28 maggio 2014

arte – LEONARDO ICON


 

LEONARDO ICON

Leonardo Da Vinci ancora una volta protagonista di Milano. Si è inaugurata ieri sera la scultura intitolata “Leonardo Icon“, opera ispirata al genio di Leonardo e appositamente disegnata dall’architetto Daniel Libeskind per valorizzare la piazza Pio XI recentemente pedonalizzata. Leonardo continua quindi a dialogare, con un rapporto lungo decenni, con la Biblioteca e la Pinacoteca Ambrosiana che sorgono sulla piazza, scrigni d’arte contenenti tra l’altro il famoso Ritratto di Musico e l’importantissimo Codice Atlantico, a opera del maestro toscano.

arte20FBLuogo e posizione centralissima per la scultura dell’archistar Libeskind, che oltre ad impreziosire la riqualificata piazza, ha “giocato” con Leonardo non solo per omaggiare il suo genio, ma anche sottolineandone il talento artistico, creando per la scultura un basamento circolare riproducente la mappa della città di Milano così come Leonardo stesso l’aveva descritta.

Un’operazione in linea con il programma di Expo 2015, che tenta di arricchire la città con opere e trasformazioni di ambito culturale a cui il grande pubblico può relazionarsi e magari farle diventare nuovi punti di riferimento urbano.

Leonardo Icon si presenta come un totem di quasi tre metri, fatto di leghe metalliche, che l’amministrazione comunale ritiene particolarmente significativo per il rilancio della piazza Pio XI.

“Quest’opera si trova all’interno di un simbolo della trasformazione della nostra città: due anni fa questa piazza era un parcheggio selvaggio ora è un gioiello pedonale che vogliamo sia conosciuto da sempre più milanesi e turisti”, ha dichiarato l’assessore alla Mobilità Pierfrancesco Maran. “Per questo l’arrivo dell’opera di Libeskind è doppiamente importante, perché racconta la Pinacoteca e Leonardo ai milanesi in un nuovo contesto pedonale ancora tutto da scoprire. Oggi nasce una nuova stagione, la Pinacoteca riprende il suo giusto ruolo in città”.

 

TCI: 120 ANNI AL SERVIZIO DEL TURISMO ITALIANO

Una grande mostra festeggia i 120 anni di storia e successi del Touring Club Italiano. “In viaggio con l’Italia” è il titolo della mostra promossa da TCI e Comune di Milano per celebrare l’attività pionieristica del Touring, che, si potrebbe dire, più di un secolo or sono inventò il turismo in Italia.

Nelle belle sale del Palazzo della Ragione, il progetto, curato da Studio Azzurro, racconta la nascita di questo Club, nato dalla volontà di cinquanta amatori velocipedisti, tra cui spiccano Luigi Vittorio Bertarelli e Federico Johnson, che nel 1894 fondarono il Touring Club Ciclistico Italiano. Una mostra che racconta il Touring attraverso il viaggio, fisico e simbolico e lungo più di un secolo dei suoi fondatori e associati. Attraverso installazioni multimediali e interattive Studio Azzurro racconta il percorso svolto finora, i primi passi mossi da questa associazione e gli importanti risultati oggi raggiunti.

Tema della mostra è il viaggio, ecco allora che si parte dalla bicicletta, simbolo di progresso alla fine dell’800, con fotografie e testimonianze provenienti dall’archivio Touring, che raccontano di un’Italia che oggi sembra distante mille anni: le prime biciclette dalle ruote imponenti, gli attrezzi per ripararle, sistemati dal Touring in punti pubblici e di passaggio; la prima bicicletta “sbarcata” in Sardegna, le prime gare amatoriali.

Il viaggio continua con il treno, la macchina e l’aereo, mezzi che permettono un concetto di viaggio diverso, diventando col tempo non solo mezzi di trasporto ma anche strumenti per scoprire paesaggi e territori. Si scopre allora la grande importanza avuta dal Touring all’inizio del concetto di viaggio, quando avendo diminuito la preminenza dell’elemento ciclistico, si occupa di venire incontro alle necessità reali del viaggiatore e del turista, occupandosi della sua sicurezza ma anche degli aspetti più piacevoli.

È il Touring, mentre l’Italia unita si muove ancora a rilento, a mettere in strada i primi cartelli stradali, a occuparsi di una rete di distributori di benzina, ma anche a segnalare luoghi di interesse turistico ed enogastronomico, su segnalazioni dei viaggiatori soci. Una sorta di TripAdvisor ante litteram. Ecco anche le prime cartine stradali, i primi pieghevoli, i primi rilevamenti orografici, fino ad arrivare al primo grande atlante italiano, frutto di un monumentale lavoro durato 10 anni.

