3 settembre 2014
JOHN M. NAJEMEY
STORIA DI FIRENZE 1200-1575
Einaudi, 2014
pp. 643, euro 42
La nuova edizione della monumentale “Storia di Firenze 1200-1575“di John M. Najemy sta replicando il grande successo delle due precedenti, apparse nel 2006 e nel 2008. Del resto l’ampiezza, il rigore e l’originalità delle ricerche dello storico della Cornell University avevano impressionato il pubblico degli appassionati e la comunità degli esperti del Rinascimento italiano fin dai tempi dei “Discours of Powers and Desires“, del ’93 e del celebre “Italy in the Age of the Renaissance 1300-1550” del 2004.
Chi si immerga – è il caso di dirlo- nella lettura di quest’ultimo capolavoro di Najemy rimane sorpreso e affascinato dalla prospettiva “laica” a cui l’intera opera risponde, prospettiva svincolata dalla leggenda e dal mito di Firenze, città che si presenta come un miracolo inspiegabile, terra incantata di geni le cui opere suscitano ammirazione e stupore, anche perché, mai nemmeno tentate in precedenza (come la Commedia di Dante o la cupola del Brunelleschi) e subito assunte ad archetipi culturali – e tecnici- insuperati.
Così pure la vulgata storiografica si è attardata a presentare i protagonisti della vita economica e politica della città nella loro immagine idealizzata di mecenati illuminati, promotori di cultura, modelli di civiltà.
In realtà gli ottimati e i sedicenti patrizi del Rinascimento fiorentino furono talvolta e in parte anche emuli di Pericle (come spesso amano presentarsi) ma soprattutto, e sotto questo profilo il racconto di Najemy è veramente esemplare, gestori e interpreti attenti e determinati, quando non spietati, di strenui conflitti sociali politici ed economici con le altre due classi emerse nel ribollire della città e del contado: in primo luogo il “popolo” che fondò la Repubblica delle arti e dei mestieri, subito dopo i lavoratori addetti a quelle produzioni di eccellenza che costituirono i segni visibili della cultura materiale di quei secoli, dalle pregiatissime stoffe alle pietre, con cui furono costruite le splendide abitazioni dei ricchi.
Per la verità questi conflitti e antagonismi di classe, che Machiavelli definì “divisioni”, si manifestarono durante il XIII secolo in moltissime città italiane, da Padova a Bologna, Siena, Perugia, e persino a Roma, dando vita a un fenomeno che non aveva precedenti nella storia d’Europa.
A Firenze però, la sfida politica lanciata dal popolo, organizzato nelle arti di mestiere e, va aggiunto, nelle compagnie militari di quartiere, insieme a quello dei lavoratori ad alta specializzazione, riuscì, se non a rimpiazzare l’élite degli ottimati, almeno a trasformarla, sortendo effetti più profondi che in qualsiasi altra città italiana e, più tardi, europea.
Di fatto, per la prima volta nella storia dell’Occidente, una “nobiltà europea” dovette rivedere in forma radicale la propria azione politica, la propria cultura e i propri comportamenti sociali per resistere alla pressione costante di altre classi, parallele e non subordinate, suscitando un’enorme quantità di dibattiti, riflessioni, cronache, polemiche da parte di umanisti, poeti e teorici della politica appartenenti ai soggetti sociali in lotta.
Ecco dunque l’inestimabile specificità della storia sociale e politica di Firenze, che ha avuto il pregio di coinvolgere ogni aspetto della vita della città, dalle alleanze matrimoniali ai legami di clientela e patronato, alle tattiche di guerriglia urbana, ai meccanismi di formazione del consenso all’interno delle fazioni, dei quartieri e delle corporazioni.
E di tutto ciò Najemy offre un caleidoscopio dai colori vivissimi, degno della migliore pittura fiorentina del “3-400”.
Paolo Bonaccorsi
questa rubrica è a cura di Marilena Poletti Pasero