9 luglio 2014

SODDISFARE IL CONSUMATORE O L’UOMO: UNA STRATEGIA PER LA CRESCITA ECONOMICA


Gli esseri umani, di fronte a cambiamenti epocali come quello che stiamo vivendo, si sono sempre posti una domanda, in molti casi con l’autorevolezza di filosofi e pensatori in ogni disciplina: che fare? Nel mondo delle imprese la domanda é la stessa, e ciò che é possibile prevedere in questa area può avere un valore di metafora per altri ambiti, dato che alla base di ogni costruzione sociale il destinatario finale è sempre lui: l’essere umano integrale, da comprendere e rispettare come tale.

07bonferroni26FBNon esiste, e non è mai esistita in ogni epoca, un’unica risposta alla domanda – che fare ? – nel sentire comune oltre che scientifico. Pur avendo coscienza di questa realtà, proponiamo in questa sede di considerare, nell’ambito del marketing e delle imprese, una proposta nascente dalla stessa natura dell’essere umano. Nel 2000, per una serie di circostanze, ebbi l’occasione in un convegno per formulare l’idea relativa all’opportunità di evolvere e integrare il modello “consumatore” e la stessa customer satisfaction, in una più ampia concezione esprimibile in human satisfaction. Nel 2005 scrissi un libro dallo stesso titolo edito da Franco Angeli, con prime riflessioni su questa visione e sul conseguente metodo multicreatività, espressione del lavoro multidisciplinare. Il libro riportava anche le opinioni di autorevoli filosofi, sociologi, psicologi, imprenditori e marketing manager, che condividevano la visione e il nascente metodo per la strategia e comunicazione d’impresa. Ricordo in quell’anno una mail di Philip Kotler in cui testualmente mi scriveva: “I like your transforming the idea from a customer approach to a human approach”.

Rispetto alla customer satisfaction, e in particolar modo rispetto al “modello consumatore”, rivelatosi negli anni sempre più obsoleto, la human satisfaction si pone quale visione e metodo integrativi, considerando umanamente ed economicamente utile contribuire a promuovere la centralità dell’essere umano integrale, con una filosofia e un conseguente metodo nello stesso interesse dell’impresa e della diffusione ottimale dei suoi prodotti e servizi, ottenuta quale conseguenza del raggiungimento di obiettivi di soddisfazione delle necessità presenti nelle persone-clienti, misurabili in modo più esteso rispetto alla tradizionale customer satisfaction, individuandole nelle tre aree della psiche: emotività, razionalità, etica.

Non è facile superare le abitudini generate nel tempo dal “modello consumatore”, in cui l’impresa tende a imporre i propri prodotti, in una sorta di monologo in cui il “consumatore” è considerato da condizionare e convincere all’acquisto. Questo è frutto dell’economia razionalista per la quale l’homo oeconomicus é per sua natura sempre proteso alla esclusiva ricerca del massimo profitto personale.

L’applicazione della human satisfaction prevede, come prima e fondamentale fase di analisi, un profondo “ascolto” delle necessità integrali della persona-cliente e della sua soddisfazione razionale, identificabili quali necessità (items, per i ricercatori), misurabili nelle aree dell’emozione, della ragione e dell’etica, per collegarle una per una alle soddisfazioni che l’impresa e il brand in esame tendono a dare, misurando la distanza (gap) tra tali necessità rilevabili nella psiche e la soddisfazione percepita dalla persona-cliente. Questa analisi richiede il concentrarsi come prima fase sull'”ascolto”, con la chiara volontà dell’impresa di mettere costantemente in discussione le proprie convinzioni consolidate non considerandole mai definitive.

È da ritenersi che la cultura dell'”ascolto” e della misurazione delle necessità delle persone e dei gap, debbano essere prima di tutto condivise dai più Alti Vertici dell’impresa.

Come è apparso chiaro e documentato da molti colloqui con sociologi, psicologi, filosofi e imprenditori, il passaggio culturale é dal “territorio del monologo” tra imprese e consumatori al “territorio del dialogo” tra imprese e persone-clienti, evitando i condizionamenti pavloviani, puntando a scelte libere e consapevoli basate pur sempre sull’immediatezza, la forma, la “passione” e l’impatto dei messaggi, che però non siano fine a se stessi, promuovendo contenuti innovativi “storytelling“, con informazione, dialogo e “servizio”, promuovendo decisamente lo scambio di idee tra impresa e pubblico per una comunicazione intesa in modo partecipativo quale “azione comune”.

Da casi realizzati in vari settori, gli elementi integrativi e misurabili dell’approccio human satisfaction oriented rispetto all’approccio customer satisfaction oriented, sono in particolare:

a) I valori percepiti dalle persone-clienti, derivanti dalla comprensione e dalla soluzione delle loro necessità analizzate in modo olistico nelle tre aree della psiche (emozione – ragione – etica).

b) I valori della relazione che si incrementa tra marca e persone, misurabile in qualità e quantità.

c) I valori della fidelizzazione, in particolare nella parte “alta” della piramide di mercato, dalla quale l’impresa ricava la maggior quota di fatturato e di contributo al profitto, e in cui crescono e si sviluppano i migliori “venditori” di un’impresa, ovvero le persone-clienti soddisfatte che mettono in moto il più attuale, efficace e gratuito medium di comunicazione interattiva: il passa-parola.

d) I contenuti della comunicazione interna ed esterna che con la multicreatività per la human satisfaction, espressa da un team multidisciplinare, si arricchiscono di elementi informativi e di dialogo, integrativi ed evolutivi rispetto alla comunicazione-monologo.

In sintesi, la human satisfaction si propone quale visione e metodo olistico e integrativo identificabile nella metafora “edificio di comunicazione” per l’impresa, con alle fondamenta l’ascolto delle necessità, la motivazione dei gap tra necessità e soddisfazioni percepite, e la strategia per ridurre i gap con i concept di comunicazione, al primo piano la comunicazione e formazione interna, al secondo la comunicazione esterna, e al terzo lo sviluppo della comunità di marca.

 

Marzio Bonferroni

 

 



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