10 settembre 2014

TRA RENZI E PISAPIA: L’ELOGIO DELLA LENTEZZA E DELLA FOLLIA


È doveroso l’elogio della lentezza al nostro Presidente del Consiglio Matteo Renzi. Partito nella sua avventura con lo scatto del centometrista, bramoso di cambiare l’Italia in cento giorni, nell’incedere ha modificato l’andatura in quella da mezzofondista: ora si parla di procedere un passo alla volta, guardando ai prossimi mille giorni. Non una bazzecola, nemmeno una maratona, ma comunque una buona dose di chilometri da caricare sui muscoli delle gambe e della schiena. Uno sforzo atletico da riempire di contenuti: di quella buona politica fatta non di slogan e hashtag; ma di progetti concreti, effettivi ed efficaci in una prospettiva riformatrice (e innovatrice) di medio e lungo periodo.

04telesca30FBÈ doveroso pure l’elogio della (sana) follia del sindaco di Milano Giuliano Pisapia, che parla apertamente di progetti politici nel quale impegnarsi in prima persona per un nuovo centrosinistra, con un PD protagonista purché capace di ritrovare la propria anima smarrita (in qualche parte a destra). Un PD che scelga come primo e, si spera, privilegiato interlocutore chi ha nel proprio programma buone idee su come rinvigorire il welfare state, su come ampliare una vasta gamma di diritti civili, su come impostare una politica estera di accoglienza e di pace. Una follia lucida, lungimirante, che guarda a orizzonti lontani nei quali ci saremo liberati dei governi di emergenza nazionali, di quelle che in Germania chiamano Grosse Koalition (e che pure da quelle parti sta perdendo un po’ di smalto).

La discussione tra un Premier corridore e un Sindaco folle deve avvenire nella giusta cornice e con i giusti tempi. Nella Milano angustiata dalla velocità, dal continuo movimento centripeto e centrifugo dei suoi pendolari, privata spesso del doveroso amor proprio, è una ricerca non semplice.

Suggerisco umilmente tre luoghi simbolo del capoluogo lombardo nei quali intavolare una chiacchierata per il futuro del centrosinistra italiano. Tre luoghi che uniscono in loro il meglio e il peggio del nostro presente, con uno sguardo rivolto non solo ai problemi di casa nostra: una visione globale per un mondo globalizzato, a pochi giorni dalla nomina a Mrs. Pesc del Ministro Mogherini.

1) I cantieri di Expo: quale miglior metafora dei desideri da velocisti italici, trasformatisi in una lenta agonia più simile alla sofferenza della marcia? Un tavolo e due sedie al centro dell’area fieristica di Rho. Una cosa rustica, senza troppi lussi. Magari con caschetto in testa e un buon panino in mano, ascoltando le voci di manovali e operai (che, al contrario di quel che si pensa, esistono ancora).

2) Lo Stadio Meazza al termine di una partita, ancora riecheggiante delle urla dei tifosi che scivolano nella dolce malinconia dell’evento appena passato. Seduti lì, al secondo anello verde, potrebbero discutere fissando il manto erboso di San Siro e buttando l’occhio, di tanto in tanto, al tabellone ormai spento. Si renderebbero conto che il tempo si gusta meglio con un sano confronto, senza la fretta di inutili scadenze buone solo a fini mediatici ed elettorali.

3) La Stazione Centrale mentre arrivano i profughi siriani,perché ti ritrovi al centro del mondo e nemmeno te ne sei reso conto. Per fare politica bisogna mettere le mani nella carne viva della storia, dell’attualità. In questo caso non dovrebbero parlare, ma fare. Solo pochi e sentiti sguardi d’intesa. Basterebbe questo per dare basi più solide al centrosinistra italiano che verrà. Meno parole, più fatti.

Nulla può impedire ai due di creare un progetto politicamente serio e forte: per correre su distanze chilometriche bisogna essere un po’ folli; e la follia a sua volta è faticosa da sostenere più di una lunga corsa. Milano ha avuto storicamente un ruolo di madre nei più importanti eventi della storia d’Italia. Alla vigilia di Expo 2015, nel semestre di presidenza italiana dell’Unione Europea, quale miglior palcoscenico per mettere in scena il centrosinistra del 2018? (elezioni anticipate permettendo).

Un augurio, una speranza, forse un sogno di una tarda estate mai sbocciata per davvero. Sul quale però lavorare alacremente per non risvegliarsi, al mattino, con pochi ricordi confusi e un pugno di mosche in mano.

 

Emanuele Telesca



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