25 giugno 2014
È parere ampiamente condiviso che le opere di nuova infrastruttura e/o di urbanizzazione dovrebbero strategicamente rappresentare una grandissima occasione per l’attuazione di politiche territoriali di valorizzazione e di riequilibrio ecologico – ambientale. Esse offrono, infatti, la possibilità di concretizzare interventi che altrimenti rimarrebbero solo sulla carta, come ad esempio le reti ecologiche di scala interprovinciale , forestazione e il ripristino del sistema irriguo minore.
Tuttavia, per quanto ho potuto constatare anche direttamente, confrontandomi con la pianificazione ambientale provinciale e regionale, per la progettazione di opere di mitigazione e compensazione di nuove reti infrastrutturali viabilistiche lombarde, non sempre questa opportunità è stata sfruttata.
Nel caso della Pedemontana Lombarda, la Regione e le Province individuarono preventivamente il corridoio ecologico primario che per larga parte ha coinciso con il corridoio autostradale. Ciò ha di fatto orientato la progettazione delle opere di mitigazione e compensazione ambientale della Pedemontana alla concretizzazione dell’unico corridoio rimasto nella città infinita dell’arco pedemontano tra Ticino e Adda.
Di segno opposto sembra invece essere la più recente Tangenziale Est Esterna Milano: seppure il suo tracciato ricada per buona parte su importanti comparti agricoli attivi del Parco Agricolo Sud Milano, la mancanza di una visione strategica ambientale ha permesso che le opere si limitassero a mitigare gli impatti diretti e a promuovere solo sporadicamente azioni di recupero e valorizzazione ambientale.
L’assenza di consapevolezza del quadro d’insieme e/o di programmi di attuazione rapportabili ai budget compensativi che le nuove infrastrutture devono per legge erogare in opere, ha fatto sì che molti degli enti preposti alla verifica dei progetti prescrivessero modifiche con azioni avulse ai territori e agli stessi budget di riferimento, o sporadiche e incentrate sul rispetto puntuale dei regimi vincolistici consueti – paesistici, idraulici, dei beni culturali, di trasformazione del bosco,e così via.
Cosa manca, quindi, ai modelli di gestione del territorio? Non i vincoli, che hanno dimostrato la loro inadeguatezza – anche nella loro migliore attuazione – rispetto allo sprawl urbano generalizzato e alla pesante perdita della qualità del patrimonio paesistico dell’area metropolitana milanese di questi ultimi quaranta anni.
Ciò che sembra mancare è proprio la progettualità del territorio non urbanizzato. Tutte le aree non impermeabilizzate del territorio dovrebbero avere un proprio strumento di progettazione attiva e di programmazione di interventi, che goda della stessa dignità degli strumenti di pianificazione urbanistica e con interlocutori capaci di orientare le scelte d’uso del territorio verso la qualità ambientale, lo sviluppo razionale delle risorse di suolo, aria e acqua, nonché la tutela e ricomposizione di un quadro paesaggistico ed ecologico d’insieme.
All’interno del perimetro dell’area metropolitana si potrebbero immaginare dei “distretti”, che comprendano trasversalmente tutte le aree non urbanizzate, quali le aree agricole, gli spazi interstiziali abbandonati, i sedimi ferroviari, le aree bonificate o da bonificare, il verde urbano, i parchi di cintura e il sistema dei parchi. Distretti che potrebbero avere dei confini dettati dalle caratteristiche podologiche omogenee, quindi finalmente incentrate sulle diverse qualità dei terreni.
Quale modello di governance per tali distretti, il migliore mi pare quello riproposto da Francesco Borella per i parchi di cintura, nell’ottimo articolo pubblicato il 4 giugno scorso su ArcipelagoMilano. Il modello, cioè, sperimentato positivamente dal Parco Nord e Italia Nostra dove, sotto la supervisione della Città metropolitana, si introduca un nuovo soggetto pubblico capace “di ascolto delle associazioni e dei cittadini, catalizzatore di partecipazione e di volontariato, ma capace anche di individuare in loco le linee di minore resistenza lungo le quali far maturare progetti immediatamente cantierabili, in risposta a istanze sentite dai cittadini (e quindi più facilmente finanziabili)”.
