3 settembre 2014

NUOVI SPAZI PER ATTIVITÀ PRODUTTIVE: LO SCENARIO CAMBIA


Ho avuto la fortuna di seguire ultimamente la parte urbanistica di due interventi di riuso di aree industriali dismesse per funzioni produttive nel Nord Milano. Funzioni produttive su brownfield, in corso di realizzazione, certo non una cosa usuale, in questi tempi! Ho seguito anche altre iniziative per l’insediamento di funzioni produttive che invece purtroppo non sono andate a buon fine, più che altro per motivi amministrativi; da tutte queste esperienze credo comunque si possa trarre qualche utile indicazione.

05_praderio29FBI tradizionali fattori di localizzazione valgono ancora: accessibilità, prossimità a fonti energetiche e reti di comunicazione, presenza di personale e fornitori specializzati all’intorno (siamo ancora messi bene), contenimento del costo dei terreni, possibilità di ampliarsi se le cose vanno bene: fattori che valevano un tempo e che valgono tuttora.

Ci sono però in parte anche delle novità:

* chi interviene oramai difficilmente è l’utilizzatore finale, ma piuttosto uno sviluppatore immobiliare che poi affitterà gli spazi. Deve essere quindi un operatore specializzato, che conosce bene le esigenze dei suoi clienti; la capacità di rispondere rapidamente, in tempi certi, alle domande di insediamento che si presentano, adattando il progetto a specifiche richieste, è quindi un fattore essenziale di successo;

* conseguentemente è un fattore cruciale la collaborazione dell’Amministrazione Pubblica, nelle sue parti tecniche e politiche; non per cercare “aiutini”, ma banalmente nell’essere affidabili, non perdere tempo, non cambiare idea, ecc.

* le attività produttive non sono più solo attività “industriali” in senso stretto: c’è la produzione di beni immateriali (software e altro), il coordinamento a distanza di produzioni delocalizzate, la compresenza di fattori produttivi, di ricerca e di commercializzazione, o i servizi alle imprese (trattamento dati, certificazioni, ecc.) che non possono essere ricondotti alla categoria del “direzionale”; c’è un grande mondo insomma fra le due categorie economiche tradizionalmente usate nella normativa urbanistica;

* dove maggiormente c’è bisogno di fare chiarezza è il migliore raccordo fra la disciplina urbanistica dei piani comunali e altre disposizioni, come quelle relative agli oneri: inutile fare piani innovativi con categorie funzionali moderne, se poi le tabelle comunali restano quelle di un tempo (i margini per le funzioni produttive non sono elevati, basta passare alla categoria “direzionale” dove gli oneri sono quasi sempre molto alti, per uccidere un’iniziativa); non parliamo poi dei piani che rimandano il tema al triennale opere pubbliche (come purtroppo sciaguratamente la legge regionale consente).

Cosa invece non funziona:

* i tentennamenti e le inutili complicazioni della P.A. E in particolare le “richieste dell’ultimo minuto” in sede di piani attuativi: è una tattica che viene dalle esperienze tipo PII, dove i Comuni hanno imparato a chiedere un asilo o una passerella in più il giorno prima dell’adozione: lì funziona, perché con i cambi a residenza o commercio i margini sono elevati; con il produttivo, anche qui si rischia di ammazzare le iniziative;

* può funzionare invece la chiara richiesta preventiva di benefici pubblici aggiuntivi fatta in sede di pianificazione generale: va a incidere sui prezzi dei terreni e non stravolge più di tanto i business plan;

* non aiutano invece i mix funzionali troppo aperti, in particolare se ammettono senza limiti funzioni più remunerative e facilmente vendibili come la residenza o il commercio di media e grande distribuzione: i valori dei terreni crescono troppo e, come mi diceva un operatore del settore, “a questo punto non sviluppo più, conviene vendere e guadagnarci con meno fatica sul delta funzionale”;

* non funzionano particolarmente i contributi finanziari diretti troppo complessi, sia perché i tempi della loro erogazione sono sempre incerti, sia perché vale sempre il vecchio principio per cui le iniziative devono camminare sulle loro gambe (un altro operatore, a fronte di un’offerta da parte di un Comune di farsi carico con risorse proprie di parte dei costi di intervento, commentò: “l’unico incentivo di cui ho bisogno è che non mi mettano i bastoni fra le ruote” – e beninteso non si parlava di eludere qualche normativa, anzi, ma solo di applicarle con rapidità ed efficienza);

* non funzionano neanche tanto gli incentivi volumetrici alle funzioni produttive all’interno di mix funzionali variegati (residenza, ecc.), sia perché si tratta di sviluppatori con profili ed esigenze diversi, sia perché le densità risultanti spesso finiscono per essere troppo elevate, per cui da una parte il produttivo finisce un po’ per “sporcare” le altre funzioni (nessuno ha interesse ad avere poniamo un 20% in più di slp che aggiunge poco valore e che non si sa dove mettere), dall’altra si perde la possibilità di espansione futura che è uno dei punti di forza ricercati.

Insomma a volte basta un po’ di intelligenza urbanistica – che in fondo non costa niente – nell’impostazione dei piani per fare la differenza e ottenere dei risultati interessanti. Peccato che purtroppo non sempre sia così.

 

Gregorio Praderio



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