14 settembre 2009

RISANAMENTO S.P.A. RISANARE CHE COSA? LA NEMESI


Quella del 1884 non fu certo per Napoli la prima epidemia di colera. Ce n’erano state almeno tre abbastanza recenti: nel 1855, nel 1866, nel 1873. Ma forse a oltre trent’anni dall’unità d’Italia la fatalità era meno accettabile. Prima si potevano dare tutte le colpe ai Borboni, ma ora?

Agostino Depretis, presidente del Consiglio, dichiara solennemente che per vincere definitivamente le epidemie occorre “sventrare Napoli”. Matilde Serao, con la pubblicazione della prima inchiesta su “Il ventre di Napoli”, gli risponde pubblicamente: “Sventrare Napoli? Credete che basterà? Vi lusingate che basteranno tre, quattro strade, attraverso i quartieri popolari, per salvarli? Vedrete, vedrete, quando gli studi, per questa santa opera di redenzione, saranno compiuti, quale verità fulgidissima risulterà: bisogna rifare.”

“Per distruggere la corruzione materiale e quella morale, per rifare la salute e la coscienza a quella povera gente, per insegnare loro come si vive – essi sanno morire, come avete visto! – per dir loro che essi sono fratelli nostri, che noi li amiamo efficacemente, che vogliamo salvarli, non basta sventrare Napoli: bisogna quasi tutta rifarla”.

Depretis aveva visitato i quartieri di Napoli in occasione dell’epidemia, “ma non i più poveri e umiliati”, e aveva coniato un termine che prenderà piede nell’urbanistica moderna. Da allora di “sventramenti” nelle città italiane ne sono stati fatti parecchi. Nella Roma di Mussolini, durante il ventennio, con la creazione dei Fori Imperiali, a Milano, nel dopoguerra, con la Racchetta e la cancellazione del Bottonuto, del Pasquirolo e del Verziere. Dalla Parigi del barone Haussmann, veniva il precedente ante litteram più illustre e controverso. Era stato il prefetto della Senna, dopo i moti del 1848, il primo moderno “sventratore”. Igiene ed esigenze militari erano alla base di quel piano burocratico che squarciò brutalmente il tessuto medievale creando “imperiali rettifili dietro i quali permangono vasti e mutili settori di tuguri”.

“Assicurare la tranquillità pubblica con la creazione d’imponenti boulevards che lascino circolare non solo l’aria e la luce, ma anche le truppe; con tale ingegnoso connubio, migliorare le condizioni del popolo rendendolo meno incline alla rivolta.” Così sintetizza il piano parigino Haussmann nelle sue memorie.

È probabile che Depretis avesse intenzioni migliori e che non fosse nemmeno così ingenuo da non sospettare che la modernizzazione di Napoli potesse dare il via a grandi manovre speculative, tanto che lo stesso in una nota del 22 settembre 1884 scriveva al ministro degli esteri Stanislao Mancini: “La questione igienica è conosciuta, invece bisogna conoscere la parte edilizia e quella finanziaria per conciliare le trasformazioni delle abitudini popolari e la nuova fabbricazione con la libera industria; perciò occorre il parere di uomini tecnici competenti anziché di uomini politici che profitterebbero anche di questa circostanza per loro fini partigiani”.

Il 27 novembre 1884 la legge “Provvedimenti per Napoli” è presentata alla Camera e il 15 gennaio dell’anno seguente, come abbiamo visto, viene emanata la “legge per il Risanamento della città di Napoli”. Quella parola, “Risanamento”, avrà dunque una storia.

Gli sforzi furono notevoli, ma le difficoltà dell’operazione da subito evidenti. Ci furono diversi fallimenti, finché nel 1888, il 15 dicembre, su iniziativa di Crispi (subentrato al Depretis nella carica di Presidente del Consiglio nel 1887) viene infine costituita la “Società pel Risanamento di Napoli”, con trenta milioni di capitale.

