18 giugno 2014
La Lombardia accelera sulla medicina di genere. Ma che cos’è la medicina di genere? È quella branca della ricerca biomedica che tiene conto – nella produzione dei farmaci, nella diagnosi e nell’individuazione dei trattamenti – delle differenze sia sessuali (intese come differenze anatomiche e fisiologiche) sia prettamente di genere (intese come differenze legate ai condizionamenti culturali, ambientali e socio-economici) tra uomini e donne. Con due recenti delibere di giunta (la dgr X/1796 dell’8 maggio e la dgr X/1845 del 16 maggio), la Regione ha inserito la clinica “gender oriented” tra gli obiettivi che i direttori generali di ospedali e Asl sono chiamati a perseguire per il 2014. È la prima regione in Italia a muoversi in questa direzione.
Nell’attesa che anche a Roma – dove dallo scorso agosto è depositata una legge sulla medicina di genere che per il momento non è stata ancora calendarizzata – si smuova qualcosa. Le ultime due delibere precedono la dgr X/1845 del 20 dicembre 2013 (che inserisce la medicina di genere nelle regole di programmazione) e i riferimenti contenuti nel Piano regionale di sviluppo, trasformando l’approccio gender-oriented in obiettivo concreto da raggiungere per i direttori generali. Come?
Attraverso l’uso di protocolli clinici da seguire, focus group per gli operatori e percorsi formativi organizzati dalla DG Regione. Il ruolo che quest’ultima ha svolto nel promuovere la medicina di genere è stato importante: lo hanno ricordato molti dei relatori presenti venerdì scorso al convegno “Medicina di Genere: Lombardia VS Europa”, terzo di una serie di appuntamenti proposti dalla DG Salute sul tema della salute nella differenza che si è tenuto a Palazzo Lombardia. Organizzato in collaborazione con il progetto europeo STAGES (Structural Transformation to Achieve Gender Equality in Science) dell’Università degli Studi di Milano, il convegno ha visto la partecipazione di alcuni relatori internazionali. “L’appropriatezza della diagnosi e della cura in ottica di genere passano attraverso la conoscenza – spiega Maria Antonietta Banchero, dirigente medico Direzione Generale Salute di Regione Lombardia e coordinatrice scientifica del convegno – e il confronto con quanto succede fuori dall’Italia è essenziale, ragione per cui abbiamo voluto dare un respiro europeo a questo terzo incontro”.
Tanti i temi trattati in ottica “gender oriented“: dalla farmacologia alle patologie oncologiche fino a quelle cardio-vascolari e all’osteoporosi. Qualche esempio: la mancanza di attenzione alle differenze di genere nella farmacologia, dove spesso i prodotti vengono testati su animali da laboratorio e cellule staminali maschili, comporta effetti collaterali più frequenti presso le donne. Anche la mancanza di donne nei trial clinici comporta la messa a punto di farmaci e terapie più adatte al corpo maschile che a quello femminile. E ancora: la fertilità riduce l’incidenza del tumore al polmone per le donne e la presa in considerazione di questa specificità ha dei risvolti terapeutici, come ad esempio l’adozione di terapie ormonali sostitutive.
Infine, l’esempio dell’infarto: non solo è la prima causa di morte tra le donne, ma colpisce più donne che uomini. E tuttavia, nell’immaginario collettivo è una questione per lo più “maschile” con gravi conseguenze in termini di diagnosi per le donne: “L’infarto femminile è in genere sottovalutato – ha spiegato Patrizia Presbitero, primario di cardiologia interventistica all’istituto clinico Humanitas di Rozzano, in provincia di Milano – la diagnosi e l’ospedalizzazione arrivano tardi perché i sintomi nelle donne possono essere diversi da quelli della popolazione maschile e non vengono riconosciuti dal medico ma anzi ricondotti a problemi legati all’anzianità o al sovraccarico di lavoro”. Insomma, non è solo una questione di sesso ma anche di genere. Un tema su cui la Lombardia sta facendo passi da gigante.
Camilla Gaiaschi