1 ottobre 2014

MILANO METROPOLI: RIORDINIAMO LE IDEE


L’alimentazione, come il respiro, il sesso e il sonno, sta alla base della piramide dei bisogni di Maslow accanto alle più elementari esigenze umane, mentre creatività gusto e vanità si pongono nei livelli più alti della stessa scala. Pertanto la pretesa di considerare tale bisogno primario addirittura nella dimensione “planetaria, energetica e vitale” pone Milano, sede epocale di Expo 2015, nella condizione di riflettere innanzitutto su se stessa, sul proprio equilibrio tra hardware fisico-territoriale e software politico-istituzionale (nonché mediatico-culturale) a cominciare dal proprio sistema urbano e metropolitano. Tale riflessione incrocia, infatti, la scadenza della Città Metropolitana “qui e ora” richiedendo decisioni politiche chiare e tempestive, superando la fase delle generiche dissertazioni sociologiche sul presunto ideal-tipo (*) nonché le gratuite esternazioni propagandistiche di buone intenzioni.

09ballabio33FBQui l’occasione della costituenda nuova istituzione potrebbe – se fatta sul serio, evitando la comoda tentazione dell’operazione di facciata – riportare in primo piano la realtà fisica dell’area metropolitana, provare a risanare e recuperare un territorio purtroppo assai compromesso da decenni di governo frammentato e contraddittorio quando non manifestamente manipolato a meri fini particolaristici. Infatti siamo di fronte a una situazione in buona parte irrimediabilmente danneggiata: si pensi alla miriade di eco-mostriciattoli diffusi nei circa duecento comuni dell’area reale, insieme a milioni di metri cubi di fabbricato abbandonati o inutilizzati con ingente quota di suolo vergine consumato, all’inquinamento dell’aria e al dissesto del regime delle acque, alle grandi opere inutili per finire con diffuse carenze di manutenzione straordinaria e ordinaria dei beni pubblici (ad esempio l’estinzione della segnaletica orizzontale su buona parte delle strade provinciali e comunali, causa di rischio per la sicurezza e la salute collettiva).

È tardi per chiudere la stalla: i buoi sono in buona parte già scappati e pertanto si tratta della non facile impresa di recuperarli. Per provarci occorre un ben addestrato cane-pastore, uno strumento istituzionale autorevole, rispettoso delle autonomie comunali ma a sua volta autonomo e sovraordinato rispetto a esse, dotato – a differenza della soppressa Provincia – di poteri cogenti in materia di pianificazione territoriale, sistema della mobilità, tutela del verde e dei valori ambientali. Ma potrebbe mai una simile creatura, naturalmente eletta a suffragio universale come proclamato da tutti i candidati concorrenti alla stesura dello Statuto – reggere accanto all’ingombrante permanenza dell’attuale comune di Milano? Il quale a sua volta si trova ristretto tra due alternative: o fingere di decentrarsi in “zone autonome” eludendo quanto espressamente previsto dalla legge, o farlo sul serio deprivandosi di risorse e poteri con l’inevitabile risultato di ritrovarsi nella situazione di “terzo incomodo”.

Nel primo caso, infatti, abbiamo scherzato, e tanto vale lasciare la città metropolitana non elettiva, al pari delle normali restanti province, subalterna e marginale rispetto all’intangibile Capoluogo. Nel secondo si aprirebbe una confusa sovrapposizione di ruoli e funzioni tra Comune, che come tale conserva le sue prerogative, e Zone “dotate di autonomia amministrativa”, con relativi conflitti di competenze, rimpalli di responsabilità, ulteriore complicazione delle cose già ora non del tutto semplici. Resterebbe – facciamoci coraggio – una terza soluzione: sia il Comune a fare un passo indietro, trasformandosi in “zona omogenea” non elettiva e riversando effettivamente tutti i poteri locali ai Municipi decentrati.

Si applicherebbe allora né più né meno quanto previsto dal primo paragrafo dell’art. 22 della vigente legge, scartando (ancorché in carne di oltre tre milioni di abitanti!) l’alternativa del secondo paragrafo in quanto contraddittorio, pericoloso e iniquo. Su queste colonne si è già rilevato infatti che tale ultima ipotesi discrimina la cittadinanza circa il fondamentale diritto di voto, creando elettori di serie A, B e C a seconda della residenza anagrafica nel capoluogo, nell’hinterland o nelle altre province! Tuttavia pare, a meno di piacevoli smentite, che su tale delicato ma decisivo argomento perduri il silenzio assordante dei candidati e delle liste (peraltro perfettamente dosate per genere, localizzazione, provenienza partitica e persino “civica”, ecc.) rotto solo da flebili voci di gruppi volontari per altro, come puntualmente rilevato dal direttore di ArcipelagoMilano, poco o nulla ascoltate o confrontate.

Valentino Ballabio

(*) Su tale materia, elaborata da par suo dal compianto Guido Martinotti, giova richiamare un breve botta/risposta col sottoscritto (ArcipelagoMilano del 2/11/2011, posta dei lettori):

“Ballabio – Mi spiace che anche l’autorevole professor Martinotti guardi al futuro delle istituzioni intermedie con una prospettiva scientificamente ineccepibile ma impraticabile sotto il profilo politico-amministrativo (lo Scienziato propone ma poi è il Burocrata che dispone). Con quali poteri cogenti un’ipotetica “Provincia metropolitana diventerebbe lo strumento reale per la programmazione a scala metropolitana, che è quello che manca davvero” qualora al di sotto (o al di sopra?) si ritrova un Comune di Milano avente peso politico ed economico esponenzialmente superiore? La Provincia tout court ci ha già provato, con maggioranze di alterno colore ma con esito pressoché nullo. (…) Allora o la città di Milano, i cui confini si sono opportunamente ampliati almeno tre o quattro volte nella storia, si estende sino a un’approssimativa area metropolitana, o non se ne fa nulla. Temo infatti che le “geometrie variabili” generino soltanto inutili “tavoli” tra istituzioni invariate mentre la rinuncia a ridefinire i confini (sempre arbitrari ma indispensabili per contenere programmi, bilanci e diritti di cittadinanza) e a distinguere compiti e funzioni (evitando doppioni, sovrapposizioni e rimpalli) trovino purtroppo riscontro nella pigrizia di una classe politica, sinora, “riformista” a vuoto.

Martinotti – È un’opinione di tutto rispetto, che conosco bene e di cui prendo atto. Può darsi che la mia proposta (definire SCIENTIFICAMENTE cioè senza dirette conseguenze amministrative, la nuova unità funzionale sul territorio e INDIPENDENTEMENTE stabilire unità di governo di sue porzioni senza necessariamente usare come mattone le entità esistenti – ricordo che una almeno, la provincia è in via di eliminazione) sia impraticabile. Non mi nascondo le difficoltà. Mi domando però come si possono risolvere le difficoltà di un ulteriore ampliamento dei confini milanesi. Se la posizione è “Allora o la città di Milano, i cui confini si sono opportunamente ampliati almeno tre o quattro volte nella storia, si estende sino a un’approssimativa area metropolitana, o non se ne fa nulla”. La mia previsione è: non se ne farà nulla. Se mi sbaglio correggetemi. Vorrei però ricordare cosa diceva Von Humboldt delle innovazioni, che prima ti dicono che è risibile, poi dicono che non si può fare e poi dicono l’avevamo sempre saputo.



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