15 ottobre 2014

GLI STATUTI METROPOLITANI E L’ESEMPIO DELLE MÉTROPOLES FRANCESI


L’avvio delle Città Metropolitane, avvenuto con l’elezione di secondo livello dei loro Consigli, è certamente benvenuto: si tratta infatti di una innovazione attesa da tempo nel governo (istituzionale) e nella governance (procedurale e funzionale) dei territori metropolitani, dalla quale i cittadini si attendono azioni concrete in direzione di due obiettivi: migliorare l’efficienza territoriale e la qualità territoriale del nostro paese, nel senso di una maggiore competitività e insieme di una migliore vivibilità.

03camagni35FBUn poco meno benvenuta è l’evidente debolezza della nuova istituzione metropolitana, che ha spinto recentemente alcuni sindaci, fra cui il sindaco Pisapia, a dubitare dei risultati effettivamente perseguibili. Fortunatamente oggi resta aperta una cruciale e giuridicamente lungimirante opportunità offerta dalla legge 56/2014 per il rafforzamento del nuovo ente: ci riferiamo alla redazione degli Statuti metropolitani, cui si attribuisce una “inconsueta autonomia” (Vandelli) al fine di meglio adattarsi alle specificità dei territori e alle preferenze espresse dalle comunità insediate. Gli Statuti infatti, oltre a stabilire “le norme fondamentali dell’organizzazione dell’ente”, indicano “le attribuzioni degli organi nonché l’articolazione delle loro competenze” (art. 1 c. 10); e possono prevedere che “i comuni e le loro unioni” deleghino (…) “l’esercizio di specifiche funzioni” alle C.M. (comma 11). Infine la legge prevede che “lo Stato e le Regioni possono attribuire ulteriori funzioni alle C.M.” (comma 46), al di là di quanto esplicitamente indicato nella legge.

Dunque una opportunità da non perdere assolutamente, ma cui non si dedica la priorità che merita: viene da supporre proprio per il fatto che una città metropolitana debole va bene a molti: ai sindaci che non perderebbero autonomia e alle regioni perché non vedrebbero formarsi un possibile contro-potere.

Vorrei proporre due brevi riflessioni: la prima sui limiti del disegno istituzionale nazionale, anche alla luce delle risposte che in questi stessi mesi sono date in Francia allo stesso obiettivo della costituzione delle métropoles; la seconda sulle possibili novità che sarebbe assolutamente necessario introdurre negli Statuti, solo che la politica locale voglia prendere in mano seriamente la materia.

La debolezza della legge 56 e l’esempio francese delle costituende métropoles.

La parte della legge Delrio che tratta della città metropolitana è certamente fragilissima, quella in cui la distanza fra obiettivi e soluzioni è tale da far temere un’ennesima occasione mancata per il paese.

Servirebbe infatti, come recita la relazione al disegno di legge iniziale, “uno strumento di governo flessibile, dalle ampie e robuste competenze, in grado di essere motore di sviluppo e di inserire le aree più produttive nella grande rete delle città del mondo”. Dunque servirebbe una istituzione davvero forte, cui delegare dal livello comunale e regionale funzioni di programmazione e di pianificazione di area vasta, capace di interpretare i nuovi bisogni dell’economia e della società e di rilanciare nuove progettualità.

Ma la proposta legislativa sembra andare in tutt’altra direzione: le città metropolitane assomigliano in larghissima misura alle (nuove) province, già deboli istituzionalmente e ulteriormente indebolite; “enti governati dai sindaci” che prestano gratuitamente i loro servizi, senza risorse per le poche competenze aggiuntive. Le funzioni assegnate sono infatti “le funzioni fondamentali delle province” (pianificazione territoriale di puro coordinamento, infrastrutture interne e servizi di mobilità, ambiente, rete scolastica). Di nuovo e sostanziale troviamo:

– il piano strategico: uno strumento di coordinamento e di indirizzo, che è possibile (e utilissimo) attivare anche in assenza di rivoluzioni istituzionali, come ha dimostrato la recentissima esperienza realizzata con qualche successo dalla Provincia e dal Comune di Bologna;

– la promozione dello sviluppo e il supporto alle attività economiche e di ricerca innovative, ma lasciati totalmente senza risorse;

– la pianificazione territoriale generale, non meglio definita e dimenticata all’art. 1 comma 2 della legge laddove si elencano funzioni e finalità istituzionali generali; una funzione che duplica e rischia di appiattirsi sulla vecchia pianificazione di coordinamento provinciale.