Dopo “La strada in viaggio”, ecco arrivare la seconda sezione, quella dedicata alle Guide Rosse del Touring, strumento essenziale di studio e lavoro per chi si occupa di arte, viaggi e turismo. Un grande totem rosso ne celebra i 100 anni, accompagnato da schermi con immagini d’archivio che mostrano un’Italia che in molti casi, non esiste più.

L’ultima sezione è dedicata ai “sensi del viaggio”, un momento per fare il punto sull’Italia delle tradizioni e delle eccellenze di ieri e di oggi. Due grandi tavole virtuali apparecchiate si trasformano nel bancone di lavoro di cuoche e artigiani per evidenziare, attraverso le materie prime tipiche di diverse regioni, le peculiarità che sostengono ancora oggi il made in Italy.

Sulle pareti, in ultima battuta, gli scopi e i “numeri” del TCI oggi, tra soci, responsabili e soprattutto volontari, essenziali per il prezioso lavoro di custodia e apertura di luoghi e monumenti di interesse storico-artistico altrimenti non fruibili dai turisti e dai cittadini stessi.

Il TCI come strumento indispensabile, ieri come oggi, per promuovere il turismo e le eccellenze italiane. Dalla bicicletta all’aereo dei viaggi low cost, dalle prime cartine stradali alle Guide Rosse, il TCI si prepara per altri 120 anni di supporto al turismo e ai viaggi responsabili.

In viaggio con l’Italia” Fino 25 maggio 2014 – Ingresso gratuito – Palazzo della Ragione – piazza Mercanti 1, Milano

 

FRAGILITÀ, EQUILIBRIO E CRITICA PER MEIRELES ALLA BICOCCA

Ancora una volta l’Hangar Bicocca non sbaglia un colpo. La mostra dedicata a Cildo Meireles, Installations è tutta da vedere e provare. Coinvolgente, poetica, critica e polisensoriale, la mostra è la prima manifestazione italiana dedicata all’artista brasiliano, considerato fin dagli anni ’60 un pioniere di quell’arte intesa soprattutto come uno scambio attivo e vitale con il pubblico, come un rapporto vivo e attivo in grado di coinvolgere lo spettatore in un’esperienza multisensoriale.

La personale, a cura di Vicente Todolí, comprende 12 tra le più importanti installazioni realizzate dall’artista tra il 1970 e oggi, ed è un percorso ricco di suggestioni che portano lo spettatore ad essere parte dell’opera d’arte, a farla vivere, ma anche a mostrargli una realtà concettuale nascosta e su cui riflettere. Cildo Meireles affronta da sempre tematiche sociali e culturali attraverso opere che rivelano pienamente il loro significato solo nel momento in cui sono attraversate e vissute, coinvolgendo oltre alla vista, anche l’udito, il tatto, l’olfatto e addirittura il gusto.

Il percorso è spiazzante, poiché si passa da opere di ridottissime dimensioni ad altre decisamente monumentali. Si inizia con Cruzeiro de Sul, un cubo di legno di 9 mm, che rimanda però a concetti e credenze sacre nella cultura dei Tupi, popolazione india del Brasile con cui Meireles entrò in contatto.

Si arriva poi ad Atravès, labirinto trasparente lastricato da frammenti di vetro rotti, che fa percepire allo spettatore una sensazione di instabilità e di potenziale pericolo, dovendosi districare lentamente tra filo spinato, tendaggi, superfici vetrate (persino due acquari), attraverso le quali sembra di vedere una via d’uscita, resa difficile però dai materiali che creano il percorso. L’attraversamento del titolo simboleggia dunque un percorso interiore accidentato, ogni passo spezza sempre di più il vetro sotto ai piedi, simbolo della fragilità umana, ed è sempre più difficile andare avanti.

Passando dalla torre fatta di radio antiche e moderne, Babel, per arrivare ai cubi bianchi e neri “sporcabili” di Cinza, quello che colpisce è la varietà dei materiali usati, scelti dall’artista solo in base alle loro caratteristiche simboliche o sensoriali, mettendo insieme elementi contrastanti anche dal punto di vista semantico o visivo.

E in effetti Olvido, un tepee indiano costruito con 6.000 banconote di diversi paesi americani, circondato da tre tonnellate di ossa bovine contenute da 70.000 candele, è espressione di questo concetto. Mentre gli occhi sono impegnati a distinguere i diversi elementi, le ossa emanano un odore difficile da sopportare e dal centro della tende fuoriesce un rumore continuo di sega elettrica. Opera con una critica di stampo post-colonialista, spesso presente nei lavori di Meireles, non affronta però lo spettatore direttamente, imbarazzandolo, ma suggerisce il suo messaggio accostando elementi dal valore simbolico.

