento. Il percorso espositivo, alla Triennale di Milano fino al 9 novembre, si articola in quattro sezioni quasi concentriche attraverso le quali si esplorano molteplici sfaccettature del prezioso metallo.

Nucleo centrale, cuore della mostra, è la sala dedicata al design, nel senso più completo del termine, che attraverso più di 100 oggetti spazia dall’illuminazione alla moda, dagli arredi all’oreficeria, dagli strumenti di cucina alle forme per budini offrendo al visitatore una panoramica di grandi nomi che hanno giocato con il rame creando oggetti di altissimo livello. Tom Dixon, Odoardo Fioravanti, Shiro Kuramata, Ross Lovegrove, Giò Ponti/Paolo De Poli, Ettore Sottsass, Oskar Zieta Giorgio Vigna, Prada sono solo alcuni dei nomi presenti.

L’architettura da un lato e la tecnologia dall’altro circondano la sala dedicata al design; nella prima attraverso modellini, fotografie e video si evidenzia quanto il rame sia strumento plasmabile e al contempo caratterizzante nelle mani degli architetti. La sezione di Tecnologia, realizzata in collaborazione con il Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci di Milano, raccoglie le applicazioni pratiche dell’uso del rame: minerali in vari stadi di produzione, macchine elettromagnetiche e alternatori, interfacce di computer, telefoni, rilevatori di particelle. Oggetti, alcuni, che portano con sé il fascino di aver cambiato la storia: tra tutte la pila di Alessandro Volta.

Come a creare un abbraccio inclusivo attorno a tutto questo è la sezione dedicata all’arte: una trentina di opere di artisti contemporanei che hanno studiato, analizzato, sperimentato il rame e le sue caratteristiche. Ogni artista plasma a suo piacimento il rame, facendogli assumere caratteri e colori unici e sempre diversi: chi tessendolo una spirale che tende all’infinito come Marisa Merz; chi rendendolo una parabola riflettente quasi mistica come fa Marco Bagnoli nel suo Janua Coeli; e ancora, chi giocando con le sue qualità ossidative che attraverso l’elettrolisi con il piombo realizza disegni sulle pagine del libro di Anselm Kiefer Unter den Linden. Camminando tra le opere si percepisce la sfida che il rame lancia e che l’artista coglie: nell’incontro tra i due si creano sodalizi meravigliosi che veicolano messaggi e pensieri alla materia.

Il percorso espositivo inaugura un nuovo modo di concepire la mostra: non più legata solo alla bellezza e al messaggio delle opere esposte ma volta ad indagarne la loro essenza concreta.

Benedetta Marchesi

Trame – Le forme del rame tra arte contemporanea, design, tecnologia e architettura Fino al 9 novembre alla Triennale di Milano – Orari Martedì – Domenica 10.30 – 20.30 Giovedì 10.30 – 23.00 Ingresso 8,00/6,50/5,50 euro

 

VIAGGIO NELL’AFRICA IGNOTA

In anteprima per l’Italia si inaugura l’11 ottobre la mostra “Viaggio nell’Africa Ignota. Il continente nero tra ‘800 e ‘900 nelle immagini della Società Geografica Italiana“. Composta di 54 riproduzioni digitali di fotografie dell’epoca, l’esposizione racconta l’Africa nera e ancora misteriosa della fine dell’800 e dei primi del ‘900 attraverso una selezione degli scatti più belli conservati dalla Società Geografica Italiana. Realizzate per la maggior parte nel corso di missioni esplorative italiane e internazionali, le fotografie – di ritratto, di reportage e di paesaggio – mostrano come dovessero apparire ai primi visitatori occidentali le popolazioni e i panorami di quello che all’epoca era il continente meno conosciuto del pianeta.

