10 settembre 2014

MILANO TRA CODICE DEGLI APPALTI E REGOLAMENTO EDILIZIO


Tra i tanti annunci del nostro Presidente del Consiglio, con una lunga esperienza di amministrazione locale, mi sembra che due siano rimasti in una sorta di cono d’ombra: “Riscriveremo il Codice degli appalti sul modello americano” e “Vareremo un regolamento edilizio uguale per tutto il Paese”. Questi gli annunci. Sono due temi che interessano strettamente Milano per una pressoché infinita quantità di ragioni. Ne esamineremo solo alcune.

01editoriale30FBChe il Codice degli appalti vada riscritto è oramai opinione corrente: rispecchia una realtà produttiva datata (1992), dall’origine a oggi le sue norme sono state manipolate infinite volte sia per i necessari adeguamenti alla legislazione europea, che sotto la spinta della lobby dei grandi costruttori (privati e cooperative); ormai vi è la convinzione che queste norme stiano anche alla base della troppo facile aggredibilità dell’appalto pubblico da parte delle imprese corrotte e della malavita organizzata (potremmo definire con una parola sola le due categorie chiamandole “i mascalzoni” perché ormai le differenze si vanno sfumando e le contiguità crescono).

Che cosa abbia inteso Renzi con la sua citazione “all’americana” non mi è del tutto chiaro ma se si è riferito alla filiera delle costruzioni così come è strutturata negli USA (a parte gli inevitabili adattamenti per le diversità tecnologiche) sarebbe un salto di qualità, soprattutto per la distinzione di ruoli tra i diversi operatori coinvolti. Penso, credendo di non sbagliare per avere esperienza solo di appalti NATO, che l’aggiudicazione in USA vada quasi esclusivamente secondo il principio del miglior offerente senza tanti fronzoli come da noi.

Mi domando dove siano però le forze intellettuali per quest’operazione e soprattutto dove siano le forze fresche necessarie, non corrotte da una cultura del formalismo giuridico: discorso lungo. Quando l’attuale Codice degli Appalti sarà solo carta straccia forse tireremo un bel respiro di sollievo. Quando? Comunque, purtroppo, quando i buoi milanesi di Expo son già quasi tutti usciti di stalla.

Veniamo al secondo tema: il regolamento edilizio. Argomento intrigante anche perché quello milanese è alle ultime battute e potrebbe rischiare di incrociare male le novità. Non so chi abbia suggerito al Presidente del consiglio l’idea di un regolamento edilizio valido per tutta Italia, impresa che credo impossibile a meno che non si persegua la strada folle di fare un regolamento monstre, che regoli nel dettaglio sia quello che deve succedere a Trento che quello deve succedere a Siracusa. Sarebbe la gioia della nostra burocrazia statale affrontare un tema tanto vasto e dispiegare tutte le sue capacità di sottigliezze e sofismi ma anche di orecchio alle sollecitazioni non sempre ingenue da parte dei soliti. Avremmo il peggior regolamento del mondo.

Cosa invece opportuna sarebbe quella di indicare le linee generali e i principi secondo i quali si debbano redigerei i regolamenti edilizi comunali. Innanzitutto dovrebbe essere chiaro che il regolamento edilizio è uno strumento a tutela della collettività rispetto all’attività, la più libera possibile, del singolo cittadino. Gli interessi da tutelare devono essere chiari ma contemporaneamente la loro declinazione non deve far parte del testo del regolamento ma solo della relazione di accompagnamento per la discussione in consiglio comunale. Detto brutalmente il regolamento deve dire quello che si può fare o non fare, certo non il perché. La trasparenza non c’entra.

Il regolamento deve essere destinato soltanto agli utilizzatori, operatori del settore e singoli cittadini e non deve contenere alcun riferimento né tantomeno istruzioni o norme destinate ai funzionari dell’amministrazione. Anche qui la trasparenza non c’entra. Il regolamento, nel suo testo definitivo deve citare il minor numero possibile di riferimenti a leggi dello Stato o provvedimento o delibere della pubblica amministrazione; là dove sia inevitabile vanno messi in nota a piè di pagina o in calce così come vanno evitati per quanto possibile gli acronimi dei quali comunque deve esistere un glossario. Il regolamento, per definizione, non deve contenere norme che modifichino le quantità dell’edificabilità per le quali è strumento principe il Piano di Governo del Territorio e questo anche solo per chiarezza. Anche questo non facile perché ogni Piano di Governo del Territorio e le sue norme tecniche sono un esempio di barocchismo legislativo.

Questi sono i principi e le regole che mi piacerebbe veder sancite e destinate agli estensori dei regolamenti edilizi oltre l’ovvio rispetto della lingua italiana, sufficientemente ricca da non aver bisogno di neologismi. Ci arriveremo mai? Possiamo rifletterci anche a Milano o pure qui i buoi sono inesorabilmente scappati?

Luca Beltrami Gadola



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali




Ultimi commenti