“In particolare in ambito napoletano la Banca Tiberina aveva impegnato notevoli risorse nella realizzazione del rione Vomero, l’Impresa dell’Esquilino nel rinnovamento del rione Santa Brigida e per la realizzazione della galleria Umberto I, la Società Geisser e la Società Generale Immobiliare nel rione occidentale e nel rione Vasto, la società Santa Lucia nell’ampliamento del rione Santa Lucia, la società per il Risanamento di Napoli nella ridefinizione dei quartieri bassi.” A quest’ultima erano stati anche affidati parte dei lavori per la realizzazione del Corso Umberto I, il Rettifilo, e della omonima Galleria.

I risultati complessivi, non ostante l’entità delle opere realizzate, non erano stati granché in termini sociali, tanto che Matilde Serao, che già aveva denunciato i guasti della speculazione all’epoca del colera, tornando a Napoli vent’anni dopo, poteva già amaramente ironizzare sulle opere di Risanamento, puntando il dito sui prezzi degli affitti, inaccessibili ai popolani.

“Non si chiedono Milioni, poiché i milioni hanno fatto fiasco nell’opera del Risanamento, e nessuno, naturalmente vuol dare più milioni, quando i primi sono stati spesi male o perduti, per fatalità quasi che una mano misteriosa perseguitasse questo buon popolo nostro.

Si chiedono, in nome di quel Dio giusto che volle fossero accolti tutti i poveri, nel suo nome, povero e vagabondo egli medesimo, sulla terra, che alla redenzione fisica e spirituale dei poveri un po’ di attenzione, un po’ di denaro, un po’ di cura sia dedicata da coloro che debbono e possono fare questo! Tutto deve essere fatto con modeste ma tenaci idee di bene, con semplici ma ostinati rimedi, con umili ma costanti intenzioni di giovare. Bando alla rettorica sociale, bando alla rettorica industriale, bando alla rettorica amministrativa, quella che viene dal Comune, la peggior rettorica perché guasta quanto di pratico, di utile, di buono si potrebbe fare, dagli edili nostri.

Perché dunque non si obbligano la società dei nuovi quartieri al Vasto, all’Arenaccia, al Quartiere Orientale, di ridurre al minimo possibile le pigioni, in modo che le case fatte pel popolo siano abitate proprio da esso e non dalla piccola borghesia, in modo che ogni stanza non costi più di nove o dieci lire e non vi possano per regolamento stare più di due o tre persone, quando vi sono bimbi? Si tenti questo! E se ciò non basta, in tutte le nuove costruzioni sia nei quartieri popolari sia nei più aristocratici, perché non si obbligano, con legge, con regolamento, ad avere un piano nei loro palazzi, l’ultimo, fatto in modo che la gente del popolo vi possa abitare, avendo delle stanze, delle soffitte, ciò che si chiama il suppenno che non costino, appunto, più di nove o dieci lire al mese ogni stanza?”

Il 10 agosto 1893 viene emanata la legge bancaria n. 449, l’anno successivo nasce la Banca d’Italia. La stessa legge “ridefinì il sistema della circolazione cartacea, che venne basato sulla copertura metallica dei biglietti (più precisamente: del 40 per cento di essi) e su un limite di emissione assoluto; pose le premesse per il risanamento degli istituti di emissione; avviò il processo di transizione verso una banca di emissione unica; introdusse norme che ponevano la tutela dell’interesse pubblico al di sopra delle esigenze di profitto degli azionisti (esempio: approvazione governativa sia per la nomina del capo della Banca – allora era il Direttore Generale – sia per le variazioni del saggio di sconto).”

Con la crisi edilizia e il fallimento della Banca Romana, la Banca d’Italia, alla quale fu affidato il salvataggio degli enti in difficoltà, si ritrovò a disporre di ingenti patrimoni immobiliari provenienti dai fallimenti di banche, società e imprese che avevano investito in operazioni urbanistiche ed edilizie nelle principali città italiane. Così anche la società per il Risanamento di Napoli entrò nell’orbita di Banca d’Italia.

