16 luglio 2014

“SPENDING REVIEW” ALL’ITALIANA TRA FUMO, CAVILLI E ANNUNCI MEDIATICI


Ancora un anno fa coltivavo l’illusione che si potesse discutere di spesa pubblica, bilancio e rilancio degli investimenti senza dover parlare per slogan e iperboli, tanto che mi ero lanciato in una più o meno dotta spiegazione della differenza fra il concetto di “taglio della spesa” chiamato all’anglosassone “spending review” e quello di riorganizzazione dei processi di decisione, sempre all’anglosassone chiamato “reinventing government“. Il primo, alla grossa, consiste nel prendere atto che i soldi di Pantalone stanno finendo e si traduce in una prepotenza su chi sarà il primo fra dipendenti pubblici, utenti del sistema sanitario, enti locali, scuola etc. a essere sbalzato da una ruota che continua a girare allo stesso ritmo e nello stesso modo; il secondo, sempre alla grossa, consiste nel fare come Bill Clinton nel suo primo mandato, vale a dire varare la più colossale operazione di “cambio di verso” (il nostro premier sarà d’accordo, immagino) della storia, ridiscutendo completamente uno a uno tutti i processi di decisione – pianificazione – erogazione della spesa e del servizio pubblico non basandosi sulla spesa storica ma ripartendo da una “base zero” sia in termini economici che organizzativi.

02_dalfonso27FBQuesta illusione mi è miseramente e definitivamente crollata quando ho sentito un consigliere comunale di Milano apostrofare con sincera indignazione gli assessori per non aver fatto la “spending review” e averlo costretto a votare l'”aumento delle tasse” ai cittadini, sorvolando sul particolare che lo stesso fosse stato effettuato dal Governo per decreto legge. Ho avuto in quel momento la chiara percezione che il “per niente-dolce-far-niente-di-concreto” del nostro Governo, sia pur sommerso da annunci di futuro radioso ben confezionati, non ha solo l’effetto positivo di suscitare una speranza di cambiamento un po’ troppo giovanilistica per i miei gusti ma indubbiamente positiva, ma ha l’effetto di distribuzione di metadone per gente con responsabilità politica che pensa così di evitare la fatica della riabilitazione prendendosela col farmacista che gli nega la dose successiva.

Almeno per un momento occorre tornare sulla stessa lunghezza di dibattito e dire senza giri di parole che la “spending review” di Monti e Bondi o di Letta e Cottarelli e ora di Renzi e non si sa chi, è semplicemente una boiata pazzesca, come disse Fantozzi della Corazzata Potiomkin. Lo è nella sua formulazione e soprattutto nella sua traduzione pratica, un volume mostruoso di decreti legge che rinviano a regolamenti attuativi le riforme di sistema che vedranno la luce, calendario ministeriale alla mano, fra il 2016 e il 2019, mentre per far quadrare i conti correnti si ricorre al sano, vecchio taglio della cassa e dei trasferimenti agli enti erogatori di servizio, Comuni in primo luogo, accompagnandolo con un nugolo di cavillosi e ingovernabili codici e codicilli contenuti in norme, regolamenti e soprattutto “circolari attuative” che privano completamente di autonomia sia la burocrazia (che peraltro non vedeva l’ora di essere deresponsabilizzata anche per legge …) sia la politica.

Di là dalle parole, ci si sta comportando come i dirigenti di un’azienda in crisi perché ha prodotti obsoleti, che non investono sul loro rinnovo e pensano che sia possibile “tenere duro” facendo le fotocopie sul retro della carta usata o postdatando gli assegni.

A Milano il “prodotto innovativo” è sotto gli occhi di tutti e si chiama città metropolitana. Ridisegnare confini, procedure e strutture di costi di pubbliche amministrazioni che cubano almeno cinque miliardi di euro e forse cinquantamila addetti può essere visto come il nostro meraviglioso progetto o come il nostro peggior incubo. Possiamo ancora scegliere tra il fare gli addetti alle fotocopie e correre il rischio dell’innovazione.

Franco D’Alfonso



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