14 settembre 2009

LA LOTTA DEL “COMPAGNO” FINI


La domanda del momento è: ” Cosa vuole fare il compagno Gianfranco Fini ? ” . Dismessi basco nero e berretti verdi della “peggio gioventù”, l’ultimo segretario del Msi è diventato per quella consistente parte di opposizione ormai abituata a giocare esclusivamente di rimessa e non di proposta la prossima carta spendibile contro il Cavaliere , probabile nuova conferma del detto “chi di speranza vive di speranza muore”.

Non credo, infatti, che il Presidente della Camera abbia in mente di entrare in gioco a partita in corso (avrebbe fatto il ministro e non assunto una carica istituzionale stabile) ma penso invece che coltivi un’ambizione più ampia, quella di rilanciare una destra di tipo gollista presidenzialista , centralista e tecnocratica, puntando ad un rafforzamento delle istituzioni con uno spiccato senso della laicità dello Stato.

Fini può contare per questo su pochi sostegni e consensi in partenza e per di più deve anche andare a scavare in profondità per trovarne le radici nella storia della destra italiana : sommerso dalle macerie insanguinate della guerra e politicamente inutilizzabile tutto il Novecento , i faticosi tentativi di attualizzare la “Nuova Repubblica” di Almirante sono spesso stati frustrati da un malaccorto revanscismo dei “reduci” e dei cosiddetti colonnelli, che dopo qualche tentativo di intervenire sulla toponomastica con improbabili “via Benito Mussolini- statista”, hanno frettolosamente chiuso tutto nelle scatole dell’archivio per occuparsi del quotidiano concreto .

A Giano Bifronte piacerebbe molto orientare il suo doppio sguardo verso una Destra ed una Sinistra in competizione politica e non in rissa da strada, e quindi cerca di dare all’ on. Fini una piccola mano dalla Milano dove tutte le novità , belle o brutte, hanno avuto origine, indicandogli almeno qualche precedente storico .

E’ vero che nell’attuale centrodestra al potere i suoi sodali sono ormai più occupati nei piani edilizi che in quelli politici, ma non è sempre andata così: perfino negli anni cinquanta, quando era messa in dubbio la stessa legalità di un partito della destra e lo scontro politico aveva ancora i tragici caratteri della guerra civile non ancora esauritasi, si può trovare qualche barlume di dibattito e politica istituzionale.

Guardando i verbali del Consiglio Comunale, che vedeva la presenza di chi aveva avuto un figlio ucciso dai fascisti come Greppi e dei partigiani Lino Montagna ed Aniasi, si scopre che l’ Msi del futuro braccio destro di Almirante, Franco Servello, dopo essersi scambiata qualche legnata non metaforica tra gli scranni di Palazzo Marino, nella disperazione della destra clericale Dc che aveva fatto mancare i propri voti, votò a favore, dichiarandolo pubblicamente, della delibera che istituiva il Piccolo Teatro come ente pubblico considerando “il valore presente e futuro di una istituzione per la Città”, così come fece per l’apertura dell’aereoporto di Linate e per il ripristino della Fiera Campionaria, per la quale fu addirittura tra i proponenti .

In anni più recenti, nell’idea della “maggioranza silenziosa” di un giovane De Carolis non ancora precipitato nell’affarismo piduista o nel criminalizzato “rapporto” del prefetto Mazza, sotto l’appariscente ed ostile fastidio verso il “disordine” della contestazione, e quella che Montanelli definiva il tradimento radical chic dei salotti della borghesia milanese, si trovano qualcosa di più che le tracce di una visione di destra dello Stato unica autorità garante della legalità.

E’ un’idea di destra che non è alla lunga conciliabile con la destra popolare e populista, fondamentalmente reazionaria, che tutto crede tranne che nella “sacralità” delle istituzioni e che è sempre stata l’espressione prevalente di questa parte politica, dai tempi della Democrazia Cristiana e dello stesso Ventennio caro all’album di famiglia di Fini, Destra della quale ci sarebbe necessità in una società politicamente sana.

Ma sempre di Destra si tratta, con la quale l’attuale opposizione può avere convergenze sui principi fondativi, quali la laicità dello Stato, e per il bene e la salute politica di tutti, senza pensare che l’ex camerata si sia trasformato in compagno.

Franco D’Alfonso



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