8 settembre 2009

LA FINE DEL TUNNEL?


Sul tunnel automobilistico che dovrebbe attraversare Milano si è già scritto molto, anche su queste pagine.

L’idea di attraversare in una lunga diagonale sotterranea le viscere della città, partendo da Cascina Merlata, quadrante nord-ovest, per riemergere a Linate dopo aver percorso 14 chilometri, intrufolandosi tra metropolitane e passanti ferroviari, aggirando fogne e acquedotti in un doppio tunnel di cemento armato di 12 metri di diametro, è allo stesso tempo affascinante e preoccupante.

Il fascino di un’infrastruttura così ambiziosa (velleitaria?), da realizzarsi secondo le intenzioni (speranze?) del Comune in soli 5 anni -pronta per l’Expo-, è innegabile.

Qui però parliamo di ciò che preoccupa e inquieta.

L’idea di scavare sotto la città per risolvere i problemi del traffico non è né nuova, né originale.

Nel 1848 l’Ing. Carlo Mira progetta di utilizzare l’alveo prosciugato e coperto della Martesana come ippovia di rapida penetrazione fino alla darsena di San Marco. Di pochi anni successivi è la proposta del Ten. Coll. Gandini di svuotare i navigli e coprirli per usarli per il trasporto delle merci su pesanti carri. Nel 1873 l’Arch. Brocca riprende l’idea di Gandini, ma prevede una tramvia sotterranea a cavalli sempre nelle cerchie dei navigli. Senza dimenticare le proposte degli anni ’80 e ’90 del COCIS (Comitato per la Città Sotterranea), possiamo arrivare al 2007, quando iniziano a circolare i primi progetti preliminari, che prevedono un tunnel da viale Certosa (autostrade) sino a piazza della Repubblica, per poi inserirsi in un sistema di circonvallazione sotterranea sotto tutta la cerchia dei Bastioni (pare infatti che il parcheggio interrato di viale Maino comprenda al suo interno uno svincolo e un tratto di questa fantomatica circonvallazione).

La versione definitiva (?) del tunnel, quella inserita nel PGT (ma non si capisce con quale valenza), vede gli svincoli intermedi ridursi da 14 a 9 e la scomparsa (per ora) della galleria circolare dei Bastioni. Rimangono i 14 chilometri di sviluppo lineare e i 40 metri di profondità massima.

Tutto questo ricorda ai milanesi la famosa e famigerata vicenda del Passante Ferroviario, opera appena terminata, ma già nata vecchia, visto che sul Passante si inizia a ragionare già con l’inaugurazione della nuova Stazione Centrale nel 1931. I primi progetti concreti sono degli anni ’60, ma fino agli anni ’80 non iniziano i lavori, che si trascineranno poi per quasi trent’anni, attraversando la storia politica recente del capoluogo lombardo, Tangentopoli compresa.

È singolare come il tracciato del tunnel automobilistico riprenda quasi la stessa traccia del Passante. C’è da sperare che non ne ricalchi anche gli stessi accadimenti.

Certo è che nel caso del Passante, abbiamo assistito a notevoli speculazioni sulle aree interessate dal suo passaggio, con forti incrementi della rendita del suolo. Nel caso del tunnel ci potrebbe essere il rischio contrario, con una decisa svalutazione immobiliare delle zone in cui sorgeranno gli svincoli, inevitabili generatori di traffico. Non è da escludere però la corsa all’acquisizione delle stesse aree per potersele poi fare espropriare a caro prezzo.

Quello che sicuramente non si è ancora visto è un documento del Comune che (di)mostri quale impatto urbanistico una realizzazione del genere avrà sulla città.

Intanto vorrei porre alcune questioni.

La scelta del tracciato terrà sicuramente conto della fattibilità tecnica dell’opera, ma mi chiedo: perché da Cascina Merlata a Linate? C’è veramente un flusso di traffico tale su questa direttrice da giustificare la realizzazione di un tunnel? E perché allora non farne uno da Sesto S. Giovanni (autostrada) fino a Famagosta, ovvero sulla diagonale opposta?

A Linate, un aeroporto dal futuro incerto, dovrebbero arrivare per il 2015, e negli anni successivi, non solo il tunnel, ma anche la linea 4 della metropolitana. Che senso ha concentrare investimenti significativi su un infrastruttura a rischio di chiusura o di sottoutilizzo?

Mi chiedo poi quale impatto avranno gli svincoli intermedi a livello di flussi di traffico sulla già intasata circolazione urbana. Perche facilitare l’accesso di altre macchine in città, con un sistema che permette alle automobili di sgorgare direttamente in punti nevralgici e sovraccarichi, senza il deterrente delle quotidiane code sugli assi di penetrazione?

È un fatto abbastanza noto che aumentare la capacità di una strada tende ad attrarre nuovo traffico più che a fluidificare quello che già c’è.

Un domani potrò arrivare da nord in autostrada, prendere il tunnel e pagare il pedaggio, uscire in piazza della Repubblica o in Porta Venezia (gli svincoli e le rampe li facciamo nei Giardini?) e, pagato l’Ecopass, andare in piazza S. Babila e, ovviamente, parcheggiare in un silos a pagamento. Perché mai dovrei lasciare la mia comoda macchina a Lampugnano per prendere la M1 fino al Duomo quando basta aprire il portafoglio?

Io vedo una certa contraddizione nel riempire la città di strisce blu, anche in zone periferiche, con il “lodevole” scopo dichiarato di scoraggiare l’uso dell’automobile, e contemporaneamente escogitare un sistema che invogli ad usare la macchina anche per andare in centro.

L’unico modo per risolvere la contraddizione è pensare al bilancio del Comune di Milano.

E a proposito di quattrini, lascio agli economisti il compito di spiegare la fattibilità e la redditività del tunnel (si parla di un pedaggio di 7 euro per tutta la tratta), ma se dobbiamo guardare all’esempio più famoso di una analoga opera, il Big Dig di Boston, sapere che i 6 miliardi di dollari iniziali sono diventati 22, non è certo confortante.

Inoltre se il Big Dig, pur essendo lungo “solo” 6 chilometri, è costato 22 miliardi di dollari, come mai per fare i 14 chilometri meneghini di miliardi di euro ne bastano 1,5?

Non credo che ciò si possa spiegare solo col cambio favorevole….

Piero Cafiero

 

 

 

 

 

 

 

 

 



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