24 settembre 2014

DISEGNO DI LEGGE SUI PRINCIPI URBANISTICI: FORSE C’È QUALCOSA DA CAMBIARE


Entro il 15 di settembre si potevano inviare proposte e commenti critici al disegno di legge di principi urbanistici messo in consultazione on-line a fine luglio. Quella della consultazione è una buona idea (sperando che non sia solo di facciata, e che i contributi inviati vengano effettivamente letti), visto anche che il disegno di legge non appare del tutto definito e presenta alcuni punti critici sia nell’impostazione che su alcuni importanti dettagli.

06praderio32FBIn generale, il testo riordina e mette a sistema molte delle innovazioni recenti della normativa urbanistica, in particolare quelle sperimentate in Regione Lombardia, con esiti però forse non del tutto felici, o sui quali per lo meno qualcuno avrebbe da discutere. In ogni caso, si può avere qualche dubbio sull’effettiva operatività di molte delle disposizioni proposte. Non è chiaro infatti come il disegno di legge si inserisca nel complesso sistema della legislazione urbanistica, quali leggi vengano abrogate (tranne il povero DM 1444/68 e alcune disposizioni fiscali, alcune giustamente da modificare, peraltro), quali implicitamente superate, quali invece continuino ad avere efficacia. Non è poco, in una situazione già abbastanza farraginosa come la nostra. Sembra poi scarsamente efficace ipotizzare cinque (o addirittura dieci) anni di tempo fra il piano programmatorio e quello operativo, cosa avviene nel frattempo? Tanto è vero che non si prevede la salvaguardia del primo, che così diventa veramente poco incisivo. E sull’edilizia pubblica, siamo ancora sicuri dell’efficacia degli incentivi volumetrici, in un momento di grande offerta di edificabilità, e di scarsa domanda?

Ma probabilmente è necessaria una riflessione anche su alcuni importanti dettagli, quello della commisurazione degli oneri inversamente proporzionale alla densità edilizia e quello dell’indennizzo dei diritti edificatori liberamente commerciabili.

Sul primo aspetto (oneri che diminuiscono in base alla densità), si tratta di un principio ripetuto più volte nel testo di legge, ed è quindi da escludere che si tratti di una svista o di un refuso, come potrebbe sembrare a prima vista.

La disposizione infatti è abbastanza irragionevole per alcuni principali motivi:

* gli oneri notoriamente sono (almeno all’origine) una tassa di scopo: servono a pagare le urbanizzazioni e i servizi resi necessari da un intervento. Maggiore è la densità, maggiori normalmente – anche se in modo non lineare – i servizi necessari (più domanda di scuole, di parcheggi, ecc.), maggiori conseguentemente i costi: che però per il principio di proporzionalità inversa verrebbero meno coperti dagli oneri

* questo non servirebbe comunque a contenere il consumo di suolo: un intervento denso in area inedificata pagherebbe meno oneri di uno meno denso in area edificata, che verrebbe così reso meno conveniente;

* una bassa densità edilizia potrebbe essere originata dal rispetto di caratteristiche paesaggistiche esistenti (città giardino, centri storici minori, ecc.) che così verrebbero ingiustamente penalizzati.

Vero è che lo sprawl urbano comporta uno spreco di risorse, mentre edificazioni più ravvicinate consentono un uso più razionale delle urbanizzazioni. Ma questo obiettivo può essere perseguito in un modo molto più semplice ed efficace rispetto a quanto indicato dalla legge: prevedendo oneri crescenti al crescere del consumo di suolo inedificato. Ciò d’altra parte è anche razionalmente connesso alla natura del tributo (l’intervento in area inedificata comporta spesso urbanizzazioni maggiori; chi invece interviene su aree già compromesse ha spesso propri costi aggiuntivi di bonifica, demolizione, ecc).

Per il secondo aspetto (diritti edificatori liberamente trasferiti e indennizzati se non più attuabili), si tratta di uno dei punti maggiormente critici del disegno di legge e forse meno valutati nelle sue ricadute operative, per diversi motivi.

Il trasferimento dei diritti edificatori appare sicuramente utile e opportuno in alcuni casi di riordino urbano, per garantire l’acquisizione di aree per attrezzature pubbliche ma anche per motivi di equità. Appare poi opportuno che questo avvenga nelle forme stabilite dal piano urbanistico, con coefficienti di conversione fra aree di diverso valore. Trattandosi infine di un diritto legato alla trasformazione di beni immobili, appare invece del tutto logico che questo avvenga in sede di realizzazione degli interventi, ovvero mediante il formarsi di titolo abilitativo edilizio (previa eventuale sottoscrizione di accordi e convenzioni) e legato alla validità dello stesso. Si tratterebbe di una soluzione semplice ed efficace, perfettamente gestibile nel tempo anche fra proprietà diverse mediante strumenti ordinari come patti di futura vendita, ecc.

Per qualche strana astrazione accademica o ideologica, si vuole invece passare il principio della “libera commerciabilità” dei diritti, astratta da concrete possibilità di utilizzo. Ciò porterebbe a generare nel futuro non pochi problemi, di grande rilevanza:

* l’eventuale venir meno delle motivazioni e conseguentemente delle previsioni urbanistiche che hanno determinato i diritti edificatori trasferiti porterebbe un forte danno agli acquirenti di diritti volumetrici: è un’eventualità non rara, soprattutto nel caso di Comuni che abbiano completamente sbagliato previsioni urbanistiche, ipotizzando capacità insediative di molto superiori alla domanda presente e futura (come è il caso di molti Comuni lombardi);

* per evitare questo rischio, evidentemente ben presente al legislatore, ecco un rimedio peggiore del male: l’obbligo di indennizzare a valore di mercato i diritti trasferiti di cui sia venuta meno l’utilità (cosa che invece non è prevista nel caso di riduzione di edificabilità connessa ai suoli) e conseguentemente (visto la scarsità delle risorse pubbliche a disposizione per tali indennizzi) il probabile “congelamento” a tempo indeterminato dei diritti edificatori anche al venir meno della loro utilità;

* la produzione di diritti edificatori (che non costa nulla) in mano ad amministrazioni irresponsabili o compiacenti diventerebbe quindi una sorta di “zecca” urbanistica (nel senso di creazione di moneta);

* facile infine immaginare la distrazione di risorse finanziarie dalle faticose e relativamente poco remunerative attività di sviluppo e riqualificazione urbana a una più facile – ancorché fittizia – creazione di valori puramente virtuali da mettere a bilancio.

Non è un caso che non risulti nessuna normativa urbanistica di un paese moderno che preveda una simile cosa.

Ma tutto ciò potrebbe essere superato, recuperando il valore positivo dei trasferimenti volumetrici, semplicemente rinunciando allo slogan ideologico della loro libera commerciabilità per ricondurli più concretamente come detto alle azioni effettive di intervento. Gli indennizzi andrebbero previsti invece solo per i diritti volumetrici promessi al luogo degli stessi (compensazione e incentivazione).

In definitiva il disegno di legge appare formulato in modo in parte incompleto, a volte impreciso e a volte di possibili esiti negativi non attentamente valutati. Si spera pertanto nel suo completamento e in un’attenta revisione prima di avviarne l’eventuale iter di approvazione.

 

Gregorio Praderio



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