La attribuzione del compito della pianificazione territoriale a istituzioni di secondo livello (‘governate dai sindaci’) è accettabile, ma a condizione che se ne definiscano i veri poteri, le funzioni conferite dal livello comunale e dal livello regionale, il sistema di incentivi e, in sintesi, che si evidenzi l’adeguatezza’ del nuovo ente per queste funzioni (ricordiamo che il livello comunale non è quello ‘adeguato’ per effettuare una pianificazione territoriale efficace). Si sarebbe anche potuto assimilarla alla pianificazione intercomunale “di struttura” prevista in alcune Leggi regionali, come era stato autorevolmente ma inutilmente suggerito da molti.

Esiste poi un potenziale conflitto di interessi, non solo in ambito pianificatorio, fra le cariche di sindaco e consigliere metropolitano da una parte e le stesse cariche ricoperte a livello comunale dalle stesse persone dall’altra. La soluzione più democratica, consistente nel passare all’elezione a suffragio universale del sindaco e dei consiglieri, è però ostacolata dalla imposizione di inutili condizionalità: “l’articolazione del comune centrale in più comuni” (o in “zone dotate di autonomia amministrativa” per le città maggiori) (art. 1 comma 22): un’idea antica e confutabile, che indebolirebbe il comune centrale all’interno di una istituzione metropolitana già debole.

Sul fronte finanziario e fiscale le risorse a disposizione della CM sarebbero in prima istanza quelle delle attuali province: non si indicano nuove risorse fiscali proprie, né si impongono partecipazioni a risorse attualmente in capo a Comuni e Regioni. La possibilità, che resta aperta, di spontanee attribuzioni consensuali di risorse fiscali da parte di questi enti alla nuova istituzione appare oggi poco probabile.

Colpisce infine l’assenza di nuovi cruciali obiettivi da attribuire alla Città Metropolitana, quali emergono dal dibattito politico e culturale attuale: monitoraggio e riduzione dei consumi di suolo, incentivazione alla rigenerazione urbana, azioni per favorire la fruibilità di immobili inutilizzati, azioni in direzione di una vera coesione sociale e territoriale.

Appare a questo punto interessante una breve analisi delle soluzioni adottate in Francia nella nuova legge istitutiva delle Métropoles, approvata quasi contemporaneamente alla legge 56 nel gennaio 2014: la MAPTAM (Loi de modernisation de l’action publique territoriale et d’affirmation des métropoles“, n. 2014-58). Non interessano qui i dettagli né una illustrazione complessiva, ma solo la focalizzazione di alcuni elementi di base sui quali sembra utile riflettere, al fine di un possibile rafforzamento del nostro nuovo ente (1) (Gibelli, 2014).

Con la loi 58 si istituiscono per il momento solo tre Métropoles: Paris, Lyon, Aix-Marseille-Provence; solo Lione sperimenterà da subito l’elezione diretta del consiglio metropolitano, grazie alla sua lunga tradizione di efficace cooperazione intercomunale.

La natura giuridica. Le tre métropoles sono “enti pubblici a fiscalità propria – EPCI – e a statuto speciale”, le cui competenze sono assai vaste e specificate dalla legge per ciascuna di esse. Come le communautés d’agglomération e le communautés urbaines, sono titolari di entrate fiscali proprie, rappresentate da quote delle imposte fondiarie e immobiliari comunali, pagate da famiglie e imprese, sulle quali hanno competenza quanto a tassi e quote.

Le funzioni. Sono specificate per ciascuna metropoli e comprendono ambiti precedentemente attribuiti ad altri enti, comuni e dipartimenti. Nel caso del Grand Paris, la métropole sostituisce a pieno diritto i Comuni nell’esercizio delle seguenti funzioni:

– pianificazione territoriale di livello metropolitano (con lo schéma de cohérence territoriale e gli schémas de secteur); costituzione di riserve fondiarie di interesse metropolitano; politica della casa e logement social;

– tutela dell’ambiente e della qualità della vita;

politique de la ville (dispositivi negoziali e contrattuali di sviluppo urbano finanziati dallo stato); grandi progetti di trasformazione urbana; pianificazione dei trasporti;

– sviluppo e pianificazione (aménagement) economica, sociale e culturale.

Nel caso di Lione, alla métropole è assegnata anche la competenza sui piani urbanistici (plan local d’urbanisme) e la gestione dei grandi servizi urbani.

Si istituisce in ciascuna métropole un Conseil de développement che riunisce i partner economici, sociali e culturali ed è consultato sugli orientamenti strategici.

