23 luglio 2014

LA MILANO DI FRANKESTEIN JUNIOR


Ve lo ricordate il film di Mel Brooks, con un fantastico Gene Wilder nella parte del Dr. Frederick Frankenstein? Se ve lo siete perso su You Tube ne trovate pezzi divertentissimi e anche un integrale ma a pagamento. C’è una scena nella quale il giovane Frederick, compulsando i testi del terribile avo grida “Si può fare!”: un grido che qualche volta mi risuona nell’orecchio e una di queste volte è stata quando ho saputo dell’operazione “Atelier Castello – progetto di architettura partecipata”. Ho pensato “si può fare” anche se mi è sembrato un gran pasticcio ma siccome da sempre mi lamento della mancata partecipazione dei cittadini alle scelte dell’Amministrazione sulla città, questa volta ci stanno provando e dunque evviva!
01editoriale28FBMa il pasticcio rimane, accompagnato da una curiosa sensazione che si tratti del vecchio trucco di far levare la castagna dal fuoco dalla zampa del gatto. Di nuovo mi rifaccio alla vostra memoria: “La scimmia e il gatto“ di La Fontaine. La scimmia blandisce il gatto finché, carico di orgoglio, questi mostra il suo coraggio levando le castagne dal fuoco: si brucia. Personaggi e interpreti? Il Gatto, la Triennale, la scimmia, iI Comune. Torniamo a essere seri. Il Comune, in una sua dichiarazione, dice che di questa iniziativa “le modalità sono inedite” e più inedite di così non si potrebbe ma la cosa curiosa è il ruolo della Triennale che ha scelto i dieci studi di architettura da coinvolgere nell’operazione: ottime scelte tra l’altro.
È qui che si è voluto far togliere la castagna dal fuoco sulla scelta? Mancanza di coraggio dell’amministrazione? Fretta e dunque l’impossibilità di un percorso tradizionale (bando, commissione selezionatrice … .)? Timore di ricorsi? Quest’ultimo scongiurato se nessuno dei partecipanti percepisca un qualsivoglia compenso: si tratterebbe di denaro pubblico e quindi … . Ma la gloria e la fama di un eventuale successo professionale con la relativa notorietà non sono essi stessi un compenso? Credo che ormai ci si affidi al buon cuore dei cittadini, milanes cont el coeur in man, per non mettere più nemmeno uno stuzzicadenti nelle ruote di Expo. Alla prossima occasione forse sarà meglio essere un po’ più formali ma per carità non abbandoniamo la strada della partecipazione. Una piccola spina nel cuore: la Triennale e altri mezzi di comunicazione hanno parlato di riunioni dell’Atelier Castello all’Expo Gate in Largo Luca Beltrami invece che in Via Luca Beltrami, solo il Corriere della Sera fa eccezione, forse in omaggio al progettista della sua sede storica. Pignolerie senili.
Ma se mi vien da gridare “si può fare!” c’è anche qualcosa che mi vien voglia di gridare “non si faccia!”: l’Albero della vita del Padiglione Italia. Oltre a sollevare sacrosante perplessità da parte di Basilio Rizzo, presidente del Consiglio Comunale, sull’ammontare dell’investimento – 8 milioni e mezzo – in tempo di crisi con le file di milanesi alle mense caritatevoli, ha sollevato anche molte polemiche sull’estetica, come quasi tutto quello che riguarda l’immagine di Expo 2015. Come dice Philippe Daverio nella sua intervista a questo giornale di qualche tempo fa, per quanto riguarda il gusto, molte di queste scelte sono l’epilogo di venti anni di trash.
Personalmente la prima volta che ho visto il rendering mi è venuto in mente una coppa da champagne Baccarat in cristallo molato, quella nella étagère dei nonni, niente a che vedere con un albero. L’autore italiano è una celebrità internazionale, ma questo non vuol dir nulla: anche le orrende residenze a CityLife di Zaha Hadid sono pure loro di una star internazionale. A una qualche giuria o commissione sarà piaciuto, che non piaccia a me è irrilevante, d’accordo. Sugli 8 milioni e passa ho qualcosa da dire invece: chi lo vuole, di fronte alle critiche per un investimento effimero ma costoso (sei mesi di vita ma qualcuno mormora che resterà come la torre Eiffel), dice che per più di 5 milioni sarà pagato da sponsor. È vero che a caval donato non si guarda in bocca, ma con l’aria che tira mi accodo all’opinione di Basilio Rizzo, la parsimonia è doverosa. Forse qualcuno in Expo spa é come Maria Antonietta che suggeriva, mancando il pane, di mangiare brioches. I potenti non cambiano mai.

Luca Beltrami Gadola



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