17 settembre 2014

USCIRE DALLA CRISI IN SETTE MOSSE


Se si vuole affrontare la crisi forse non basta analizzare cause economiche e politiche, forse occorre andare alla radice dei paradigmi culturali dominanti che ci hanno portato fin qui. Ci hanno provato due lavori, pubblicati da Feltrinelli, che sono involontariamente complementari. Primo dato in comune (a parte l’editore e la tipografia): entrambi sono scritti con “doppio sguardo” (direbbe Marina Terragni) cioè insieme da un uomo e una donna. “La società generosa” di Pier Mario Vello e Martina Reolon è stato stampato in febbraio di quest’anno, “Generativi di tutto il mondo unitevi!” di Mauro Magatti e Chiara Giaccardi in marzo 2014, freschi di stampa dunque.

07_antoniazzi31FBEntrambi partono dalla crisi di oggi e ne inseguono le caratteristiche di paradigmi culturali che si vanno a schiantare, portando con se dissesti, dolore, diseguaglianza, depressione. Entrambi impostano un paradigma etico, ovvero di valori comuni e condivisi che formano una comunità, che non è solo morale individuale o religione rivelata.

Entrambi guardano a un “nuovo umanesimo” che nell’illuminismo ha le sue radici. Vello e Reolon parlano delle origini laiche oltreché religiose della filantropia che ha come sfondo la lotta alle diseguaglianze e il riconoscimento della universalità del genere umano. Ma soprattutto danno alla generosità e al dono un carattere fondante di un’identità moderna. Donare è riconoscere ed essere riconosciuto, è includere, è atto primario, è gratuità e insieme utilità. “Significa vivere l’esperienza di una appartenenza interpersonale e anche comunitaria che amplifica, ma insieme limita la personalità e l’identità di ciascun individuo.”

Se “il paradigma individualista è riduzionistico, atomistico,utilitaristico. In esso è la composizione degli interessi dei singoli che forma la società.” e “il paradigma olistico, al contrario, spiega tutte le azioni, individuali o collettive, …come manifestazioni dell’influenza esercitata dalla totalità sociale sugli individui (funzionalista, strutturalista e istituzionalista)”. Il dono rappresenta “il terzo paradigma,orizzontale e pervasivo” (come lo chiama Caillè),in contrapposizione alla verticalità dall’alto dell’olismo e a quella dal basso dell’individualismo.

Questo processo comporta che la coscienza origini la propria autocoscienza nel rapporto con l’altro, un processo che non si chiude in sé, non è un cerchio ma una spirale. Aver dimenticato il dono e l’escludere la generosità dagli elementi fondanti della società è sintomo e allo stesso tempo causa del disagio contemporaneo. Poiché attraverso il dono si struttura l’immagine del bene, la relazione reciproca realizzata nella generosità attua una vera e propria formazione del “futuro socialmente desiderabile”. “Il dono è un atto etico di costruzione politica”.

Nel saggio di Vello e Reolon il discorso si concretizza poi nel difficile percorso di una cultura generosa e inclusiva, attraverso le crisi economiche, i miti ideologici, la crisi del welfare, fino ai dati concreti sul ruolo delle fondazioni e della filantropia laica (non solo “corporate”) nel mondo intero.

Pier Mario Vello è stato per otto anni Segretario Generale di Fondazione Cariplo. Alla fine di giugno una malattia fulminante ce l’ha portato via. L’assenza di rappresentati istituzionali di Comune di Milano e Regione Lombardia al suo funerale è stata la conferma più ridondante (al di là di tanta retorica del rapporto tra “pubblico” e società civile e terzo settore) di quanti ritardi di comprensione, di quanta presunzione di primato e assolutezza, quanta sterile autonomia ancora regnino nei mari della politica.

Magatti e Giaccardi partono invece dall’affermazione della libertà. “Tutti ci pensiamo e ci vogliamo liberi. Siamo perdutamente innamorati della libertà”. Ma la nostra libertà (che non è solo “mia”) è impegnativa e sfidante (come ogni grande amore). È insidiata da scienza e tecnologia (che pure hanno contribuito al suo sviluppo), da mercato ed economia, deve fare i conti con se stessa.

