4 giugno 2014

BENI CULTURALI: RIVOLUZIONE CON ANNIVERSARIO


Nell’ultimo Consiglio dei Ministri, prima della parentesi elettorale del 25 maggio è stato approvato l’atteso Decreto legge destinato a rimodellare e a rilanciare le misure di sostegno alla cultura.

10bonaccorsi22FBAndrebbe ricordato, peraltro, che i governi del dopoguerra hanno fatto ricorso con insistenza e nelle circostanze più diverse all’art. 77 della Costituzione e che la stessa nascita del Ministero dei Beni culturali e ambientali – come allora venne denominato – fu oggetto proprio di un Decreto legge, varato dal governo Moro il 14 dicembre del 1974, accompagnato da un saluto tanto deferente quanto inusuale del Presidente del Consiglio al nuovo Ministro, già designato, Giovanni Spadolini “al quale oggi viene affidato (sono parole di Moro) – con l’impegno di una normalizzazione legislativa tanto urgente quanto l’eccezionalità dell’esigenza richiede – il compito di presiedere a un nuovo Ministero incentrato sulla gestione dei beni culturali, ivi compresi quelli inerenti lo spettacolo e sulla tutela dell’ambiente”.

Al di là dei ricordi storico-costituzionali, la nuova normativa d’urgenza del governo Renzi riscrive, estende e razionalizza l’intero sistema delle agevolazioni fiscali riconosciute ai soggetti privati che sostengono beni e attività culturali.

Le regole del vigente Testo Unico, sono sostituite da un ventaglio di previsioni di favore molto ampio che va dall’aumento cospicuo della detraibilità dei fondi destinati da singoli o da imprese alla manutenzione, protezione, restauro, gestione e funzionamento del patrimonio culturale pubblico (il meccanismo è quello del credito d’imposta, utilizzabile anche in compensazione), al rimodellamento dei criteri di rendicontazione da parte delle amministrazioni pubbliche.

Non meno innovativa è la previsione che il Ministero dei Beni e Attività culturali possa ricorrere a strutture e iniziative di fund raising e crowdfunding per lanciare e monitorare campagne di raccolta di finanziamento, rinunciando così all’aristocratica e ritegnosa riservatezza che ha circondato fino a oggi questo non secondario profilo dell’attività pubblica.

Forse vale la pena ricordare che il nuovo Decreto legge nasce, a 50 anni esatti dalla data di apertura, nel 1964, dei lavori della Commissione Franceschini: quella Commissione, dopo una storica indagine durata 3 anni, consegnò al Capo dello Stato le sue conclusioni in un celebre documento sulle condizioni, già allora allarmanti, “di depauperazione e dacadimento dei nostri beni e valori culturali” (citiamo dalle prime righe della relazione).

Ma non possiamo né dobbiamo salutare le nuove norme come un punto d’arrivo. Il Decreto legge va accolto come occasione per stimolare un rinnovamento profondo anche nelle strutture e nell’azione delle autorità culturali centrali, decentrate e periferiche.

Già Marco Romano, sul Corriere del 3 marzo scorso, indicava un nuovo percorso per le Sovrintendenze, anzi un vero e proprio salto culturale “Dalla conservazione alla promozione”, che possa prevedere persino un superamento delle articolazione operative della burocrazia ministeriale, ferma nella sostanza all’architettura delle Leggi Bottai del ’39.

L’ispirazione viene tra l’altro fornita a Romano dalla confortante esperienza delle “Commissions” in Gran Bretagna e Scozia che curano, secondo procedimenti variabili a seconda dei casi “iniziative locali, per salvaguardare i propri antichi monumenti”. E, aggiungiamo noi, anche valori ambientali e culturali diffusi, le tradizioni storiche, merceologiche, sociali che fanno della civitas il luogo primario di riconoscimento di ogni civis.

La prossima, imminente tornata riformatrice, che avrà per oggetto l’annunciata Legge delega sulla pubblica amministrazione, costituirà il banco di prova, lo speriamo, anche per “liberare la bellezza dallo Stato”.

 

Paolo Bonaccorsi



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