25 giugno 2014

RI-PENSARE IL SISTEMA OSPEDALE IN LOMBARDIA


Nella sua storia recente, la Regione Lombardia ha dato un forte impulso al rinnovamento del proprio patrimonio edilizio ospedaliero, riuscendo però solo parzialmente a rendere meno obsoleto quello dell’intero Paese. Le nuove realizzazioni possono ritenersi di buon livello, in quanto sono in grado di rispondere ai più elevati standard qualitativi e rappresentano vere punte di eccellenza nel panorama nazionale. I risultati sono certamente apprezzabili ma non esaustivi poiché sussistono ancora molte realtà superate, non solo dal punto di vista edilizio ma soprattutto da quello dell’organizzazione, e quindi talvolta inefficienti.

07capolongo24FBIl solo organismo architettonico, di per sé, è incapace di assolvere completamente il compito di curare, ma può favorire l’esprimersi di buone professionalità e corretta gestione, e quindi di efficacia dei risultati delle cure ed efficienza nella loro conduzione, accompagnate da una migliore qualità reale e percepita.

Il ritmo di invecchiamento di materiali e dotazioni e, malauguratamente, anche del design stesso delle strutture, dovute ai tempi lunghi di realizzazione delle opere pubbliche nel nostro Paese, porta purtroppo a situazioni paradossali, con notevoli ritardi costruttivi e conseguenze che arrivano fino a gravi difficoltà o mancanze nell’erogazione del servizio assistenziale pubblico.

Prima ancora di poter correre, e la medicina moderna lo fa a ritmo stupefacente, occorre però saper camminare: un nuovo “primo passo” è stato compiuto dalla Commissione indipendente Sviluppo Sanità della Regione Lombardia, che ha proposto un innovativo modello di riferimento per l’Ospedale, concepito per funzionare per “Cure integrate”, in base a processi centrati sul paziente, che prevede la massima complementarietà delle funzioni, identificando precisamente le responsabilità di ogni singolo attore ed evitandone la ridondanza o l’incertezza.

La messa a sistema di ogni componente, la creazione di una rete integrata con differenti livelli di specializzazione e complessità di intervento, secondo le esigenze del caso specifico, e la razionalizzazione delle risorse per una migliore erogazione delle prestazioni, a fronte di una riduzione della spesa, sono gli obiettivi prioritari del progetto di riforma.

Oggi le strutture di cura sono in larga parte slegate tra loro, pur esistendo una differenziazione funzionale. A ciò si aggiunge il disorientamento del cittadino per la eccessiva complessità dei servizi, non ben chiari nelle prestazioni e nell’organizzazione, con una scarsa cultura sul come utilizzare al meglio le risorse messe a disposizione dal Servizio Sanitario Nazionale. Una tale frammentazione delle strutture e l’accesso alla cura molto poco “mirato” incidono pesantemente sui costi generali e di gestione, e per di più penalizzano l’utente non garantendogli un livello di prestazioni adeguato.

Per ovviare al problema, il documento programmatico prodotto dalla Commissione introduce tre tipologie di strutture ospedaliere di cura. Le prime, gli “ospedali focalizzati su ambiti di alta complessità” riconosciuti a livello regionale, nazionale e in alcuni casi internazionale, che saranno destinati a seguire le patologie più complesse e rare – eccettuato qualche accesso, meno critico, per le necessità di screening e di focus sull’epidemiologia tra la popolazione – protagonisti anche della ricerca clinica e “translational“, per la rapida applicazione pratica delle scoperte scientifiche e delle innovazioni e la loro sperimentazione, valutazione e validazione.

Nella seconda tipologia, con alte dotazioni tecnologiche e professionali, saranno posti gli ospedali pluri-specialistici, nucleo imprescindibile e vero e proprio “connettivo” del sistema, per le acuzie più diffuse e frequenti, a complessità intermedia o alta, con bacino di utenza ampio a livello locale o, per alcune specialità, anche di più vasta entità. Essi saranno dotati di specialità mediche e chirurgiche comprese alcune alte specialità (in base alla programmazione regionale) e di tutti i servizi di supporto necessari/opportuni.

Una parte consistente di pazienti ricorrerà infine alla famiglia di ospedali di terzo tipo, a bassa complessità e limitata tecnologia, i cosiddetti “presidi ospedalieri territoriali (POT)”, pensati come punti per interventi quasi esclusivamente di tipo medico (solo con chirurgia di tipo ambulatoriale), collegati strettamente con gli altri nosocomi, per il pre e post ricovero, in grado di evitare che i pazienti affluiscano o permangano impropriamente in centri ad alta complessità e permettano invece trattamenti con un più basso costo, per giornata di degenza o per caso trattato.

Ma non bastano strutture all’avanguardia e una efficace organizzazione del sistema socio-sanitario. Nessun modello di governo infatti può prescindere dalla formazione di professionisti valenti, preparati e qualificati, pronti ad affrontare l’evoluzione delle conoscenze e ad acquisire in maniera autonoma tutte quelle informazioni fondamentali per poter affrontare le criticità, che spesso generano insoddisfazione di pazienti e operatori.

Il principio di premiare l’alta qualificazione e capacità professionale e manageriale deve essere affermato per ogni grado delle professioni sanitarie e tecniche, a partire dalle figure apicali degli ospedali, quali Direttori generali, Sanitari, di Unità operativa (“Primari”) e Amministrativi. La loro selezione e conseguente nomina, nonché la valutazione del loro operato e dei risultati raggiunti vanno fatte esclusivamente in base a criteri oggettivi e dimostrati di merito e non, come oggi in larga parte avviene, in base a scelte per appartenenza politica.

La millantata trasparenza, pertanto, non deve essere più uno slogan abusato o una pseudo “lettera di intenti”, ma un obbligo che consenta a chiunque di conoscere i criteri usati per le scelte e i giudizi, formulati solo in base al merito imprescindibile.

 

Stefano Capolongo

 

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