28 maggio 2014

CONSUMO DI SUOLO, PROGETTI DI LEGGE: IL LASTRICO DELLE BUONE INTENZIONI


Di recente sono stati presentati – sia a livello regionale che nazionale – alcuni progetti di legge per limitare il consumo di suolo e salvaguardare le aree inedificate. Senza entrare nel merito delle proposte alternative, entrambi i progetti governativi (delle “larghe intese” e del centrodestra lombardo) contengono principi simili: contenere se non ridurre come detto il consumo di suolo, privilegiare il riuso di aree già compromesse o edificate, verificare l’effettiva domanda insediativa e la fattibilità economica degli interventi prospettati, destinare gli oneri a interventi di riqualificazione urbana e non ad altre esigenze di bilancio, ecc.; oltre a qualche elemento forse un po’ superato, come il riferimento al ruolo delle Province per la pianificazione di area vasta.

11praderio20FBPrima di valutare l’effettiva efficacia di tali testi, bisognerà vederne la formulazione definitiva. Ma, ci si potrebbe intanto chiedere: che ragioni ci sono per ribadire a livello normativo tali principi, largamente condivisibili? Non potrebbe bastare una buona pianificazione comunale? Evidentemente, a tali iniziative è sotteso un giudizio non molto lusinghiero (ma non sorprendente) su tanti piani urbanistici dei Comuni: che spesso e volentieri tali principi evidentemente non seguono. E in effetti, esaminando i PGT di molti Comuni, anche grandi, prestigiosi (e magari “di sinistra”), si trova spesso tutto il contrario: aree verdi rese tutte edificabili, capacità insediative (ancorché largamente sottostimate) di molto, ma molto superiori all’effettiva domanda (in questi casi si parla di “scommessa” o cose simili), bilanci economici del tutto deficitari, percentuali addirittura di riduzione del consumo di suolo del tutto ipotetiche, indimostrate se non inventate di sana pianta: il panorama in effetti spesso è desolante, e si capisce che si voglia intervenire; con una certa inversione di tendenza però, bisogna registrare, rispetto ai periodi in cui si riteneva che il Comune, in quanto istituzione più vicina ai cittadini, dovesse godere della più ampia autonomia in materia.

Evidentemente questa autonomia adesso si ritiene sia stata utilizzata male, per produrre piani irrealistici buoni solo a incrementare i valori nominali dei terreni, o forse è cambiato il punto di vista dei decisori: tanto è che si propone che gli stessi indici edificatori (oltre che gli standard, chiamati però adesso dotazioni territoriali) diventino (o tornino) competenza statale, e poi giù a cascata regionali, provinciali e solo alla fine comunali: con un processo top-down che sotto molti punti di vista è l’esatto contrario di quello che da più parti è stato sostenuto negli ultimi anni.

Comuni di nuovo sotto tutela, quindi? Un altro e in parte diverso progetto di legge, di principi di politiche territoriali e trasformazione urbana, sembra volere, oltre introdurre varie nuove bizzarrie (come obbligare a far pagare meno oneri al crescere delle volumetrie – più costruisco, meno pago – o a indennizzare i diritti volumetrici compravenduti al venir meno della loro necessità – mentre per i terreni non è così), anche proiettare su scala nazionale tutta una serie di innovazione legislative “lombarde” di era formigoniana, di cui qui ahimè si stanno iniziando a percepire i limiti.

Ben vengano quindi le innovazioni normative; ma forse prima servirebbe capire cosa impedisce una buona urbanistica comunale; e quindi un’attenta riflessione (se non meglio un’autocritica) sui contenuti e sui motivi di molta attuale pianificazione urbanistica a livello comunale.

 

Gregorio Praderio



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