La costituzione effettiva delle métropoles è prevista l’1 gennaio 2016; da qui ad allora è prevista, e già realizzata, la costituzione di una mission de préfiguration: una commissione tecnico-politica di alto livello cui partecipano il prefetto della regione, i politici locali (élus) e i partner socio-economici, con il compito di predisporre lo statuto metropolitano, l’organizzazione e la struttura budgettaria dell’ente, un documento di diagnosi generale del territorio che costituisce la base per il successivo “progetto metropolitano”, nonché soprattutto un “patto finanziario e fiscale” che legherà la metropoli e i suoi comuni.

Come appare in piena evidenza, nel caso francese possiamo certamente parlare di “uno strumento di governo dalle ampie e robuste competenze, in grado di essere motore di sviluppo”, per le funzioni attribuite e le risorse proprie assegnate, e di un processo temporale di costruzione istituzionale coerente, serio, ben strutturato e non improvvisato. Ma soprattutto, traspare dal caso francese una precisa volontà di costruzione di una intercomunalità vera ed efficace.

L’occasione degli Statuti metropolitani.

Tornando al caso del nostro paese, esiste oggi una possibilità concreta di rafforzare funzioni e strumenti a disposizione del nuovo ente attraverso una attenta e lungimirante scrittura degli Statuti metropolitani. Si tratta di una importante innovazione, dettata dall’opportunità di prevedere differenziazioni connesse con le specificità dei diversi territori, le preferenze espresse dai cittadini, le diverse priorità individuate dalla politica.

Con l’avvenuta elezione dei Consigli metropolitani, che ha fin qui monopolizzato l’attenzione politica locale, si apre una fase nuova e cruciale di discussione, dibattito e negoziazione. Gli attori sono naturalmente i Sindaci metropolitani che presiedono ai lavori, i Consigli in cui si negozierà la possibilità di attribuire alle CM funzioni e risorse oggi in capo ai Comuni, le Conferenze metropolitane che adottano gli Statuti approvati dai Consigli, le Conferenze Statutarie da eleggere, che redigono la prima proposta di Statuto, ma anche le Regioni e lo Stato nel caso di una negoziazione su nuove competenze e risorse.

Sulla base di quanto detto in precedenza, suggerisco che gli Statuti metropolitani includano almeno questi nuovi obiettivi e competenze:

– una forte competenza di pianificazione territoriale “di struttura”, con deleghe dal basso per una efficace pianificazione intercomunale;

– una competenza delegata (dai Comuni, dalle Regioni e dallo Stato) sulla fiscalità locale diretta agli operatori immobiliari in materia di trasformazioni urbanistiche e delle relative rendite e capital gain, adeguatamente negoziata. Da una parte oggi questa fiscalità è mantenuta a livelli incompatibili col finanziamento finanche delle infrastrutture di base e della manutenzione urbana; d’altra parte, essendo in larga misura appannaggio dei singoli comuni, essa è utilizzata come strumento di competizione nella attrazione di localizzazioni commerciali, industriali e d’ufficio, con effetti distorsivi e sconti generalizzati;

– una fiscalità a carattere patrimoniale, diretta a famiglie e imprese, in compartecipazione alle attuali imposte comunali che possa costituire una fonte di finanziamento del livello di governo metropolitano per interventi strutturali, come nell’esempio francese;

– un esplicito obiettivo di riduzione dei consumi di suolo, da realizzarsi anche attraverso la rigenerazione urbana che necessita di appropriati incentivi e di dissuasioni regolamentari sulla dispersione insediativa;

– un obiettivo di semplificazione, compattamento ed efficientamento della gestione delle aree produttive,

– una competenza forte su housing sociale e riuso del patrimonio edilizio inutilizzato,

– l’istituzione di un “Consiglio di sviluppo” metropolitano con le parti sociali, economiche e culturali, sull’esempio francese, che affianchi il governo locale nella valutazione e nell’attivazione di grandi progetti nonché nel percorso partenariale del piano strategico;

– l’imposizione di regole di trasparenza nelle decisioni e di anticorruzione negli appalti;

– la proposizione di credibili ed efficaci procedure per la partecipazione dei cittadini,

– un’azione di comunicazione che supporti la costruzione di un’identità metropolitana.

Si tratta di funzioni e di obiettivi essenziali, sui quali la legge 56 appare sostanzialmente muta.

 

Roberto Camagni

Politecnico di Milano

 

(1) Si veda l’articolo di Maria Cristina Gibelli (2014), “Milano città metropolitana fra deregolazione e nuova progettualità“, Meridiana, n. 80, numero monografico sulla Città Metropolitana, 41-64



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