7 settembre 2009

STIPENDI PUBBLICI: LA TRASPARENZA NON BASTA


In queste ultime settimane sono stati pubblicati dai quotidiani i primi risultati dell’operazione “trasparenza ” del ministro della Pubblica Amministrazione Renato Brunetta. In particolare sono state evidenziate le retribuzioni e le incentivazioni percepite dai dirigenti, come pure i compensi pagati per collaborazioni esterne; questo unitamente ad altre utili informazioni sui curricula e sui tassi d’assenteismo degli uffici pubblici a livello centrale e locale.

Secondo alcuni commentatori questi compensi e premi sono da ritenersi decisamente alti, soprattutto considerando il periodo di difficoltà economica che il paese sta attraversando e le perduranti e fondamentali esigenze d’equità sociale (e conseguentemente retributiva) che devono caratterizzare un Paese civile.

Quanto è accaduto ci da modo di sviluppare alcune considerazioni sul “mercato” delle retribuzioni, sull’efficacia delle azioni di riforma attualmente in corso, sulle strategie complessive di cambiamento nel mondo pubblico.

Partiamo da questa considerazione: va dato atto al ministro Brunetta di perseguire i suoi obiettivi con forte determinazione, non è questa infatti la prima volta che viene decisa per legge la trasparenza delle retribuzioni del management pubblico. La norma esiste da parecchi anni ed è stata sostanzialmente elusa da gran parte delle amministrazioni. Chi scrive lo sa bene perché ha curato numerose analisi delle retribuzioni del settore pubblico a livello europeo: per quanto riguarda i dati italiani, nonostante la “trasparenza” sono sempre riuscito ad ottenerli con grande fatica. Sembra ora che le cose si stiano muovendo diversamente, e questo è positivo.

Una seconda considerazione è che la “trasparenza” è sicuramente un bene, non solo in sé ma soprattutto se consente di comprendere correttamente i problemi e avviare interventi seri e organici a fronte dei problemi che le pubbliche amministrazioni stanno affrontando.

Nel nostro Paese purtroppo le cose non vanno sempre così: in particolare sul tema delle retribuzioni si è oramai consolidato un filone letterario/mediatico/scandalistico caratterizzato da un’insofferenza aprioristica in cui si fa un gran calderone tra retribuzioni, incentivazioni fuori misura (tipiche però d’altri mondi, in special modo la finanza), “paracaduti d’oro” che tutelano alla fine solo incompetenza, e così via.

Devo dire in tutta sincerità che tutto questo non mi piace: avverto, infatti, il pericolo di cadere in un banale e generico moralismo. Soprattutto così si eludono i veri problemi e s’ invertono paradossalmente i termini della faccenda, scatenando l’opinione pubblica contro i sintomi(le alte retribuzioni) e trascurando i problemi reali ( la qualità reale dei servizi al cittadino e conseguentemente la corretta necessità di premiare i risultati conseguiti, a condizione che siano risultati “reali”).

Un approccio organico e risolutivo a questo problema dovrebbe guardare invece al rapporto tra costi e i risultati ottenuti e stimolare le persone a tutti i livelli a comportamenti responsabili.

E’ sicuramente una situazione sulla quale è necessario rimettere ordine: licenziare i fannulloni, fare ricorso all'”effetto annuncio” sicuramente non è sufficiente a fronte di un tema così complesso.

Il sociologo Michel Crozier (che essendo di nazionalità francese, ben s’intende di pubblica amministrazione) sostiene che l’amministrazione non si cambia per decreto, tanto meno si cambia per contratto. Serve un paziente e continuo lavoro di una dirigenza competente, motivata e legittimata a svolgere il proprio ruolo.

Su valutazione del personale, riconoscimenti del merito, retribuzioni variabili, contratti di natura privatistica si è legiferato e negoziato anche troppo, in passato, con il solo risultato di incrementare i costi complessivi del personale della pubblica amministrazione e di creare situazioni di possibile sperequazione, con persone che svolgono ruoli di simile rilievo e impatto economico che possono essere retribuite in modo anche significativamente diverso.

I tentativi di riforma del passato non hanno consentito, nei fatti, di superare la logica tradizionale, legalistica e di conformità alle regole, a favore di una logica di risultato e di “performance management”. La soluzione non può che partire da una seria analisi culturale (la grande assente del periodo precedente), e a partire da questa finalizzare strutture, sistemi operativi, stili direzionali al risultato e gestione delle risorse verso un preciso obiettivo di cambiamento.

E’ necessario adottare una strategia (e quindi strumenti diversi) che costringa a riconsiderare tutte le priorità di spesa (operazione difficile perché le spese hanno una loro inerzia e tutti danno per scontato che crescano e si ripetano nel tempo). Solo imboccando la strada dei vincoli di spesa invalicabili, un sistema di budget per implementarli, procedure di monitoraggio che creeranno le condizioni di verifica pubblica dei risultati, di benchmarking tra amministrazioni sui risultati complessivi, ci sarà una buona ragione per attivare pratiche di valutazione delle risorse umane da affidare ad una dirigenza da rilegittimare nel suo ruolo (e da retribuire/incentivare in modo coerente).

In questa prospettiva deve essere considerata con molta cautela l’attivazione di entità quali l’organismo indipendente di valutazione della performance, la commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle Amministrazioni Pubbliche, che rischiano di rappresentare sovrastrutture burocratiche deresponsabilizzanti e alla fine “foglie di fico” a copertura di decisioni d’altra natura.

Quindi, attenzione alle scorciatoie, ai quick fix, all’estetica organizzativa: vero è che viviamo nell’epoca dell’intangibile, però i bisogni dei cittadini (soprattutto nei momenti di crisi economica) e i costi dei servizi erogati sono invece molto “tangibili”.

Francesco Miggiani



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