28 maggio 2014

TAXISTI E UBER, DI APP IN APP


Molto si è scritto sulla tragica vicenda, ma vale la pena di richiamare qualche punto generale. Il settore dei taxi e quello, simile, del “noleggio con conducente” (NCC) ha un rilevante ruolo economico nei paesi sviluppati: si pensi che a Milano il fatturato del settore è probabilmente comparabile a quello del trasporto pubblico (in area urbana), cioè dell’ordine dei 300 milioni di euro annui.

02ponti29FBMa il settore è caratterizzato in Italia (e non solo) da una ridotta governabilità e un alto grado di monopolio: è composto solo da artigiani individuali proprietari del veicolo (le imprese con molti veicoli e personale dipendente sono addirittura proibite!), e non prevede alcuna possibilità di concorrenza tariffaria. I vincoli normativi imposti dai tassisti al NCC infatti limitano a una nicchia poco rilevante questo tipo di servizio, che ha l’obbligo di rimanere in autorimessa fino a che l’utente non gli telefoni, e spesso di operare solo nel comune di residenza. Le licenze hanno raggiunto valori rilevanti nel “mercato secondario”, che è consentito. Tale valore è espressione diretta della rendita di monopolio che si genera nel settore. I titolari delle licenze giustificano questi alti valori come “alternativa alle pensioni di cui non godono”; concetto alquanto peculiare, se dovesse essere esteso a tutte le attività artigiane che operano nel mercato … .

Un monopolio perfetto dunque, capace di paralizzare grandi realtà urbane, e di condizionare con una massa compatta di voti il consenso locale. I tentativi di riforma già falliti sono numerosi, e clamorosi: ci provò anche il governo Monti, a introdurre elementi di liberalizzazione, che furono via via ammorbiditi fino a che il tema fu cancellato del tutto dal programma. Anche la neo-costituita autorità indipendente dei trasporti, per buona misura, sembra sia stata esautorata dall’occuparsi del settore, per non correre rischi di possibili “sorprese future”, e questa decisione sarebbe urgentemente da ripensare.

Recentemente abbiamo assistito a una clamorosa conferma dell’estrema difficoltà di aprire il settore all’innovazione, con le proteste contro l’amministrazione milanese che non avrebbe imposto vincoli sufficienti a un nuovo soggetto, Uber, che ha tentato di entrare nel mercato (e finora con buon successo). Proteste fatte con metodi anche oltre al limite della legalità, ma comunque appoggiate alla normativa esistente, che, come si è detto, impedisce di fatto ogni ragionevole concorrenza, che in questo caso non è neppure diretta. Si tratta infatti di un servizio a chiamata internet (mediante una “app”) che garantisce l’ottimizzazione dell’uso dei veicoli procurando al cliente la disponibilità della macchina più prossima, ma con tariffe mediamente più alte di quelle dei taxi (e macchine più lussuose). Certo, trattandosi di autonoleggio, questa “app” non prevede che il veicolo sia obbligato a sostare in garage, come obbligherebbe l’assurda e antidiluviana norma attuale. Si ricorda che Uber è una impresa statunitense, dove il servizio è consolidato e apprezzato da molto tempo, e si rivolge soprattutto a una clientela d’affari.

Si tratta dunque di una concorrenza sulla qualità, e non sui prezzi. Quest’ultima forma di concorrenza, certamente possibile abbassando un po’ l’alto standard dei veicoli di Uber, sarebbe assai più devastante per gli interessi dei tassisti, e assai più benefica per gli utenti. Ma l’innovazione rischia di non fermarsi neppure qui: Uber stessa opera un servizio informatico per i noleggi con conducente quasi “peer to peer” (Uber Pop), cioè per mettere in contatto chi è disposto a offrire e guidare la propria auto anche occasionalmente, a chi ne ha bisogno. Il tutto in un quadro “di club”, cioè di garanzie assicurate dalla società che fornisce il servizio.

Ma giustamente la corporazione dei tassisti, come tutti i monopolisti, si oppone violentemente al principio stesso della concorrenza: una volta aperta una falla a favore degli utenti, non si sa più dove si potrebbe andare a finire … .

Che hanno fatto allora i tre protagonisti politici preposti al settore, cioè Lupi come ministro dei trasporti, Maroni per la Regione Lombardia, Pisapia per il Comune di Milano, uniti come mai in questo caso nella lotta contro gli interessi dei cittadini? In primis ovviamente hanno dichiarato di non essere contro l’innovazione e la concorrenza (!?!?), poi hanno subito aggiunto che il monopolio dei tassisti non si tocca, senza “se” e senza “ma”. Che occorra urgentemente cambiare la normativa visto sia il mutato contesto tecnologico che l’interesse pubblico, neanche a parlarne. La politica non è lì per ammodernare le leggi, ma per proteggere i voti sicuri dei monopolisti, soprattutto se molto “vocali”, e non certo quelli, assai meno controllabili, degli utenti.

Sul piano pratico l’innovazione normativa, come scrive anche Franco Morganti sul Corriere della Sera, è ovviamente quella di accelerare la transizione a sistemi tipo Uber, cioè di contatto diretto utenti – taxisti, NCC, e, con adeguate garanzie, anche privati, ponendo fine alle assurde distinzioni di oggi.

Come minimo si doveva dare un robusto annuncio all’opinione pubblica in questa direzione. Ma anche qui, come in tutti i settori dei trasporti pubblici, forse è meglio non insinuare nei cittadini strane idee che si possa migliorare la loro mobilità con pericolose innovazioni tecnologiche o gestionali …. .

 

Marco Ponti



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