15 settembre 2009

EXPO: SERRE BIOCLIMATICHE: CHE DELUSIONE!


Mercoledì 9 settembre è iniziata la diffusione di quelli che pensiamo siano i temi della ricerca da presentare all’Expo, dopo molti mesi di chiacchiericcio che di proposito ho ignorato.

Prima a Palazzo Reale e poi attraverso la stampa e la televisione è stato possibile prendere visione di un progetto di massima e dei suoi autori, cinque architetti coordinati da Stefano Boeri che con Jacques Herzog, Ricky Burdett, JoanBusquets, William McDonough hanno predisposto un piano generale. Finalmente si può ragionare su qualcosa che si presenta come una qualunque tesi di laurea e non proprio come un lavoro da cui deve apparire che sotto le immagini, per qualcuno accattivanti, vi siano riflessioni e competenze che hanno già spazzato via tutti, o gran parte, di quei problemi che inquinano le realizzazioni affrontate per appagare l’occhio e l’ingenuità di chi in realtà non sa niente su tre argomenti di fondamentale importanza.

Il primo riguarda il tema scelto che, nella graduatoria delle urgenze che gravitano sul mondo, non risulta nei primi posti ed è comunque poco strutturato e definito. I campicelli che metteranno insieme tutte (?) le forme di produzione del mondo mi sembrano quanto mai improbabili.

La selezione, se vi sarà, dovrà tener conto di un’infinità di problemi tra cui le diversità climatiche che le tende previste difficilmente potranno garantire. Non vorrei essere frainteso, ma la scelta pare formale, affidata al cardo e al decumano che non sono sufficienti a legittimare un connettivo assai complesso di servizi.

Ma che significa “Nutrire il pianeta, Energia per la Vita”? Cosa c’è di tanto rivoluzionario? Dov’è il pensiero? E gli obiettivi comprensibili nella loro sostanza?

Il secondo aspetto inquietante riguarda il progetto architettonico che non è chiaro chi lo svilupperà. Si parla di concorsi: si faranno anche se ormai vi sono cinque architetti chiamati a definire il progetto? Con che criterio sono stati chiamati i cinque professionisti? E il resto della città come si attrezzerà per rispondere al tema dell’accoglienza? Troppi interrogativi e da troppo tempo. Il terzo punto riguarda il dopo Expo di cui nessuno ha parlato. I campicelli verranno abbandonati per diventare uno dei tanti paesaggi apocalittici presentati dal film “The Road” al Festival di Venezia, o affidati alla gestione di qualche ente pubblico che con facilità potrà annegare nei debiti?

I toni accattivanti dell’informazione fanno parte di strategie politiche necessarie a tranquillizzare gli elettori che hanno bisogno di certezze semplici ed essere assecondati nelle aspirazioni che hanno fatto del Mulino Bianco un “must”. Ma una parte, forse non proprio esigua, si domanda con insistenza il perché si debba essere trattati dall’informazione in modo così approssimativo.

Perché il Sindaco sente il bisogno di dire che questa Expo “è innovativa perché per la prima volta si privilegia il contenuto anziché il contenitore e si offre una elaborazione legata a ciò che non si può toccare e diventa esperienza” (Corriere Della Sera 9.9.09). Ma crede sinceramente in quello che dice? Oppure questo progetto rappresenta quello che è possibile fare ora con i denari a disposizione e dunque è necessario sostenerlo a scapito di una qualità vera che piacerebbe a tutti e che forse è compromessa?

Dare risposta agli interrogativi è un’esigenza civile e doverosa cui molti non rinunciano perché rappresenta uno dei tanti modi di offrire un contributo alla realtà e di partecipare a questa in modo attivo, culturalmente aperto alla definizione di quello che è contro ogni apparenza senza sostanza.



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