25 giugno 2014

“PIAZZA” GINO VALLE, PERDERSI NEL VUOTO DI UN VUOTO A PERDERE


Quand’ero bambino mio padre diceva “vado in piazza” e tutti in casa capivamo, non c’era altro da aggiungere. Andava in Piazza del Duomo, da Quarto Oggiaro. Milano, in fondo, ha sempre avuto una sola piazza, e neppure bellissima. Un progetto nato già obsoleto, incompleto, un invaso enorme che ridimensionava la mole del Duomo facendolo sembrare un modellino fuori scala. Però alla fine i milanesi si sono affezionati all’unica piazza che ancora oggi considerano davvero tale. Fino a pochi anni fa, per capirci, a Milano piazze anche belle, contenute, aggraziate nelle dimensioni e nelle fronti erano utilizzate come parcheggi. Penso a Piazza Sant’Alessandro, a Piazza Belgiojoso, a Piazza San Fedele, ancora oggi, ormai senza macchine, sistematicamente snobbate dai milanesi. Chissà perché.

06biondillo24FBFare una piazza è una cosa seria, ha una grammatica precisa che chiede d’essere rispettata. Non basta la qualità edilizia, ci vogliono funzioni e superfici coerenti. Non capisco perciò tutto l’entusiasmo dei media di fronte all’inaugurazione della nuova “Piazza Gino Valle”. “Una piazza più grande ancora di quella del Duomo” c’è stato strombazzato sui media. Qualcuno dovrà spiegare a chi smercia queste (non) notizie che in architettura, come nel sesso, le dimensioni non sempre contano.

Non basta chiamare un vuoto “Piazza” perché poi lo sia per davvero. Se non rispetta la grammatica di base è solo un coacervo di parole messe a caso, incapaci di germinare alcunché. Gino Valle era un progettista di qualità che io ho molto amato, ma qui bisogna avere il coraggio di dire che ha palesemente toppato. Cos’è questo miscuglio incoerente di fronti, questi monoliti allineati misticamente con le stecche del QT8 che stanno oltre la circonvallazione, cos’è questo confuso spuntare sulla linea d’orizzonte di palazzi e cantieri, cos’è quest’enfasi di mostrare il fronte di uno degli edifici più pretenziosi e trash di Milano, la Fiera Portello di Bellini?

Per quanto grande, per quanto pedonalizzata, per quanto disegnata in ogni recesso, per quanto esibisca un bassorilievo di Emilio Isgrò o un restyling scherzoso della “casa Milan” di Fabio Novembre, ciò che vedo, mentre giro per questo spazio non è una piazza, è un vuoto di senso. Un ritaglio della città che raccoglie le spinte urbane senza organizzarle, lasciandole così, sconclusionate e confuse.

Basti pensare al fronte di panchine allineate nel centro del nulla di quel vuoto, tutte orientate verso la contemplazione della Fiera. Chi mai si siederà, chi avrà voglia di prendersi un’insolazione cercando di leggere un libro o mangiare un panino nel bel mezzo di questo invaso? Non è una piazza questa, diciamolo, in realtà è la copertura di un gigantesco parcheggio sotterraneo. L’immensa tettoia che troneggia al centro in questa “piazza” (dove mi trovo? A Milano, a Cleveland, a Shangai?) ha la sola funzione di riparare le uscite pedonali dai parcheggi. Bella questa involontaria metafora freudiana. Fingiamo di pedonalizzare, ma il represso, il sommerso, la pancia di questo luogo brulica di automobili. La ragione stessa dell’esistenza di questa “piazza” (scusate, non riesco a togliere le virgolette).

Cosa ci si può fare in questo luogo, oltre a qualche eventuale adunanza dove dichiarare guerra alla perfida Albione? Niente. Nessuno si darà mai appuntamento in un posto come questo, così annichilente, antiumano. Non ostante i divieti presenti ovunque, mi auguro che il posto venga subito colonizzato dagli skater di tutta la Lombardia. La conformazione si presta benissimo. Piani inclinati, gradini, sbalzi. Questo è un posto dove non si può stare, ma solo correre o muoversi su uno skate board.

Oppure ci vorrebbe il coraggio di certi ironici visionari. Penso a Marco Romano che mentre gira sperduto con me in questo vuoto urbano mi suggerisce un’idea ai limiti del geniale. “Trasferiamoci la Fiera di Senigallia”. Massì, ha ragione lui. Riempiamo di bancarelle, di gente, di vita, di confusione e commercio questo nulla cittadino. Riempiamolo di significato, inventiamogli una vocazione. Troppo plebea come soluzione, troppo “low profile”? E perché no? Facciamo come nel medioevo quando ripopolavano le rovine dell’antico impero romano dando loro una nuova funzione. La fiera di Senigallia, sì! proprio di fronte alla Fiera Portello, come in una “città invisibile” di Calvino. Idea, sia chiaro, mica troppo bizzarra o provocatoria. Le dimensioni ci sono, i collegamenti di trasporto pubblici e i parcheggi privati pure. Potrebbe persino piacermi, in quel caso, potrebbe persino avere un senso. Diventerebbe finalmente una piazza. Senza virgolette.

Gianni Biondillo



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