24 settembre 2014

BIBLIOTECHE E SPAZI PUBBLICI DI QUALITÀ


Le biblioteche contemporanee si stanno trasformando in tutta Europa in piazze del sapere. Non più austere sale studio, templi esclusivi degli accaparratori dell’alta cultura, ma grandi spazi dove pubblici molto diversi (studenti, immigrati, pensionati, casalinghe, disoccupati) trovano, accanto ai libri e giornali, film, materiali musicali, zone computer sui quali viaggiare in Internet, accedere alle proprie mail o fare skype, aree in cui i bimbi anche molto piccoli, possono muoversi a gattoni e frugare fra libri e giochi colorati. Ovunque comode poltrone e sedili dal design inusuale e tavoli di varie dimensioni sui quali appoggiare i libri presi direttamente dagli scaffali.

05sclavi32FBLuoghi ridisegnati in base a un approccio sistematico di ascolto, chiedendo ai cittadini e abitanti: cosa manca, cosa non c’è in una normale biblioteca che la rende un luogo poco interessante o addirittura repellente, per voi? Risposte: manca uno spazio in cui si possa contemporaneamente leggere un libro e mangiare un panino, manca l’apprezzamento e valorizzazione dei saperi pratici, delle arti e mestieri, manca lo spazio per i bambini, manca per me che sono disoccupato un ufficio in cui essere in contatto con le richieste del mercato del lavoro, e così via.. Ed ecco che dentro la piazza del sapere sorgono, oltre ai centri di lettura, i corsi di cucito e di cucina interetnica, l’artigiano tiene una affollata conferenza su come funziona la propria bottega/officina, i disoccupati e precari possono accedere a un sito che pubblica le richieste di lavoro scambiando nel contempo informazioni fra loro.

Spazi pubblici gratuiti produttori di “solidarietà e certezza”, che comunicano un senso di “forza tranquilla”, nella misura in cui invitano ognuno nella sua singolarità e diversità a farsi promotore di iniziative di incontro e di scoperta, di progetti di dialogo che giudica utili e desiderabili, in stridente contrasto con le atmosfere nevrasteniche e consumistiche dei grandi centri commerciali. Luoghi garanti di una convivenza di alta qualità, affollatissimi. Andate a vedere al Pertini di Cinisello Balsamo nelle ore del dopo scuola, tutti quei giovani vestiti come quelli dallo sguardo opaco, ma invece diventati intelligenti.

In Italia ovunque una previa biblioteca tradizionale o uno spazio pubblico desolato da riqualificare abbia subito una trasformazione di questo tipo, c’è lo zampino diretto o indiretto di Antonella Agnoli. I suoi libri, da Le piazze del sapere (2009) a Caro sindaco parliamo di biblioteche (2011) all’appena uscito La biblioteca che vorrei (2014) sono dei veri e propri manuali di sburocratizzazione mentale e pratica. Come tali contengono indicazioni che riguardano non solo gli spazi pubblici, ma più in generale il governo del territorio, le nuove regole e procedure della decisione politica.

Quando Antonella Agnoli documenta e illustra con esempi raccolti in tutta Europa, Stati Uniti, Giappone, quali sono le caratteristiche non solo spaziali, ma anche mentali e gestionali, che fanno di una biblioteca “un motore culturale” del territorio in cui opera, sta fornendo ricette che valgono anche per la riforma del nostro sistema scolastico e sta indicando il nuovo e inedito ruolo di costruttrice di comunità che la pubblica amministrazione è chiamata a svolgere in una società post-moderna, una società liquida.

Prendete la scuola: è chiaro che la sua indispensabile e urgente riforma deve partire non solo dalla manutenzione straordinaria degli edifici, ma proprio dalla concezione degli spazi dell’incontro educativo. I banchi rivolti verso la cattedra con i giovani seduti per ore a due a due come i carabinieri, gli orari delle lezioni tutti uguali e rigidi, la suddivisione per materie come compartimenti stagni, sono tutte espressioni di una concezione arcaica dei rapporti fra autorità e conoscenza, fra conoscenza e comunicazione.

Prendete la riforma della PA: il funzionamento delle piazze del sapere dimostra che il rimedio non è “la semplificazione”, ma caso mai la “complessificazione” delle modalità di analisi e di decisione. La complicazione, la pletora di controlli incrociati, l’incapacità di formulare giudizi di merito trasparenti e condivisi, nascono dal non sapere come trasformare le differenze in risorse, dalla ignoranza su come gestire la complessità. Nelle biblioteche che funzionano, le biblioteche piazze del sapere, il garbuglio delle leggi e dei controlli incrociati incapaci di invenzione e di apprezzamento della qualità dei progetti e dei soggetti, è stato sostituito dal metodo dell’ascolto attivo e dal ricorso sistematico a “processi partecipativi obbligatori, non facoltativi”, da elenchi delle “verifiche indispensabili” che in un processo trasparente e inclusivo aiutano tutti i partecipanti a tener conto di aspetti essenziali (vedi pp 118-120 di La biblioteca che vorrei).

Le piazze del sapere ci insegnano a farci promotori, come politici, amministratori e cittadini, del passaggio dalla complicazione alla complessità. La prima è moltiplicazione delle variabili e dei soggetti divisi in compartimenti stagni, ognuno bloccato nella propria casella e incapace di visione d’insieme, la seconda è basata sul dialogo, sulla trasparenza e l’inclusione di tutti i soggetti interessati alle questioni in gioco.

Si tratta di passare da una mentalità o top down o bottom up, al multi-track: le soluzioni che funzionano si trovano solo se tutti coloro che sono interessati (a tutti i livelli della gerarchia di potere e in tutti gli strati della società) sono coinvolti, e se il procedimento prevede che debbano accogliere i rispettivi punti di vista e collaborare a inventare soluzioni nuove, di mutuo gradimento. Per imboccare questa strada, la descrizione di esperienze di successo in corso è fondamentale perché dobbiamo tutti (non solo i politici) superare un “pregiudizio burocratico” secondo il quale “decentramento” significa che parte delle decisioni prese al centro vengono spostate in periferia, ferme restando la organizzazione del lavoro, la mentalità, le procedure. Altrimenti è il caos.

La visita alle piazze del sapere che si stanno moltiplicando ovunque nel mondo, ci fa toccare con mano che è vero il contrario: il caos è quello in cui siamo immersi, mentre la responsabilizzazione delle comunità nella gestione del territorio è la risposta, purché naturalmente la cassetta dei nuovi attrezzi sia messa a disposizione di tutti. Ed è un discorso che andrebbe applicato in ogni sfera decisionale non solo – per limitarci a Milano – nel processo partecipativo Garibaldi e l’Isolapartecipata, dove effettivamente ci abbiamo provato con esiti universalmente riconosciuti come positivi, ma anche nella gestione delle Case Popolari Comunali e anche nella stesura dello Statuto della Città Metropolitana (come hanno fatto a Bologna). E se col metodo del Confronto Creativo si è riusciti nel 1992 e 1995 a organizzare gli incontri internazionali sul clima di Rio e di Kioto, forse anche l’Expo, avrebbe potuto trarne vantaggio. Sono necessarie due qualità: coraggio e conoscenza. Dove cercarle? In biblioteca!!

 

Marianella Sclavi



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