Strutturata attraverso le collezioni della Società Geografica Italiana da cui sono state tratte le fotografie, di cui molte scattate durante le spedizioni geografiche di esplorazione, l’esposizione di snoda in un affascinante percorso che attraversa molti dei paesi di cui si compone il continente africano. Un viaggio che partendo dall’Africa Orientale all’epoca delle colonie italiane ci porta nell’Africa Sub Sahariana, quindi nell’Africa delle foreste equatoriali e fin giù nell’Africa Australe. A produrre le immagini erano in alcuni casi fotografi professionisti al seguito delle spedizioni, in altri gli stessi protagonisti delle spedizioni, spesso appassionati e preparati utilizzatori del mezzo fotografico. Aperta fino al 14 novembre, ultima di tre esposizioni in programma per il 2014, la mostra è inserita in History & Photography, rassegna annuale che ha per obiettivi principali raccontare la storia del mondo contemporaneo attraverso la fotografia e rendere fruibili al grande pubblico collezioni e archivi fotografici spesso sconosciuti perfino agli addetti ai lavori. Alessandro Luigi Perna

Viaggio nell’Africa ignota La Casa di Vetro di via Luisa Sanfelice 3, Milano, 11 ottobre -14 novembre h 15-19, ingresso libero

 

LA GENESI DELLA BELLEZZA DI SALGADO

Un fotografo tra i più amati inaugura il nuovo Palazzo della Ragione. Nuovo perché finalmente il Comune di Milano ha deciso di usare lo storico palazzo per farlo diventare il centro deputato ad accogliere qualcosa di continuativo, nello specifico mostre di fotografia. Dopo la chiusura di Spazio Forma, si tenta di ripartire puntando sul riutilizzo di un edificio centralissimo e davvero suggestivo, a contatto con una forma espressiva tra le più amate degli ultimi anni. Ecco perché per la prima mostra in loco si è scelto di partire davvero in grande con il progetto Genesi, l’ultima fatica del brasiliano Sebastiao Salgado.

Genesi è un progetto decennale, iniziato nel 2003 e concepito, usando le parole di Salgado stesso, come un canto d’amore per la terra e un monito per gli uomini. Un viaggio fatto di 245 scatti in bianco e nero divisi in cinque sezioni per raccontare un mondo primigenio e ancora puro, un mondo fatto di animali, natura e uomini che vivono insieme in armonia ed equilibrio. Quello stesso equilibrio che viene rovinato ogni giorno dalla noncuranza della maggior parte del mondo “civilizzato”, che sembra dimenticarsi delle sue stesse origini.

Sono a tratti commoventi le immagini presentate, dagli scatti dei maestosi ghiacciai del circolo polare artico, alle dune del deserto che creano disegni quasi perfetti, passando per tutti i cinque continenti.

Montagne, foreste pluviali, canyon, animali della savana o mandrie di renne, pinguini e iguane, abitanti di tribù quasi estinte con tradizioni per noi quasi intollerabili alla vista, come la scarificazione, scorrono davanti agli occhi dello spettatore per ricordagli la ricchezza e la vastità del nostro mondo. Così era all’inizio, così dovrà essere sempre, sembra ammonire Salgado.

Un vero e proprio atlante animale e antropologico, che diventa non solo un viaggio affascinante alla scoperta del nostro pianeta, ma soprattutto un grido di allarme per cercare di riparare ai danni fatti e alla preservazione della flora e della fauna mondiali.

Una immersione a tutto tondo quella di Salgado, non solo perché il fotografo stesso ha vissuto per diverso tempo in ambienti estremi e a contatto con la natura più vera, ma anche perché Salgado porta in mostra frammenti di mondo che sembrano essere lontanissimo da noi, come le immagini delle tribù del Congo, dei Boscimani e degli indigeni brasiliani, ritratti davvero in totale armonia con il proprio habitat naturale.

“Abbiamo fatto una ricerca e abbiamo fatto una scoperta molto interessante: circa il 46% del mondo è ancora come il giorno della genesi” ha detto Salgado in conferenza stampa, aggiungendo che insieme tutti possiamo continuare a fare in modo che la bellezza della Genesi non scompaia mai. Virginia Colombo

Genesi, Sebastiao Salgado Fino al 2 novembre Milano, Palazzo della Ragione Orari: mar – merc – dom: 9.30-20.30 giov – sab: 9.30-22.30 Biglietti: intero 10 euro, ridotto 8,50 euro.

