17 settembre 2014

GIULIANO PISAPIA CAPOFILA DEGLI UNITARI


Ci sono momenti nei quali le parole nella politica ritornano con particolare insistenza e una di queste è “unità”. Sono parole magiche che sembrano fatte per scaldare i cuori ma anche per gettare sgomento. Forse è un ritorno dovuto alla felice intuizione del Pd di rispolverare il vecchio logo “Festa dell’Unità” e ridarle quel ruolo che ebbe un tempo e che andava sbiadendo. Si è chiamati all’unità per vincere (“uniti si vince”) e si è chiamati per progredire (“insieme per andare avanti”).

01_editoriale31FBC’è anche l’unità di fronte alla paura, il grande collante che fa superare mille divisioni, come dice Massimo Cacciari: “C’è la possibilità che la paura spinga i padri all’autocritica sui disastri commessi e i figli a prendere in mano il proprio destino”. In parte è quello che sta succedendo ora però con scarsa propensione all’autocritica e per altro con una brezza giovanilista che, per chi ha memoria o anni alle spalle ricorda i Littoriali delle Gioventù.

In ogni caso questa parola evocatrice, unità, la stanno usando tutti, dagli uomini politici alle più alte autorità religiose. Papa Francesco chiama all’unità delle fedi monoteiste per vincere la guerra la cui minaccia vede all’orizzonte, usando parole che nessuno dei suoi predecessori ha mai usato, bollandone l’inutilità e l’inevitabile disumana ferocia. Scendendo i gradini della gerarchia se n’è parlato molto anche a Milano proprio alla Festa al Carro Ponte di Sesto San Giovanni.

L’occasione d’oro è stato l’incontro Milano, una città che cresce con Giuliano Pisapia sindaco di Milano, Carlo Sangalli presidente Confcommercio Milano, Gianfelice Rocca presidente Assolombarda, Ettore Prandini presidente Coldiretti Lombardia, Pietro Bussolati segretario Pd metropolitano. Un bel parterre di comprimari e di “unitari”per la ripresa del Paese partendo da Milano. Dal fascino di questa parola nessuno è rimasto indenne ma forse il più accorato è stato il sindaco Pisapia, è un poco il suo stile. Ha insistito particolarmente su due temi: la questione della Città Metropolitana e, naturalmente, Expo 2015. Ma di che unità stiamo parlando? Tra cittadini? Tra cittadini e forze politiche? Tra forze politiche e cittadini? Questo ce lo dobbiamo spiegare.

Sulla Città Metropolitana gruppi di cittadini attivi dibattono, anche su questo giornale, ma la sensazione è che l’ascolto sia modesto, vicino allo zero. L’avvicinarsi della scadenza elettorale (per pochi elettori eletti e già questo stride assai), e l’avvio del dibattito sullo statuto non danno certo sensazione di unità tra cittadini e classe politica, quest’ultima intenta a spartirsi spoglie di potere talvolta grandi come un pisello: siamo tornati al minimo dell’inorgoglimento, quello dei portinai nominati “capofabbricato” nell’era fascista.

Quanto ad Expo, anche sulle questioni della legalità, oltre che su molte altre cose sembra proprio che l’unità sia poca. Eppure esiste in ogni caso un “minimum” di unità che si potrebbe realizzare. Ognuno può vedere all’orizzonte, anche se non ne è toccato direttamente, il “bene comune”. Ma perché questo accada bisogna che chi si sente meno ascoltato possa osservare linearità di comportamento da parte di chi le decisioni le deve prendere. In questo senso il peggior esempio è venuto dalla vicenda a cavaliere tra Expo e città a proposito di Piazza Castello.

Stabilito il principio sacrosanto che Milano non è al servizio di Expo ma caso mai viceversa, e non è un palcoscenico per una compagnia di giro, la vicenda si può riassumere in poche battute. Gennaio 2014: annuncio all’Acquario del programma di pedonalizzazione di Piazza Castello. Aprile: partono i lavori con l’installazione di cartelli stradali e modifica dei semafori. Maggio: mobilitazione dei cittadini residenti di fronte al primo utilizzo del genere strapaese della piazza. Nel frattempo il dibattito politico, culturale e tecnico si arroventa. Luglio: il Comune e la Triennale danno luogo a un esperimento di progettazione condivisa (Atelier Castello) incaricando 11 studi di architettura di proporre e dibattere con i cittadini diversi progetti di utilizzo/allestimento della piazza. Il dibattito è stato fatto e si è in attesa dei risultati e delle relative decisioni.

Nel frattempo l’inesorabile plantigrado della burocrazia ha bandito il 24 marzo una gara per realizzare una pista ciclabile che interessa tutta la piazza. Un lavoro da un milione di euro che divide la vecchia carreggiata automobilistica dalla pista ciclabile con un invalicabile marciapiede asfaltato largo almeno un metro e cinquanta e dotato di ogni belluria del caso (cordoli in pietra, caditoie, passaggi pedonali). L’aspetto della piazza è modificato e definitivamente compromesso rispetto a ogni uso futuro, persino alle feste strapaese.

Il Comune si giustifica dicendo che questo era un vecchio progetto del tempo della Moratti e che aveva già ottenuto i finanziamenti. Non farlo voleva dire perdere questi denari.

  • Primo: fare un lavoro solo perché si hanno denari da spendere ricorda la Milano da bere.
  • Secondo: come ben ribadisce l’assessore ai Lavori Pubblici Carmela Rozza in altre occasioni, i quattrini pubblici (dei contribuenti) devono essere prima di tutto rispettati e poi risparmiati; come dice la vecchia canzone Milanese: “n’ha vanzaa ‘nca mò ‘n cicìn /ghe l’ha daa ‘l so fradelìn”.
  • Terzo: anche il più sprovveduto degli architetti sa che uno spazio pedonale è fruibile solo se monoplanare; ogni ostacolo in rilevato ne è la negazione.

Per finire uniti si, orientati al bene comune pure ma anche la disponibilità all’unità ha i suoi limiti.

 

Luca Beltrami Gadola



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