Nell’era della “globalizzazione” la libertà di massa si è pensata nei termini di pura apertura. Ma che fosse “sfida al padre”, o ricerca del nuovo e dell’eccesso, o inseguimento del piccolo godimento seriale del consumo,la strada è stata quella di un individualismo sempre più spinto, di un “nichilismo sorridente”. Come se la “volontà di potenza” (di nietzscheana memoria …) si riducesse a una sorta di adolescenza storica e culturale.

Come andare oltre questa fase? Occorre superare alcuni miti come quello dell’autonomia e dell’autorealizzazione (“nessuno può vivere se non in rapporto alla realtà che lo circonda, che lo limita, certo, ma al tempo stesso lo “abilita”). E occorre imboccare la maturità che viene (secondo Erik Erikson e secondo gli autori) dalla generatività. Al soggetto, superata l’autocentratura adolescienziale, è richiesto “un decentramento” da sé e la disponibilità ad aprirsi all’altro (dimensione intersoggettiva), agli altri (dimensione sociale), al tempo (dimensione intergenerazionale) attraverso l’assunzione di un atteggiamento “di cura e di investimento per ciò che è stato generato per amore, per necessità o caso”.

Generare non è solo ‘fare figli’. Generativi si diventa. Generare è più di un atto biologico: è simbolico, politico, antropologico. È farsi tramite perché qualcosa che vale, grazie a noi (alla nostra disponibilità) possa esistere. È generativo un educatore, è generativo l’imprenditore, è generativo l’artigiano e l’artista, il volontario, il professionista, la guida spirituale, il professore, l’amministratore locale, il terapeuta …. . È generativo chi riesce a trasformare un trauma in energia positiva.

Nessun rimpianto dunque per la “società solida” ma attenzione alla mobilità della “società liquida” cercando la via del rafting una discesa nel fiume della vita facendosi portare e insieme cercando di darle una direzione, un senso.

Per fare questo occorre avere un particolare carattere. Primo: eccedere (che non è eccesso), ovvero cercare una vita ulteriore,un salto di qualità,una condizione migliore. Secondo: intraprendere, assumere responsabilità personale, rischio. Terzo: valorizzare, cioè far crescere, curare, facilitare. Quarto: personalizzare ovvero trovare la propria singolarità, unicità, stile. Quinto: creare alleanze ovvero creare partecipazione, contagio, diffusione. Sesto: essere resilienti ovvero flessibile e resistenti, capaci di superare le crisi, di andare avanti anche quando non si è riconosciuti, disposti al sacrificio (dal latino sacrum facere, rendere sacro, sottrarre alla banalità). Settimo: essere sostenibili ovvero restituire al territorio, alla comunità, alle nuove generazioni.

Questi e molti altri ancora i suggerimenti di Magatti e Giaccardi che cercano di immaginare un “nuovo soggetto storico per una nuova epopea della libertà”, dialogando con molti dei temi emersi in questi anni, dalle opportunità della rete al tema dei “beni comuni” come laboratorio di nuove forme istituzionali, dalla libertà religiosa verso un umanesimo integrale all’impresa come istituzione plurale (riscoprendo Olivetti), all’investimento strategico sull’educazione (o “capacitazione” come la chiamano Amartya Sen e Martha Nussbaum).

E speriamo che gli autori abbiano ragione quando scrivono. “I germogli di una nuova primavera cominciano a spuntare persino nel terreno arido e ormai sterile delle società dei liberi. Chi ha l’orecchio fino già la sente, chi non ha smesso di ascoltare la realtà già ne è avvolto: non un vento impetuoso, ma una brezza leggera si alza dentro e attorno a noi. …. generativi di tutto il mondo unitevi!!

 

Pier Vito Antoniazzi



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali




Ultimi commenti