La legge bancaria stabiliva anche in dieci anni il termine per liquidare il patrimonio acquisito e non utilizzato dall’Istituto come sede d’uffici bancari. L’azione di dismissione dei numerosi beni acquisiti, tuttavia, non si rilevò affatto semplice e non furono sufficienti i tempi previsti dalla legge proprio a causa della grave crisi edilizia e finanziaria di fine secolo. La Banca d’Italia riuscì tra mille difficoltà a tenere in pugno la situazione e si può affermare che il suo ruolo è stato rilevante non solo nel processo di crescita di Roma capitale, cosa nota, ma anche nell’azione di rinnovamento urbano di Napoli, sia nelle aree centrali che in quelle di nuova espansione.

“Ebbe allora inizio un processo di revisione della complessa struttura bancaria che portò nel 1896 all’istituzione dell’Ispettorato Tecnico Generale, un organismo dipendente dalla Direzione Generale, collegato all’Ufficio Liquidazioni e alla Direzione del Credito Fondiario, con il compito di occuparsi esclusivamente della gestione e della valorizzazione delle proprietà immobiliari per favorirne la liquidazione. Con l’approssimarsi della scadenza prevista dalla legge bancaria, la Banca d’Italia, nell’intento di dare un maggiore impulso alla liquidazione degli immobili e di dissuadere la speculazione, costituì due Istituti – l’Istituto Romano di Beni Stabili nel 1904 e la Società Agricola Industriale Italiana, in seguito Istituto Italiano di Fondi Rustici nel 1907 – ai quali cedette in blocco gli immobili sia urbani che rustici riducendo in tal modo significativamente il proprio patrimonio immobiliare.”

Col tempo, soprattutto nel secondo dopoguerra, la società, nata per risanare Napoli, estese la propria attività a tutto il paese, ma non si staccò mai completamente dalle proprie radici, almeno a dar credito al senatore Emiddio Novi, che in un’interpellanza del 16 aprile 2002, presentata nella seduta 159 della quattordicesima legislatura così la descrive: (…) “la «Società pel Risanamento di Napoli» proprietaria di oltre cinquemila unità immobiliari (che) nel corso di più di un secolo aveva svolto un ruolo decisivo sul mercato delle locazioni, costituendo un sicuro punto di riferimento in tutta la Campania a garanzia dei cittadini e formando un baluardo alla speculazione sempre presente nel settore delicato e vitale degli alloggi e delle attività commerciali, (…).”

La svolta avviene dunque nel 1999, oltre un secolo dopo la costituzione della “Società pel Risanamento di Napoli”. La Domus Italica, partecipata dall’immobiliare Bonaparte, acquisita l’anno prima da Luigi Zunino, compera il 58,59 % di azioni della Società, quotata in Borsa, dalla Banca d’Italia, che ne era allora azionista di maggioranza. Nel 2000 si opera la fusione tra le due società e la Domus Italica viene incorporata nella società storica alla quale per l’occasione viene cambiato nome in “Risanamento Napoli”. Nel dicembre dello stesso anno la Nuova Immobiliare, società del gruppo Zunino, acquista il 48% della Risanamento Napoli e Luigi Zunino ne diviene presidente. La Risanamento s.p.a. nasce nel 2002 con la fusione tra la Bonaparte e la Risanamento Napoli.

Scompare così nella ragione sociale anche l’ultimo riferimento simbolico alle origini napoletane della società. Il centro decisionale viene trasferito da piazza Nicola Amore, dal nome del sindaco, protagonista discusso degli avvenimenti urbanistici napoletani di fine Ottocento, in piazza Diaz, a Milano, dove sono già in corso le grandi manovre immobiliari che caratterizzeranno tutto il decennio successivo.

