3 settembre 2014

MILANO: SELFIE DI CITTÀ


Milano d’agosto, l’ufficio stampa del Comune approfitta per diramare i selfie anagrafici della città: i nomi più gettonati (Giulia e Leonardo), i cognomi più diffusi (Rossi resiste, tallonato a da Hu, segue Colombo), gli ultracentenari in aumento (633 in tutto, solo due ne hanno109 …), l’età media in cui ci si sposa (37 lui e 33 lei, ma se la coppia è solo italiana lui ne ha 39 e lei 35), quante famiglie, tanti single.

09_mattace29FBApprossimando per cifre tonde gli abitanti di Milano sono 1.300.000, la pancia della curva demografica è riempita da due fasce d’età: 600.000 tra i 30 e i 54 anni, 170.000 tra i 18 e i 29 anni. L’età media è di 45 anni e più della metà dei nuclei famigliari è composto da 1 persona, i picchi si registrano tra i 30 e i 44enni. Il/la milanese tipo si delinea come single in età produttiva, il che giustifica il dinamismo economico della città e la sua frenesia sociale.

È davvero una “città luna park” come la tratteggiava Vera Schiavazzi questa estate su La Repubblica, “cara e talvolta insopportabile per chi ha figli, divertente ed effimera per chi è solo”, dentro i single gaudenti e fuori le famiglie con bambini? “L’Italia non fa che confermare una tendenza europea: le famiglie si spostano ai margini o fuori dalle città”, a causa dei prezzi, ma anche in cerca di nuovi modelli abitativi, e di una migliore qualità della vita.

O è una “città alveare” le cui celle non comunicano tra loro? Come sembra al 59% degli intervistati milanesi della ricerca Ipsos commissionata dal comitato Brand Milano. Nella classifica stilata dai lettori di Traveller Condè Nast Milano è all’ottavo posto nella top ten delle città inospitali a causa “dell’infelicità degli abitanti”. Ma quale infelice avrà incontrato il lettore-turista, saprà distinguere il city user dal residente? Condividono la stessa infelicità, il traffico soffocante? Nemico numero uno di questa amministrazione che sulla mobilità sostenibile e sul verde investe gran parte del suo bilancio, e della qualità della vita ha fatto un vessillo, con un assessorato dedicato.

Ma quale è l’obiettivo a lungo raggio? Il Pgt ha dettato le regole alla forma urbis, ma quale il sogno che ci accomuna (Amburgo: una città senza auto in venti anni…), la visione sottesa di una Milano da qui a trenta anni, il suo tratto distintivo? Cosa e per chi stiamo “costruendo”, che tipo di capacità attrattiva vogliamo esercitare? Le parole d’ordine attuali, che definiscono l’orizzonte del desiderio, “moderna, innovativa, sostenibile e inclusiva”, tutte comprese e declinate in “smart”, sono sufficienti?

Expo è stato un banco di prova in cui le celle dell’alveare hanno cominciato a comunicare, o per rimanere nella metafora a noi cara, sono stati gettati ponti tra le isole dell’arcipelago: ha funzionato il paradigma della share economy (bene pubblico sviluppato per interessi privati) per alimentarne il business. Ma è sintomatico che ancora oggi, a un anno dalla fine della manifestazione, il futuro dell’area dopo Expo non sia stato definito, non se ne sia ancora decisa la sorte. Pesa certo il peccato di nascita, l’acquisto delle aeree il cui costo va recuperato, ma rimane una afasia collettiva sul suo destino.

Il timore è che non basti un nuovo livello amministrativo, quello metropolitano, sulla carta più adeguato alla competizione con le città globali, se manca l’intenzione profonda sulla direzione di sviluppo.

 

Giulia Mattace Raso



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