 

PERCHÈ IL MUSEO DEL DUOMO È UN GRANDE MUSEO

Inaugurato nel 1953 e chiuso per restauri nel 2005, ha riaperto le sue porte e le sue collezioni il Grande Museo del Duomo. Ospitato negli spazi di Palazzo Reale, proprio sotto il primo porticato, il Museo del Duomo si presenta con numeri e cifre di tutto rispetto. Duemila metri quadri di spazi espostivi, ventisette sale e tredici aree tematiche per mostrare al pubblico una storia fatta d’arte, di fede e di persone, dal quattordicesimo secolo a oggi.

Nel 2015 Milano ospiterà l’Expo, diventando punto di attrazione mondiale per il futuro, così come, in passato, Milano è stata anche legata a doppio filo a quell’editto di Costantino che quest’anno ha celebrato il suo 1700esimo anniversario, con celebrazioni e convegni. Non a caso la Veneranda Fabbrica ha scelto di inserirsi in questa felice congiuntura temporale, significativa per la città, dopo otto anni di restauri e un investimento da 12 milioni di euro.

Il Museo è un piccolo gioiello, per la qualità delle opere esposte così come per la scelta espositiva. L’architetto Guido Canalico lo ha concepito come polo aperto verso quella varietà di generi e linguaggi in cui è riassunta la vera anima del Duomo: oltre duecento sculture, più di settecento modelli in gesso, pitture, vetrate, oreficerie, arazzi e modelli architettonici che spaziano dal XV secolo alla contemporaneità.

E l’allestimento colpisce e coinvolge già dalle prime sale. Ci si trova circondati, spiati e osservati da statue di santi e cherubini, da apostoli, da monumentali gargoyles – doccioni, tutti appesi a diversi livelli attraverso un sistema di sostegni metallici e di attaccaglie a vista, di mensole e supporti metallici che fanno sentire l’osservatore piccolo ma allo stesso tempo prossimo all’opera, permettendo una visione altrimenti impossibile di ciò che è stato sul “tetto” del Duomo per tanti secoli.

Si è poi conquistati dalla bellezza di opere come il Crocifisso di Ariberto e il calice in avorio di san Carlo; si possono vedere a pochi centimetri di distanze le meravigliose guglie in marmo di Candoglia, e una sala altamente scenografica espone le vetrate del ‘400 e ‘500, alcune su disegno dell’Arcimboldo, sopraffini esempi di grazia e potenza espressiva su vetro.

C’è anche il Cerano con uno dei “Quadroni” dedicati a San Carlo, compagno di quelli più famosi esposti in Duomo; c’è un Tintoretto ritrovato in fortunate circostanze, durante la Seconda Guerra mondiale, nella sagrestia del Duomo. Attraverso un percorso obbligato fatto di nicchie, aperture improvvise e sculture che sembrano indicare la via, passando per aperture ad arco su pareti in mattoni a vista, si potrà gustare il Paliotto di San Carlo, pregevole paramento liturgico del 1610; gli Arazzi Gongaza di manifattura fiamminga; la galleria di Camposanto, con bozzetti e sculture in terracotta; per arrivare fino alla struttura portante della Madonnina, che più che un congegno in ferro del 1700, sembra un’opera d’arte contemporanea. E al contemporaneo si arriva davvero in chiusura, con le porte bronzee di Lucio Fontana e del Minguzzi, di cui sono esposte fusioni e prove in bronzo di grande impatto emotivo.

Il Duomo è da sempre il cuore della città. Questo rinnovato, ampliato, ricchissimo museo non potrà che andare a raccontare ancora meglio una storia cittadina e di arte che ebbe inizio nel 1386 con la posa della prima pietra sotto la famiglia Visconti, e che continua ancora oggi in quel gran cantiere, sempre bisognoso di restauro, che è il Duomo stesso. Virginia Colombo

Museo del Duomo Palazzo Reale piazza Duomo, 12 – biglietti: intero 6 euro, ridotto 4 euro orari: martedì – domenica: 10.00 -18.00.

 

IL DESIGN AL TEMPO DELLA CRISI

Se il caldo impazza e si ha voglia di vedere qualcosa di alternativo e diverso dalle solite mostre, ecco che la Triennale di Milano offre tante valide opportunità. Ricco come sempre il ventaglio delle mostre temporanee di architettura, ma interessante ancor di più è il nuovo allestimento del TDM, il Triennale Design Museum, giunto alla sua settima edizione.

