29 ottobre 2014

musica – THE POP ART OF THE FUGUE


THE POP ART OF THE FUGUE

Non è certo frequente imbattersi in una serata musicale così ricca di fantasia e di intelligenza come quella di giovedì scorso in cui, in un ambiente straordinariamente suggestivo – una vecchia discoteca all’introvabile indirizzo di una improbabile periferia milanese trasformata in elegantissimo teatro-studio di registrazione – Ruggero Laganà ha presentato eseguendole al pianoforte alcune delle 48 impeccabili fughe da lui scritte, dedicate e regalate ad amici ed estimatori, su temi “impossibili” di vecchie canzoni (Oh sole mio), melodie d’opera (il valzer di Musetta), nenie popolari (Fra’ Martino campanaro, Happy Birthday to you), pezzi rock (che non saprei citare), classici (Mozart, l’andante del concerto in la maggiore K. 488), colonne sonore di film famosi (Schindler list) e così via.

musica37FBDice Laganà che le ragioni che lo hanno spinto a dedicarsi a questa forma musicale risiedono in una fortissima attrazione per la struttura e l’arte della fuga insieme a una altrettanto spiccata insofferenza per la rigidità con cui essa viene insegnata ed usualmente imposta agli allievi dei Conservatori; da studente non riusciva a digerire i voluminosi trattati ma era incollato al Clavicembalo ben temperato di Bach per carpirne i segreti e soprattutto per rivelarne la libertà espressiva e l’inclinazione alla trasgressione. Voleva capire come mai nelle fughe di Bach non si sente mai il peso della regola ma vince sempre la musica e la magia del gioco delle parti. Dopo una full immersion nel contrappunto barocco ha cominciato a giocare anche lui, con leggerezza, ironia, fantasia, a cominciare dalla scelta dei “soggetti”: è stata una sorta di scommessa.

Per dicembre uscirà e lo si troverà nelle librerie della Feltrinelli, un CD/DVD con le 48 fughe; ma da quelle che abbiamo ascoltato l’altra sera – presentate con arguzia da Ugo Martelli, quell’affabulatore che ben conoscono gli ascoltatori della “Classica” di Sky – abbiamo capito che la scommessa è già stata vinta. Si tratta di composizioni sicuramente “alte” (la Fuga è quanto di più “alto” si possa immaginare nella storia della musica) ma insieme assolutamente “popolari” (il che giustifica pienamente il titolo di Pop Art). Non è un gioco, è molto di più, è un piccolo trattato sul rapporto fra creatività e rigore, fra fantasia e tecnica compositiva. Sembra paradossale, ma l’ascolto di queste pagine aiuta ad approfondire il significato musicale dell’opera di Bach e di tutti quelli che prima e dopo di lui si sono cimentati nella composizione squisitamente contrappuntistica.

Succede questo: un tema arcinoto, classico o popolare che sia, usato come “soggetto” della fuga, determina spontaneamente – in forza della sua notorietà – un preciso clima culturale, uno specifico ambiente sonoro, una particolare situazione psicologica. La sua elaborazione con l’uso del canone a più voci e con l’introduzione di un controsoggetto, determina a sua volta un clima diverso, un altro ambiente, una situazione alternativa, più astratta, di tipo concettuale. Il reiterato ritorno del “soggetto”, però, riporta continuamente all’atmosfera iniziale con ciò creando uno straordinario spaesamento. Ed è proprio questo spaesamento a costituire il fascino della fuga, il suo innalzarsi alle vette astratte di complesse sonorità e il suo continuo ridiscendere alla semplice cantabilità e riconoscibilità del tema.

Scrive Laganà nella presentazione del suo lavoro, che “struttura contrappuntistica rigorosa, gioco di intrecci di voci, soggetti, controsoggetti, risposte, divertimenti con o senza imitazioni, aggravamenti, diminuzioni, inversioni, stretti, pedali, tutto ciò si trova nella fuga, ma mai in Bach appare nello stesso modo. Un soggetto di fuga (che appare sempre allo stato puro nell’esordio in una sola voce) è come un piccolo germe, un frammento di DNA che, sviluppato secondo lo stile adeguato, dà sempre esiti diversi, sorprendenti“. Così appaiono questi suoi divertissement, costruiti su temi popolari, che non possiamo non confrontare con le 48 fughe dei due libri del Clavicembalo ben temperato, scritti a distanza di ventidue anni uno dall’altro secondo la rigorosa sequenza delle 12 tonalità che partono dalla prima in Do Maggiore, poi la seconda in Do Minore e così di seguito salendo di semitono in semitono – dunque secondo la scala cromatica (Do, Do#, Re, Mib e così via) – fino a completare tutte le tonalità maggiori e minori. È curioso osservare che persino Bach non utilizzava sempre materiale di prima di mano come soggetti delle sue fughe dimostrando così che la scelta del tema non era dovuta tanto al carattere intrinseco alla composizione ma piuttosto alla strategia della sua tecnica costruttiva.

L’attenzione maniacale di Michele Forzani – il direttore artistico delle raffinate edizioni “Limen music & arts” – che ha progettato e seguito questo “lancio” con non celata passione, è la migliore garanzia della qualità finale della registrazione e della restituzione discografica; ma a quel centinaio di fortunati ascoltatori dell’altra sera è bastato ascoltare l’ultima di queste fughe, in cui a sorpresa si è inserita come quinta voce quella dolcissima e appassionata del violino di Giorgia Righetti, per capire che oggi si può scrivere ed eseguire musica assolutamente contemporanea e senza ammiccamenti a revival di qualsiasi natura, ma non per questo meno godibile, comprensibile, amabile; quella musica, per intenderci, che scalda il cuore e in cui felicemente ci riconosciamo da generazioni.

 

 

 

 

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org



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