14 settembre 2009

CANELLA


Si potrebbe commemorare Guido Canella facendone un elenco di titoli, onorificenze, riconoscimenti, cariche onorifiche; un elenco che sarebbe lunghissimo. Tuttavia, al di là degli elogi ufficiali, oggi si è scelto di ricordare Canella come persona, come uomo, come interlocutore, capace di stabilire rapporti intensi con amici, allievi, colleghi.

Uomo passionale, impulsivo, irruente; e per questo tanto più ammirevole in un mondo come l’attuale, tutto fatto di sottili opportunismi, di abili calcoli, di manovre nascoste: e soprattutto inquinato da pavidi, anzi da pusillanimi giochi di prudenza.

E’ rimasto esemplare nella storia della Facoltà di Architettura la sua capacità, coinvolgente ed appassionata, di far partecipare gli studenti al processo di apprendimento didattico: a chi lo seguiva dava generosamente tutto il suo aiuto e trasmetteva, senza risparmio di energie, tutto il suo sapere. A chi non mostrava curiosità né interesse per la disciplina esprimeva, in modo esplicito, tutta la sua disapprovazione, anzi il suo sdegno. Aveva fatto scalpore, durante il corso di un lontano anno accademico, l’improvviso gesto di punizione rivolto ad un suo studente, che oltre ad essere ignorante si era dimostrato anche arrogante: un incontrollato manrovescio, carico di disprezzo, era piombato di scatto sul giovane impertinente. Tale comportamento non rientra certo nelle abitudini universitarie di un docente ortodosso, ma rispecchia fedelmente il carattere impulsivo di Canella, giustamente indignato con l’allievo non tanto perché dava prova di scarsa preparazione, ma perché si permetteva di esibire una impudente maleducazione.

Occorre dire subito che la personalità di Canella rispecchia la sua architettura: personalità a forti chiaroscuri, architettura di forti contrasti. Le sue architetture, infatti, si presentano uniche ed inconfondibili, e si distinguono per l’articolata compenetrazione dei loro volumi e per l’esuberante varietà delle loro forme; sono subito riconoscibili sia per il ripetuto sovrapporsi, all’interno di una stessa composizione, di imponenti solidi geometrici (sfere, cilindri, timpani, ecc…), sia per la presenza, in uno stesso edificio, di molteplici componenti costruttive (torri, passerelle, gallerie). Affiorano nelle composizioni di Canella svariate reminiscenze storiche, immagini di architetture antiche, fantasmi di monumenti del passato.

Tutto ciò è segno di curiosità culturale, di vivacità e acutezza di mente, di passione per il patrimonio di costruzioni realizzate dall’uomo nel corso della storia.

La grande capacità creativa di Canella è l’ esplicita dimostrazione che l’architettura è fatta, anzitutto, di forme, e solo in un secondo tempo di funzioni. Con ciò viene ribaltato il principio basilare del Funzionalismo, tanto seducente quanto ingenuo, che affermava essere la forma determinata dalla funzione. Questa rigida consequenzialità, al contrario, non è affatto comprovata, giacché è noto che una medesima funzione può trovare risposta in molteplici forme, senza che con ciò la funzione venga compromessa o indebolita; mentre non è vero il contrario: una determinata forma non può essere sostituita da nessun’altra; non è mai intercambiabile; non può modificarsi indifferentemente senza pregiudicare l’essenza stessa del disegno architettonico originale. Il superamento del rigido determinismo funzionalista era stato attuato, subito dopo la guerra, dagli allora giovani maestri del Razionalismo italiano; ed in seguito è stato fedelmente abbracciato dai loro fedeli ed appassionati allievi, appartenenti alla generazione successiva, della quale Guido Canella era uno dei più autorevoli esponenti.

La disinvoltura con cui Canella affrontava i progetti appare subito evidente se si confrontano due dei suoi più noti edifici: il Municipio di Segrate e la Scuola di Noverasco (Opera). Due modi diversi, anzi opposti, di concepire il linguaggio architettonico, eppure entrambi coerenti sia all’interno della loro architettura, sia nell’ambito del curriculum progettuale dell’autore.