Quindi unità rappresentative del territorio metropolitano con una propria dignità amministrativa, dotate non solo di conservazione ma con una capacità specifica progettuale. Un soggetto che possa finalmente sedersi con competenza ai tavoli per la programmazione di nuovi insediamenti, per proporre correzioni di rotta e misure compensative veramente condivise dai soggetti attivi sul territorio di riferimento. I contenuti delle contrattazioni e delle dinamiche reali dovrebbero poi diventare tasselli fondativi per la redazione del piano strategico della città metropolitana, specialmente se quest’ultimo, piuttosto che registrare fatti già accaduti, avrà contenuti propositivi in merito alle trasformazioni condivise.
Ancora Borella, nel suo articolo, definisce il sistema dei parchi, la rete ecologica, le aree agricole, quali “livelli di intervento” per il verde a scala metropolitana. Nello scenario delle azioni strategiche da lui descritte, e che condivido, aggiungo solo alcune note.
– In merito alle aree urbane intercluse tra l’edificato, così come per le aree ai margini di infrastrutture, dopo il loro recupero a uso pubblico bisognerebbe privilegiarne la connettività vegetazionale oltre che fruitiva. È ormai necessario che queste aree “di risulta”, effetto delle relazioni dinamiche tra le trasformazioni urbane, vengano considerate un valore fondativo per la futura qualità delle periferie.
– I parchi di cintura dovrebbero, mediante il loro progressivo riconoscimento e trasformazione a parchi pubblici, superare la loro pregressa identificazione quali elementi di mediazione tra città (monocentrica) e campagna. Il superamento dei limiti comunali, imposto dalla città metropolitana, sposta invece l’accento sulla trasformazione a verde pubblico come elemento di qualità delle aree urbanizzate (Parco Nord) e di continuità di scala territoriale, come ad esempio il recente ampliamento del Plis Media Valle Lambro, che ha connesso il corridoio del Lambro dal Parco di Monza al Parco Forlanini di Milano: 13 km di territorio intercomunale. La connettività del sistema dei parchi di cintura è l’orizzonte su cui si confronteranno sia le infrastrutture viarie (mobilità) sia le infrastrutture a verde (biodiversità – qualità del paesaggio e mitigazione climatica).
– Anche il sistema irriguo che costruisce il territorio metropolitano dovrebbe essere rivisto in chiave di potenziamento della rete ecologica principale mediante azioni dirette alla sua conservazione, alla qualità delle acque e al potenziamento delle fasce riparie; tutto il contrario di quanto, nel 2008, è stato deliberato nel Regolamento di polizia idraulica per i Consorzi di Bonifica, proprio dalla Regione Lombardia.
– Anche sulle aree agricole di prossimità è necessario proporre un ripensamento. Pur essendo vero che la perdita di produttività agricola in termini estensivi, sotto la pressione dell’urbanizzato, ha innestato fenomeni evidenti di abbandono, è anche vero che la Comunità Europea ha stimato che il 15% degli alimenti venduti in Europa nel 2013 è prodotto da filiera corta. Contemporaneamente si assiste a una richiesta di suolo per la coltivazione diretta da parte dei cittadini, con crescente remuneratività per gli enti concessionari. Occorre quindi non sottovalutare questa domanda, preservando le aree per la coltivazione agricola di prossimità; migliorandone la produttività con piccole azioni di ricucitura fondiaria e creazione di luoghi per la vendita diretta distrettuale. I piccoli comparti agricoli potrebbero ritornare alla città, a patto di ascoltare la domanda crescente di sostenibilità alimentare. Il futuro del territorio agricolo torna a dipendere da ciò che mangiamo.
Pierluigi Marchesini Viola
Gruppo Petöfi – Dialoghi sulla Città Metropolitana /6
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