Dopo “La sindrome dell’influenza“, tema del’anno scorso, per la nuova versione ci si è concentrati su temi quanto mai cruciali, che hanno a che fare molto e soprattutto con gli ultimi anni: “Autarchia, austerità, autoproduzione” sono le parole chiave che fanno da titolo e da fondo all’edizione di quest’anno. Un racconto concentrato sul tema dell’autosufficienza produttiva, declinato e affrontato in modo diverso in tre periodi storici cruciali: gli anni trenta, gli anni settanta e gli anni zero. La crisi ai giorni nostri, insomma.

Sotto la direzione di Silvana Annichiarico, con la curatela scientifica di Beppe Finessi, l’idea alla base è che il progettare negli anni delle crisi economiche sia una condizione particolarmente favorevole allo stimolo della creatività progettuale: da sempre condizioni difficili stimolano l’ingegno, e se questo è vero nelle piccole cose, è evidente ancor di più parlando del design made in Italy.

Dal design negli anni trenta, in cui grandi progettisti hanno realizzato opere esemplari, ai distretti produttivi (nati negli anni settanta in piccole aree geografiche tra patrimoni basati su tradizioni locali e disponibilità diretta di materie prime) per arrivare alle sperimentali forme di produzione dal basso e di autoproduzione.

Viene delineata una storia alternativa del design italiano, fatta anche di episodi all’apparenza minori, attraverso una selezione di oltre 650 opere di autori fra cui Fortunato Depero, Bice Lazzari, Fausto Melotti, Carlo Mollino, Franco Albini, Gio Ponti, Antonia Campi, Renata Bonfanti, Salvatore Ferragamo, Piero Fornasetti, Bruno Munari, Alessandro Mendini, Gaetano Pesce, Ettore Sottsass, Enzo Mari, Andrea Branzi, Ugo La Pietra fino a Martino Gamper, Formafantasma, Nucleo, Lorenzo Damiani, Paolo Ulian, Massimiliano Adami.

Il percorso si sviluppa cronologicamente: si comincia con una stanza dedicata a Fortunato Depero, artista poliedrico e davvero a tutto tondo, e alla sua bottega Casa d’Arte a Rovereto (dove realizzava quadri e arazzi, mobili e arredamenti, giocattoli e abiti, manifesti pubblicitari e allestimenti) e termina con una stanza a cura di Denis Santachiara dedicata al design autoriale che si autoproduce con le nuove tecnologie.

In mezzo, un racconto fatto di corridoi, box e vetrine, che mette in scena i diversi protagonisti che, dagli anni trenta a oggi, hanno saputo sperimentare in modo libero creando nuovi linguaggi e nuove modalità di produrre. Uno fra tutti Enzo Mari con la sua semplice e disarmante autoprogettazione.

Il percorso si arricchisce anche di “momenti” dedicati ai diversi materiali, alle diverse aree regionali, alle varie tecniche o città che hanno dato vita a opere irripetibili, “quasi uniche”, come recitano i pannelli esplicativi.

Anche l’allestimento segue il concept di base: sono stati scelti infatti materiali che rievocano il lavoro artigianale e autoprodotto: il metallo e l’OSB (materiale composito di pezzi di legno di pioppo del Monferrato).

Dopo aver risposto alla domanda “Che Cosa è il Design Italiano?” con Le Sette Ossessioni del Design Italiano, Serie Fuori Serie, Quali cose siamo, Le fabbriche dei sogni, TDM5: grafica italiana e Design, La sindrome dell’influenza, arriviamo a scoprire come il design si salva al tempo della crisi. Virginia Colombo

Il design italiano oltre le crisi. Autarchia, austerità, autoproduzione Triennale Design Museum, Orari: Martedi – Domenica 10.30 – 20.30 Giovedì 10.30 – 23.00 Biglietti: 8,00 euro intero, 6,50 euro ridotto

 

questa rubrica è a cura di Benedetta Marchesi

rubrihe@arcipelagomilano.org


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