Prima dell’ultima trasformazione era però già accaduto qualcosa di significativo: la sede storica di Napoli era stata venduta per 27 miliardi e 356 milioni di lire e il 13 dicembre del 2000 era stato alienato un altro blocco di immobili per l’importo di 267 miliardi e 124 milioni, successivamente ceduto, in data 22 dicembre 2000 alla «Iniziativa Immobiliare s.r.l.» per 350 miliardi e 654 milioni.

Interessante nella citata interpellanza del 2002 è la parte relativa alla valutazione e alle condizioni di vendita della società, soprattutto in questi punti:

“(…) il controvalore delle azioni cedute dalla Banca d’Italia alla Domus Italica sulla base del contratto stipulato è stato pari a lire 298,4 miliardi, e, il controvalore dell’Opa in caso di totale adesione, è stato pari a lire 199.3 miliardi e (che) quindi la «Società pel Risanamento di Napoli» fu valutata 497,7 miliardi di lire;”

“(…) in data 2 agosto 1999 la Consob impose alla Domus Italica la pubblicazione del seguente avviso: «Domus Italica S.p.A. in merito all’offerta pubblica di acquisto su azioni ordinarie e di risparmio n.c. della Società pel Risanamento di Napoli S.p.A. su richiesta della Commissione Nazionale per le Società e per la Borsa, comunica che l’Amministratore delegato della Bonaparte S.p.A. nel corso dell’Assemblea ordinaria della Bonaparte di approvazione del bilancio di servizio al 31/12/1998, ha comunicato che alla partecipazione nella Risanamento Napoli è attribuibile un valore di 834 miliardi di lire quale risultato di varie perizie e che si dovrà attendere il giudizio del mercato, ma il Consiglio auspica che il valore degli immobili in questione possa in realtà essere superiore»;”

 “(…) gli acquirenti della Società pel Risanamento hanno potuto beneficiare della legge n. 408 del 2.8.1969 che prevede l’applicazione di un’imposta pari all’1% (anziché dell’8% riferita agli atti traslativi a titolo oneroso, imposta proporzionale di cui alla legge 26.4.1986, n. 131) trattandosi di immobili non di lusso e avendo dichiarato che entro tre anni dall’acquisto avrebbero rivenduto gli immobili in questione in quanto società di intermediazioni.”

L’interpellanza, rivolta ai Ministri dell’economia, della giustizia e delle finanze, concludeva conseguentemente:

” si chiede di sapere se i Ministri in indirizzo siano al corrente di questa autentica azione di esproprio truffaldino di un bene pubblico.”

Ancora più espliciti in merito alla differenza tra valore patrimoniale della società e prezzo di vendita sono Clemente Mastella e altri deputati in un’analoga interpellanza presentata alla Camera, nella seduta 182 del 23 luglio 2002, in cui si sottolinea che “(…) in sostanza la società per il risanamento di Napoli è stata svenduta a favore della Domus italica Spa di Zunino e Marchini che ha acquistato per 475 miliardi una società il cui valore era da ritenersi superiore a 1200 miliardi (…).”

Le banche che a fine anni Novanta hanno finanziato l’acquisizione delle partecipazioni societarie dalla Banca d’Italia, di cui in qualche caso erano e sono azionisti, si trovano ora nelle mani il patrimonio rovente di una società alla quale hanno concesso crediti infiniti e ormai inesigibili, legando forse in maniera indissolubile il proprio futuro alle spericolate avventure di un trader immobiliare, incoraggiato e sostenuto in maniera a dir poco irresponsabile.

Oggi l’epilogo, con la clamorosa richiesta di bancarotta, avviata dalla magistratura, e il fondato sospetto che la società, in pratica da tempo fallita, sia stata tenuta artificialmente in vita dalle banche creditrici.
Difficile parlare di accanimento terapeutico.

Mario De Gaspari

 



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