16 luglio 2014

libri – IL DESIDERIO DI ESSERE COME TUTTI


FRANCESCO PICCOLO

IL DESIDERIO DI ESSERE COME TUTTI

Giulio Einaudi editore, 2013

pp.268, euro 18

libri27FBUna tripletta così è riuscita a pochi, un Nastro d’argento e un David di Donatello per la sceneggiatura del film “Capitale umano” di Virzì, un Premio Strega con “Il desiderio di essere come tutti”, nel solo anno 2014.” È da un anno, da quando il libro è stato pubblicato dall’Einaudi che un tam tam di fondo si è levato intorno a Francesco Piccolo, osannato da molti, criticato dai più snob. Era dunque nell’aria che lui fosse il vincitore del più ambito e chiacchierato premio letterario italiano, con 140 voti, contro i 135 di Antonio Scurati, secondo per la seconda volta.

Il racconto si apre con una scena che difficilmente il lettore potrà dimenticare, la Reggia di Caserta all’imbrunire, deserta, vista dall’alto, accanto alla cascata e la fontana dedicata al mito di Diana e dell’incauto Atteone, e tre ragazzini penetrati da un pertugio del muro di cinta, per rubare Coca Cola e gelati da un frigorifero scassinato.

E lui, il protagonista, travolto dalla grandezza e dalla bellezza del luogo, per un attimo avverte di far parte di un mondo ove milioni di persone hanno provato la sua stessa emozione in una comunione di storia e di destini, di “amorosi sensi”. È la forza dello sceneggiatore di tanti film di Moretti, che fa percepire all’istante situazioni ed eventi con la cadenza giusta, riuscendo a stupirti e ad attrarre la tua attenzione.

Come quel mitico gol di Sparwassen ai Mondiali del 1974, nella partita tra la Germania est e la Germania ovest, che il protagonista vede alla TV con suo padre e allora, proprio allora, solo decenne, decide che diventerà comunista, che vorrà stare sempre dalla parte dei più deboli. Se quella Germania est, dall’aspetto modesto poteva umiliare la potente e arrogante Germania federale, forse c’era una speranza per tutti i diseredati della terra. Ecco, la speranza di un mondo migliore, a prescindere dai risultati, nella consapevolezza di sentirsi migliori, per il fatto di essere nel giusto.

Questo libro, definito da alcuni, con sottile disprezzo, di autofiction, ha il pregio di scandire, attraverso gli occhi del protagonista-autore nel suo divenire uomo, 40 anni di storia italiana, e le alterne vicende della sinistra, elevata quasi a forza di governo da Enrico Berlinguer, il mito dell’autore. Memorabile la scena della stanza vuota ove un televisore trasmette i funerali del Segretario del PCI, quell’11 giugno del 1984, un mese esatto dopo il suo coraggioso discorso, fischiato al Congresso socialista di Verona, e un ragazzo – l’autore – alza il pugno in aria e piange, piange per la caduta di un sogno.

Quello incardinato da Berlinguer nel compromesso storico tra DC e PCI, immaginato con Moro. “E che tutto il mondo democratico di sinistra condivideva”. Quasi tutto, infatti per alcuni “non bastava la forza progressiva: ne volevano di più”.

Fu così che “poi tutto questo scomparve di colpo la mattina del 16 marzo 1978 … la mattina in cui rapirono Moro”. Proprio lo stesso giorno nel quale il PCI avrebbe dovuto dare la sua fiducia al governo Andreotti: la fine di uno statista coincise con la fine dello stesso compromesso storico. Fu così che nel 1980, al tempo del terremoto nell’Irpinia, Pertini Presidente e con l’ascesa dei socialisti di Craxi, Berlinguer cambiò rotta e virò per una “alternativa democratica” per un “governo degli onesti”. In pratica Berlinguer” tira fuori il suo partito da tutto il “sistema”, alimentando l’inizio della discesa agli inferi.

Proprio attorno a questa considerazione ruota quel tutti del titolo in cubitali caratteri rossi, geniale idea del grafico della Einaudi. Il desiderio di essere come tutti, di fare parte del mondo, si fonda certo su una certa superficialità di impronta materna, (divertente l’episodio del colera – Guttalax) ma permette di guardare in faccia anche l’altro, il tuo presunto nemico, senza preconcetta alterigia, per trarne eventuali ponti, necessari per governare la complessità del Paese.

L’autore confuta quel chiamarsi fuori dalla politica, propria di una certa sinistra di allora: per gestire gli eventi, è necessario esercitare l’arte del compromesso. Stigmatizza l’autore l’atteggiamento supponente di quanti si sono arroccati in una fortezza fondata sulla superiorità della morale, sprezzante verso l’ondata di volgarità e mezzucci squadernati dall’era berlusconiana. Ebbene, se la realtà di mezza Italia è questa, è con questa parte che si deve dialogare. Renzi docet.

Un libro coraggioso questo di Piccolo, che parla del suo vivere non come vorrebbe essere ma come è, con le sue debolezze e i suoi sogni dimezzati, per una etica della responsabilità delle conseguenze delle azioni e non solo per una etica dei principi, spesso sterile. E la sua visione del mondo è sostenuta anche con riferimenti a film famosi, “La Terrazza di Scola”, “Come eravamo di Pollack” o a romanzi di Dűrrenmatt, Parise, Kundera, Ginzburg (dalla quale trae spunto per il titolo). Citazioni colte, come si conviene a uno dei più importanti intellettuali, sceneggiatori, scrittori italiani.

 

questa rubrica è a cura di Marilena Poletti Pasero

rubriche@arcipelagomilano.org



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