9 luglio 2014

GIULIANO PISAPIA ALLA GUERRA DEL SEVESO


Per il suo ultimo miglio il sindaco Giuliano Pisapia ha indicato tre obbiettivi a dir poco impegnativi: Seveso, periferie e casa. Li ho messi io arbitrariamente in quest’ordine, quello che chiamerei l’ordine di responsabilità decrescente: la soluzione del problema Seveso dipende solo in parte da lui, per le periferie diciamo al 50% e per la casa al100%. Quest’ultima attribuzione è forse ingenerosa perché il “mercato” fa la sua parte e ora sembra si sia messo di traverso. Ma visto quel che è successo nella notte tra lunedì e martedì scorso vorrei parlare solo del Seveso (e della Città Metropolitana).

01editoriale26FBDa quando sento parlare del Seveso e delle sue esondazioni? Non ho voglia di far conti che servono soltanto a farti sentire più vecchio, basta ricordare che persino i Romani ci misero mano ma lui e le sue acque, malgrado le intemperanze avevano, ebbero, un ruolo bonario fino ai primi del ‘900: servirono di difesa dai nemici, furono forza meccanica per macinar grano e, ahimè scarico di rifiuti per tessiture e altre aziende, fin quando l’ambientalismo non prese le prime mosse concrete con i relativi provvedimenti.

Sul che fare da allora generazioni di ingegneri idraulici si sono cimentati e, prendendo in parte a prestito il titolo di un famoso film di Castellani, i progetti nel cassetto non si contano più. L’ultimo atto amministrativo che riguarda il Seveso deve essere il Contratto di fiume Seveso firmato il 13 dicembre 2006 e che vide intorno al tavolo 17 Comuni della Provincia di Milano e 29 della provincia di Como. Neppure questo contratto di fiume servì a qualcosa. Ricordo anche un progetto redatto dalla MM che, se non sbaglio, riguardava un canale che avrebbe dovuto passare sotto le zone nord est di Milano per collegarsi al Lambro. Non voglio qui fare l’inventario dei progetti e delle vasche che erano previste in quasi tutti, vasche sgradite ai residenti: il festival della sindrome di NIMBY. Mi viene tuttavia un’osservazione: gli ultimi progetti prevedevano vasche che, normalmente piene per non danneggiare il paesaggio, venivano svuotate per tempo per accogliere le onde di piena dovute alle perturbazioni che i metereologi pensavano di poter prevedere.

Oggi sembra che questa disciplina, la meteorologia, debba veder crollare molte delle certezze che le statistiche degli anni passati avevano dato. Il cielo ci riserva da qualche tempo una novità: le bombe d’acqua. La variabilità improvvisa è un fatto acquisito e con lei sono probabilmente saltati tutti i calcoli sulla portata delle piene. Tutto da rifare dunque. Probabilmente.

L’effetto Seveso incrocia curiosamente uno dei dibattiti in corso che più anima la scena politica, la Città Metropolitana: la soluzione, ormai improcrastinabile, della questione Seveso – possibile solo a grande scala territoriale – sarà la cartina al tornasole di questo nuovo livello amministrativo che per il momento muove i primi passi tra i dubbi dell’architettura istituzionale e il problema di dare voce ai cittadini che ne saranno coinvolti.

Vincerà il buon senso, la coesione sociale, lo spirito di partecipazione convinta o sotto sotto la sindrome di Nimby avrà la meglio e non solo per il Seveso? Questa è una domanda che dobbiamo porci sulla Città Metropolitana e sarà il Seveso a darci la misura del suo successo. Una nota storica: al tempo degli Austriaci l’ingegner Pietro Parea prospettò un progetto il cui costo parve elevatissimo: un milione di lire milanesi. I governanti di allora lo affrontarono considerando che i danni provocati dalle esondazioni erano assai maggiori di quella spesa. A futura memoria.

 

Luca Beltrami Gadola



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