7 settembre 2009

FUSIONI PER LA MOBILITA’, O PER L’IMMOBILITA’?


Favorire la competizione è forse il motivo economico più rilevante a fondamento dell’Unione Europea, ma sembra essere stato rapidamente sommerso dalla pressione degli interessi costituiti, soprattutto nel settore pubblico e in specialissimo modo nel settore dei trasporti italiano.

Nella regione lombarda in particolare, si avanzano iniziative “pionieristiche” che vanno addirittura attivamente in direzione opposta. La prima è stata il progetto di fusione tra l’ATM e l’azienda torinese, attualmente in stallo nonostante le cattive intenzioni, a causa essenzialmente di gelosie localistiche. Tale fusione, presentata come un modo per rafforzare le due aziende ed ottenere grandi risparmi per le economie di scala, ha in realtà una funzione eminentemente anticoncorrenziale.

Ma per non perder tempo, si è partiti con un’iniziativa analoga, questa volta con pieno successo: la fusione per i servizi di trasporto locali tra Ferrovie Nord, di proprietà della regione, e FS, di proprietà dello stato.

Se mai ci fosse una gara, come ha annunciato di fare il Piemonte nonostante una sciagurata legge dell’attuale governo che autorizza a non far gare per 12 anni, chi competerebbe contro FS+Nord unite, entrambe pubbliche e politicamente protette?

Occorre adesso ricordare che la concorrenza di cui parliamo per i trasporti pubblici italiani è una versione in realtà moderatissima: nessun’apertura al libero mercato “all’inglese”, ma solo la messa in gara periodica di servizi con prefissate tariffe, frequenze, fermate ecc. Tutto molto pubblico (tecnicamente, si chiama “competizione per il mercato”, come contrapposta a “competizione nel mercato”).

La “necessità” di introdurre elementi di competizione nel settore deriva da fatti evidenti: gli altissimi costi per i contribuenti (non per gli utenti) e la bassa qualità dei servizi sono fatte ricadere su cittadini e utenti proprio per l’assenza di competizione e per la natura pubblica delle imprese. Perché preoccuparsi delle multe per i disservizi, che pur ci sono state, se poi le paga lo stato? Perchè preoccuparsi di costi eccessivi, se l’impresa non può fallire (i sussidi a ripiano arrivano comunque, o cresce il debito con le banche, che è alla fine la stessa cosa)?

Ma allora le fusioni non bisogna mai farle? Siamo condannati al “nanismo”? No certo: basta farle fare al mercato, come insegnano molte esperienze. A Londra sono stati messi in gara, con grandi risparmi, 550 lotti di servizi di TPL (un “super-spezzatino”), ma poi molte imprese hanno vinto più lotti, per un totale alla fine di meno di 10 operatori. In altre parole le economie di scala, o sinergie, sono nate dal processo concorrenziale, non sono state “decise a tavolino” dai monopolisti o dai loro padroni pubblici, che ovviamente poi dichiarano che tutto si fa per il bene degli utenti, e non per perpetuare il controllo politico sulle imprese, con voti di scambio, posti nei consigli di amministrazione, o peggio.

Se qualcosa si poteva fondere poi erano piuttosto le reti delle due imprese, che sono “monopolio naturale”, ma non certo i servizi.

Rimane il virtuoso esempio piemontese di cui si è già accennato, di uno “spezzatino” – parola che viene usata in modo negativo dai decisori – fatto proprio per favorire la concorrenza e le imprese private non protette: curioso che sia stato fatto da un’amministrazione di sinistra, quindi teoricamente anti-mercato, nello stesso momento in cui la Lombardia campione di liberismo proponeva un modello centralistico e anticompetitivo. Ma si sa, il mondo è complesso e anche contro il tentativo piemontese sono in corso forti pressioni per farlo fallire: potrebbe essere un precedente molto pericoloso per i monopolisti italiani.

Marco Ponti



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