2 luglio 2014

libri – LA FABBRICA DEL PANICO Premio Campiello Opera Prima


STEFANO VALENTI

Vincitore Premio Campiello Opera Prima

LA FABBRICA DEL PANICO

Feltrinelli 2014, giugno 2103

pp.124, euro 11

Il libro verrà presentato giovedì 3 luglio,ore 20,30 alla “Villa dei Vescovi”, imponente costruzione cinquecentesca dell’architetto Giulio Romano, a Luvigliano di Torreglia (PD), di proprietà del FAI. Intervista l’Autore Marilena Poletti Pasero, Unione Lettori Italiani Milano

libri25FBPremio Campiello Opera Prima, Stefano Valenti con il suo romanzo d’esordio La fabbrica del panico, si pone nel filone di Ottiero Ottieri con il suo Donnarumma all’assalto e Paolo Volponi, il Memoriale, che negli anni ’60 inaugurarono quella particolare forma di letteratura denominata “di fabbrica”, poiché la fabbrica era l’habitat dal quale scaturiva la narrazione. Ma allora eravamo in pieno boom economico, oggi siamo in una situazione all’opposto, dove la cosiddetta mutazione antropologica a seguito della rivoluzione industriale e l’avvento di un agguerrito proletariato, lascia il passo alla scomparsa delle fabbriche a favore del terziario, in Occidente.

Romanzo dolente e feroce questo di Valenti, dove subdolo protagonista silenzioso è l’amianto killer che ha mietuto nel tempo migliaia di ignari, innocenti operai che, come vittime sacrificali sono stati immolati sull’altare del profitto, novelli militi ignari di una guerra non dichiarata. Il padre dell’autore era uno di loro, operaio alla Breda Fucine di Sesto San Giovanni, che alla fine degli anni ’60 contava 20.000 lavoratori, oggi abbandonata e deserta.

E dire che sin dal 1974 i rapporti dello Smal (Servizi di medicina preventiva per gli ambienti di lavoro) avevano segnalato la pericolosità dell’amianto in fabbrica, a tutti i livelli, alla direzione aziendale, al consiglio di fabbrica, all’ufficiale sanitario, all’Assessorato alla sanità, ai sindacati tutti, come riportato nel libro “Operai carne da macello” in internet. Nulla accadde, in un colpevole ritardo, per inseguire uno sviluppo industriale basato sul tacito ricatto “stipendio- salute”. Un binomio che si è riproposto all’Ilva di Taranto, della qual cosa non si sente più parlare.

Per questo ha fatto clamore la recente sentenza del 2013, della Corte d’Appello di Torino, nel processo contro la Eternit di Casale Monferrato, che ha comminato diciotto anni di reclusione all’industriale svizzero Schmidheiny per disastro doloso, a differenza della sentenza del 2003 che mandava assolti due dirigenti della Breda, accusati di omicidio colposo di sei operai, perché “il fatto non sussiste”.

Il romanzo dunque è un peana al padre, eroe dolente ma orgoglioso, che grazie al suo sogno coltivato con pervicacia, diventare pittore, ha potuto sopportare gli indicibili disagi del suo lavoro di saldatore alla Breda, non senza alla fine soccombere per mesotelioma, il cancro ai polmoni provocato dall’amianto che maneggiava ogni giorno dinnanzi all’Altoforno, sei piani di altezza, come una cattedrale, dal calore infernale di 1800 gradi.

Ragazzo della Valtellina, il padre era sceso a valle per entrare alla Breda di Sesto, la Stalingrado d’Italia, come operaio saldatore, costretto ad abitare in una stanza loculo con altri compagni di lavoro, in una Milano nebbiosa e ostile, solo un corso serale all’Accademia di Brera a illuminare la sua squallida vita. E non gli rimane che il ritorno alle amate vallate, ormai malato, a rimirare in silenzio e solitudine le sue montagne, ma con il pennello in mano a lenire la sua sconfitta e disperazione esistenziale.

Sua disperazione, e per un gioco maligno di transfert, anche di suo figlio, l’autore, che aveva introiettato quel senso di panico, di vergogna, di umiliazione che aveva vissuto il padre in quella fabbrica di morte, senza potersi ribellare, sotto il controllo continuo dei suoi capi, pena ammonizioni, multe, licenziamento, con la paura che il fisico cedesse alla fatica e all’aria ribollente, densa di particelle microscopiche di amianto dissolte nell’aria irrespirabile della fabbrica.

Magistrale, quasi da psicoanalista è la descrizione del malessere, che coglie con crisi improvvise di panico il figlio, che non si dà pace per la morte del padre e per i disagi che ha dovuto subire. Per sua fortuna però una luce si accende anche per lui, l’incontro con il sindacalista Cesare, che con il padre aveva fondato il Comitato per la salute in fabbrica, grazie al quale iniziano le prime inchieste su quelle morti sospette in fabbrica.

Fu così che il figlio si dedicò anima e corpo alla raccolta di materiale utile a inchiodare la Breda alle sue responsabilità per colpevole ritardo nel prendere provvedimenti per la salute dei suoi lavoratori, come l’installazione di ventilatori nell’ambiente di lavoro, mai concessi nonostante le ripetute richieste. Mezzo litro di latte a testa per lavoratore era l’unico rimedio-beffa offerto agli operai, ignari del pericolo che correvano ogni giorno.

E accanto ai tre protagonisti, il padre, il figlio, l’amico sindacalista, si affianca, come in una tragedia greca, il coro, con le voci di quanti sono sfilati al processo a testimoniare, prima titubanti, poi accusatori consapevoli, la veridicità dei fatti denunciati.

“Letteratura di fabbrica” a pieno titolo questo romanzo, che a differenza di quelli degli anni ’60, non vive più la fabbrica come un luogo privilegiato di appartenenza, sulla scia dell’esperienza olivettiana, ma come necessità per sopravvivere.

 

 

questa rubrica è a cura di Marilena Poletti Pasero

rubriche@arcipelagomilano.org



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