15 settembre 2009

EXPO 2015: DAI GRATTACIELI ALLE TENDE


La tragicommedia dell’Expo 2015 non è finita, anzi gli aspetti decisamente da commedia si arricchiscono dell’ultimo episodio: la consegna del silenzio. Malgrado la smentita dell’amministratore delegato al Corriere della Sera che titolava: “Piani Expo: ai dipendenti vietato parlarne al cellulare”, il senso della delibera è quello di un “avvertimento” agli interessati perché si cuciano la bocca.

Da questo punto di vista tutta l’operazione Expo è stata una perla d’incapacità di comunicazione e, contemporaneamente, di riservatezza come fosse un affare di famiglia di Letizia Moratti. Ma il vero nodo non è questo. Prima della presentazione al BIE il masterplan era in concreto ignoto a tutti: eravamo in gara e forse a quel punto il riserbo aveva una qualche giustificazione. Vinta la competizione e interamente svelato il misterioso piano, sono cominciate a piovere le critiche: troppo cemento, urbanisticamente un insieme di volumi casuali, la follia della via d’acqua e, ciliegina sulla torta, un bel grattacielo nel pieno della polemica sui grattacieli a Milano.

Chi ne erano i progettisti? Chi li aveva scelti? Arriva la crisi economico finanziaria e si comincia a dubitare che i soldi necessari, tanti, si riescano a trovare. Nel frattempo qualcuno comincia a domandarsi che rapporto ci sia tra il tema dell’Expo – Nutrire il pianeta. Energia per la vita – e tutto quello che si vede e si sente a proposito del progetto reale per l’area espositiva. Dell’attività di ricerca, che dovrebbe essere il perno della manifestazione, poche e sparute tracce. Non ripercorriamo qui il rosario di liti che solo da un paio di settimane sembrano sopite, nell’attesa di nuovi inevitabili fuochi. Oggi siamo arrivati al nuovo masterplan, a essere precisi solo un’idea di masterplan che col vecchio non ha nulla a che vedere, quel vecchio masterplan che Letizia Moratti giurava sul suo onore come intoccabile. Però qualcosa potrebbe ancora succedere perché non è detto che il BIE accetti tutti questi volteggi e soprattutto non è detto che i Turchi, che hanno visto Smirne soccombere, mandino giù la cosa senza batter ciglio.

Se fossimo nel nostro pollaio italico e si trattasse di un appalto concorso, i ricorsi sarebbero già piovuti e forse giustamente. Eccoci dunque al nuovo progetto. I commenti dopo la presentazione hanno tutti, sia quelli positivi sia quelli negativi, un denominatore comune: meno costruzioni, meno cemento, meno aree irrimediabilmente compromesse e dunque evviva! Sugli altri aspetti del progetto il dibattito è di nuovo aperto e sull’idea di un immenso orto mondiale e della distesa di tende i commenti sono stati oltre che acidi anche sferzanti, così come sulla presunzione di novità di un’Expo che invece utilizza la vecchia cassetta degli attrezzi: serre, riproduzione di bioclimi estremi, riproduzione in scala delle realtà agricole.

A questo punto bisogna essere leali: cosa vuol dire trattare il tema “Nutrire il pianeta. Energie per la vita”? Che forma si dà a questo contenuto? Qual è il contenitore adatto? Il nuovo progetto, se non si sbilancia nell’investire troppo in serre e stravaganze, sembra interpretare ragionevolmente il criterio della parsimonia.

Quanto al resto possiamo tranquillamente dire che il tema non è adatto a un’Expo, perché il problema della fame nel mondo è sostanzialmente quello della ridistribuzione delle risorse, della “parsimonia” dei Paesi ricchi nel consumo alimentare e nell’uso delle risorse energetiche. Tanto per arrivare ad una conclusione l’Expo 2015 dovrebbe essere non una mostra mondiale d’agricolture, ma una mostra nella quale i Paesi ricchi mostrano ai Paesi poveri come potremmo dar loro una mano: per ogni Paese ricco la tavola imbandita oggi e quella che potrebbe esser nel 2015 e negli anni a venire. Forse ci vorrebbe un’esposizione in cui mostriamo le nostre buone intenzioni piuttosto che le disastrate condizioni altrui. Se per arrivarci dobbiamo anche mostrare il contadino indocinese che fatica col suo aratro a chiodo nella risaia o gli andini che irrigano i loro orti con canalette fatte di bottiglie di plastica incastrate una nell’altra, o le facce affamate dei bambini, sia pure, purché non si scada nel folclore.

LBG



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