11 giugno 2014

MILANO: LA CITTÀ DELLA DOMENICA E LA CITTÀ DEL LUNEDÌ


La città della domenica è quella della invasione di piazza: comizi, concerti, tornei, maratone, donne, uomini, famiglie, biciclette, musicanti, e per finire intere comunità che sfilano colorate e orgogliose per i quartieri. Occasioni in cui la città si mette a festa e tutta insieme percorre e vive uno dei suoi tratti identitari che sia la musica, il design, la multietnicità o la bicicletta. Una città in cui gli eventi sembrano trasfigurare i luoghi, vuoi perché ne cambiano i connotati seppur transeunti, vuoi perché semplicemente passano in secondo piano, sopraffatti dal contenuto.

06mattace22FBQuesta città della domenica interroga quella del lunedì perché amplifica le relazioni tra l’urbs (la città fisica) e la civitas (la città degli esseri umani), per riprendere le categorie praticate su queste colonne da Giancarlo Consonni. Sembra quasi che grazie all’evento la civitas riscopra l’urbs: è l’emozione per chi va al Fuori salone o a Piano City di vivere spazi nuovi, sconosciuti, o di riviverli insieme; il piacere della scoperta o della riscoperta, lo stupore per la nuova veste. Un modo nuovo di praticare i luoghi, in alcuni casi anche frange urbane, residui, ritagli dimenticati che riacquistano senso e nuova magia per quello che vi accade. O che irrompono sulla scena come le chiese rivisitate grazie alle sonate di Bach, un pellegrinaggio musicale durato un decennio che la Società del Quartetto ha percorso per i quartieri di Milano, come ci racconta Paolo Viola nella rubrica Musica di oggi.

Tutto ciò avviene per lo più negli spazi pubblici della città, quegli stessi che ne costituiscono l’armatura portante: “La città esiste in quanto sistema di luoghi ed è la qualità dei luoghi, e il loro costituirsi come spina dorsale dei tessuti insediativi, a fare la qualità delle città”, ancora Consonni. “I luoghi urbani sono per eccellenza i luoghi del vivere condiviso, luoghi sicuri in quanto presidiati naturalmente, quotidianamente dagli abitanti della città.” La contemporaneità ha spezzato il legame tra le comunità e il territorio: la città non è più una “federazione di comunità”, i legami comunitari su base locale non ci sono più. “Oggi l’uomo metropolitano può avere la possibilità di far parte di più comunità, ma queste sono per lo più svincolate da un luogo, da un territorio”.

Eppure credo che la scommessa sia proprio quella di capire quanto lo straordinario possa fecondare l’ordinario, la città festiva quella feriale, quanto gli eventi contribuiscano a costruire comunità, nel momento stesso in cui si tessono le relazioni per costruirli, quanto questo possa far parte del discorso sull’abitare condiviso e i modi civili delle relazioni che stanno alla base del patto sociale degli abitanti (di quartiere, di città e di metropoli).

È la stessa sfida che lancia Gianni Biondillo oggi su questo numero: “Expo (…) Sarà un evento che deve dare agli abitanti di questa metropoli la (auto) rappresentazione di cosa loro stessi siano capaci di fare. Solo così potrà diventare un pezzo di Milano anche dopo la manifestazione stessa. Solo se i milanesi sapranno affezionarcisi. Farlo proprio, ognuno a suo modo. Ridimensionando, ad esempio, la percezione falsa che abbiamo della città. Expo 2015, a differenza di altre realtà precedenti, non si tiene “fuori dal mondo”, in chissà quale estrema periferia. È nel cuore della metropoli, in un’area iper-antropizzata, con una densità abitativa spaventosa, affianco a un polo fieristico immenso. È al centro della nuova città policentrica (…).”

Un “investimento affettivo” che modifica la topografia, non solo sentimentale, di una città che con l’Expo si proietta direttamente nella sua nuova dimensione, e quindi nell’agone della competizione mondiale tra ambiti metropolitani.

Ma torniamo al lunedì. Luca Molinari sul Corriere della Sera (7 giugno 2014) parla di “nuovo investimento urbano”, quello che riguarda il progetto attento a degli spazi pubblici diffusi, che si è affermato come modello di rigenerazione urbana delle grandi città europee negli ultimi trent’ anni. “(…) Si comprese che la qualità dello spazio urbano passava soprattutto dal suo piano terra e da quella delicata relazione tra vuoti e pieni, pubblico e privato, infrastrutture leggere per i pedoni e collegamenti per i mezzi collettivi che determinano la qualità diffusa e silenziosa dei luoghi che abitiamo e attraversiamo tutti i giorni”.

È il tutti i giorni quello che ci sta a cuore. Ormai non si parla più di decoro urbano tardo ottocentesco: il tardo novecento ci ha già superato. “Barcellona scommesse tutto il suo futuro sulle piazze, i piccoli parchi, la qualità di marciapiedi e dei micro luoghi pubblici“. Non è mai troppo tardi per riconoscerlo: non è questione da sciura col tacco arenata nel catrame, per restare alla qualità del marciapiede, ma strategia di investimento, tassello di rigenerazione ineluttabile.

 

Giulia Mattace Raso

 



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