24 settembre 2014

MILANO E LA NUOVA ‘LEGGE LUPI’: UN RITORNO AL PASSATO? NO: PEGGIO


La bozza di legge su “Principi in materia di politiche pubbliche territoriali e trasformazione urbana” predisposta su incarico del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Maurizio Lupi dovrebbe presto arrivare in Parlamento. Purtroppo non si tratta di una mera riproposizione del Disegno di legge “Principi in materia di governo del territorio” che lo stesso Lupi, allora parlamentare di Forza Italia, aveva proposto nel 2005 come primo relatore durante il governo Berlusconi.

04gibelli32FBGià allora si trattava di un disegno di legge molto criticato e combattuto da una parte della cultura urbanistica. Approvato alla Camera con ampio consenso bipartisan, non concluse per fortuna il suo iter alla scadenza del mandato del governo Berlusconi. Ma la nuova versione appare ancora più rischiosa e fuorviante: e, dunque, davvero non emendabile.

Perché parlarne su ArcipelagoMilano? Non solo perché, se venisse approvata, quella legge farebbe piazza pulita anche delle possibili innovazioni nel modello di governance metropolitana che la “Legge Delrio”, pur con i suoi limiti, potrebbe produrre. Ma anche perché la storia del successo di Maurizio Lupi ha radici milanesi.

È a Milano che il ministro è stato assessore comunale allo Sviluppo del Territorio, Edilizia privata e Arredo urbano della giunta Albertini dal 1997 al 2001. È a Milano che ha fatto i primi passi una deregolazione urbanistica che ha poi trovato una configurazione organica con la LR 12/2005 sul Governo del Territorio e i suoi molteplici, e sempre peggiorativi, emendamenti successivi. È a Milano e hinterland che si stanno cogliendo i frutti avvelenati, in termini di coesione sociale, vivibilità, ma anche competitività, di quella stagione.

Perché la nuova ‘legge Lupi’ è più pericolosa della precedente versione? Perché, abbandonata ogni cautela (allora nel testo si affermava, all’art. 5, comma 4, che “Le funzioni amministrative sono esercitate in maniera semplificata, prioritariamente mediante l’adozione di atti negoziali in luogo di atti autoritativi“), l’unico e assertivo principio esplicitamente evocato cancella la titolarità pubblica della pianificazione: si garantisce all’art. 1, comma 4 che “ai proprietari degli immobili è riconosciuto, nei procedimenti di pianificazione, il diritto di iniziativa e di partecipazione, anche al fine di garantire il valore della proprietà” e si ribadisce all’art. 8, comma 1 che “il governo del territorio è regolato in modo che sia assicurato il riconoscimento e la garanzia della proprietà privata, la sua appartenenza e il suo godimento“. Anche il titolo della legge è dunque fuorviante quando si richiama alle “politiche pubbliche territoriali”.

Tutto l’articolato discende in linea diretta da questo principio (palesemente incostituzionale).

La legge appare totalmente squilibrata a favore del rilancio dell’attività edilizia attraverso il “rinnovo urbano” affidato a una congerie di strumenti deregolativi: libero ed esteso trasferimento di diritti edificatori, possibilità di accordo con gli operatori privati anche in assenza di pianificazione operativa o in difformità da questa, totale libertà nella destinazione d’uso dei suoli e nel cambio di destinazione d’uso, premialità, perpetuità e irriversibilità dei diritti edificatori, esproprio di privati da parte di privati nei progetti di rinnovo urbano, etc.

Insomma, non è una legge di principi per la pianificazione, ma contro la pianificazione. Una legge a sostegno della rendita e della proprietà immobiliare che sembra predisposta dall’ufficio studi dell’associazione dei costruttori. Una legge che rafforza l’intreccio fra rendita, speculazione immobiliare, finanza e pubblica amministrazione, rendendolo principio cui subordina totalmente le esigenze di tutela dei beni comuni. Una legge sul “rinnovo urbano” (una locuzione davvero obsoleta e ambigua), muta su accountability e trasparenza dell’azione amministrativa: due elementi davvero cruciali, se la trasformazione urbana viene affidata a progetti negoziati.

Molte recenti vicende di importanti progetti di trasformazione oggi al vaglio della magistratura inquirente, milanesi e non solo, sconsiglierebbero dal procedere lungo una tale via ‘riformatrice’. Nessuna affinità è riscontrabile con i percorsi riformatori seguiti in altri paesi europei avanzati: Francia, Germania e paesi nordici fra i primi. Milano e la sua comunità metropolitana (i suoi cittadini, i suoi amministratori, chi si occupa di urbanistica e di qualità urbana) dovrebbero rispondere, con garbo: no grazie!

Maria Cristina Gibelli

 Vai alla Lettera aperta al Ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture Maurizio Lupi

 



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