La coerenza della loro architettura sta nelle affinità dei caratteri stilistici tra insieme e dettagli: nel Museo i volumi arrotondati e curvi dell’intero complesso, si riflettono nelle superfici convesse e rotonde dei minuti particolari; nella Scuola il profilo triangolare che inquadra il frontone è ripreso dalle rientranze triangolari che scandiscono la facciata.

La coerenza nel curriculum professionale dell’autore è comprovata dall’assegnare alle costruzioni un ruolo che non è mai secondario, mai anonimo, mai insignificante. Entrambi gli edifici considerati sono infatti concepiti come un punto di attrazione collocato nel paesaggio, come un segnale di orientamento posto nella campagna circostante. Per ognuno di essi, come per i molti altri che aveva già progettato e che ancora progetterà, l’autore ha voluto stabilire una relazione percepibile con i dintorni, con le preesistenze, con l’ambiente.

Canella sa che l’opera architettonica, quando riveste una funzione pubblica, deve esaltare la sua vocazione di rappresentanza e di rilevanza civica. Deve perciò tradurre questa vocazione in un edificio di carattere monumentale, in un’opera che induca i frequentatori a sentirsi partecipi di una comunità riconosciuta e consolidata. I due edifici esaminati possiedono questo evidente carattere monumentale, anche se tradotto con linguaggi molto lontani tra loro e quasi contrastanti.

Un contrasto che conferma l’atteggiamento sperimentale del progettista, la sua volontà di esplorare forme espressive sempre nuove e sempre diverse.

Il Municipio è un organismo raccolto ed introverso, che si avvolge su se stesso come un serpente, e stringe le sue spire intorno alla torretta emergente nel punto planimetrico centrale.

La Scuola, al contrario, è un organismo disteso ed estroverso, che allunga le sue ali contrapposte e simmetriche, poste in posizione speculare rispetto al grande timpano centrale; e con ciò sembra voler imitare i bassi e lunghi volumi delle costruzioni agricole lombarde. Se l’uno privilegia la centralità e lo schema centripeto, l’altra sottolinea la linearità ed accentua la sua notevole estensione planimetrica. Il Municipio può definirsi un esempio di linguaggio organico, quasi zoomorfo, mutuato dal mondo naturale, mentre la Scuola può considerarsi un esempio di linguaggio classico, geometrico, rigorosamente controllato e dominato dall’esattezza della ragione. Il carattere classico della Scuola non è tanto riscontrabile nel grande timpano centrale, sovrapposto ad un arco ribassato, bensì è suggerito dalla regolarità e dalla simmetria dell’impianto distributivo.

Versatilità di linguaggi, abbondanza di proposte compositive, scioltezza e sicurezza di progettazione: questa è la lezione tramandataci da Canella sul piano dell’ elaborazione formale; mentre sul piano dei contenuti etici il suo contributo si manifesta nel valore civico assegnato alle sue architetture e nell’ ambizione di presentarle sempre come opere di significato monumentale.

Occorre riconoscere che a volte le sue esuberanti doti di progettista sono così incalzanti da trasformarsi in eccessi. A volte l’impeto con cui si getta nell’atto creativo lo porta ad esasperazioni formali, a risultati pletorici e farraginosi, ad esiti eccentrici e sconcertanti. Ma ciò non toglie che le sue architetture abbiano sempre un marchio di risoluta e forte personalità.

Nelle aule universitarie, nelle sale dei convegni, nelle redazioni delle riviste, non vedremo più la sua slanciata ed elegante figura, il suo volto sottilmente ironico, la sua andatura apparentemente noncurante, in realtà conscia di appartenere a quel dandy erudito in cui Canella amava riconoscersi e per cui lo ammiravamo con simpatia.

Jacopo Gardella



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