Una delle opere più amate e fotografate sui social, è sicuramente Amerikka, un pavimento fatto di 22.000 uova di legno dipinte, su cui troneggia un soffitto fatto da proiettili sporgenti. Mentre lo spettatore è invitato ad attraversare scalzo lo spazio bianco delle uova, in una situazione di instabilità, la minaccia è ulteriormente rimarcata da migliaia di proiettili rivolti al suolo. Opera sì di spaesamento ma di incredibile impatto visivo e percettivo.

Meireles lavora con tutti e cinque i sensi. Ecco perché con Entrevendo, un enorme struttura di legno a forma di imbuto, lo spettatore è invitato ad entrare in questo cono, da cui esce aria calda, mettendosi prima in bocca due cubetti di ghiaccio per sperimentare, man mano che ci si avvicina alla fonte di calore, lo sciogliersi del ghiaccio in pochi istanti, per un coinvolgimento completo dei sensi.

E poi si arriva all’opera più poetica della mostra, Marulho, la simulazione di un pontile circondato dalle onde del mare, nella luce delicata del tramonto. Solo ad una visione più attenta si scorgono i dettagli, ovvero che le onde sono fatte da immagini di acqua rilegate in migliaia di libretti disseminati sul pavimento, giocando sulla ripetizione e l’accumulo, con un effetto non solo visivo ma anche simbolico.

Mentre ci si perde a osservare le immagini, ecco che voci, tutto intorno, ripetono all’infinito la parola “acqua” in 85 lingue diverse, creando una nenia simile allo sciabordio delle onde. Solo allora si scopre che, ovviamente, un fondo c’è, la parete lilla che delimita l’orizzonte. Quello che si crea allora nello spettatore è una curiosa sensazione alla “The Truman show“, accorgendosi che in realtà tutto è finto e costruito. Di naturale, non c’è nulla. L’opera vive inoltre di riferimenti ad artisti del passato che hanno giocato sulla monocromia, come Piero Manzoni, citato anche in un’altra opera della mostra, Atlas, e Yves Klein.

Tra suoni, attraversamenti e sensazioni, la personale di Meireles intende mostrare come lo spazio sia una componente fondamentale nell’enfatizzare i paradossi e le metafore, elementi chiave nella sua arte, espressi da queste dodici coinvolgenti installazioni.

Cildo Meireles, Installations fino al 20 luglio 2014 HangarBicocca / via Chiese 2, Milano / Orario: giovedì – domenica 11.00 – 23.00 Ingresso libero

 

MUNARI POLITECNICO

Il genio di Bruno Munari ha spaziato in diversi campi: dalla grafica all’editoria, dalla pedagogia al design, passando per l’arte più pura. La mostra “Munari politecnico“, allestita nello spazio mostre del Museo del ‘900, propone un percorso affascinante su alcune delle sperimentazioni/invenzioni progettate dall’artista.

I pezzi in mostra provengono tutti dalla Fondazione di Bruno Danese e Jacqueline Vodoz di Milano, che nella molteplice veste di amici, collezionisti, editori e industriali, per decenni hanno sostenuto e incentivato Munari a sperimentare linguaggi diversi. L’obiettivo della mostra è dunque rivelare la propensione artistica di Munari, compito che idealmente prosegue l’esposizione allestita nel 1996 nelle sale della Fondazione stessa, rileggendone però la collezione e aprendola a un dialogo con una generazione di artisti, presenti in mostra, che con Munari hanno avuto un rapporto dialettico.

La mostra è divisa in sezioni, attraverso le quali appaiono gli orientamenti artistici di Munari attraverso il disegno e il collage, con un modo di intendere l’arte vicino alle pratiche delle avanguardie storiche; ma dalle quali emerge anche il suo rapporto con la ricerca scientifica, come supporto di intuizioni plastiche e meccaniche; per arrivare poi alla produzione artistica vera e propria.

Soprattutto queste opere vivono di corrispondenze e influenze, citate da Munari nei suoi libri quali quelle di Mary Vieira e Victor Vasarely; ma in mostra ci sono anche pezzi di artisti che hanno esposto e condiviso ricerche con lui come Enzo Mari, Max Bill, Franco Grignani e Max Huber; e di artisti che lo hanno frequentato come Getulio Alviani e Marina Apollonio. Senza dimenticarsi di coloro che hanno condiviso momenti importanti del suo percorso, come Gillo Dorfles e Carlo Belloli, e successivamente il Gruppo T. Infine, questa stessa sezione include figure che con Munari hanno mantenuto un rapporto ideale in termini di capacità e ispirazione, come Giulio Paolini e Davide Mosconi.

Le opere degli artisti selezionati discutono, dialogano e si relazionano, oggi come allora, con l’immaginario estetico di Munari, anche grazie a un sistema di allestimento fatto di strutture e supporti legati tramite incastro e gravità, ma con aspetto leggero. Quella stessa leggerezza di cui Munari fece vivere le sue opere, tra cui le famose Sculture da viaggio, le 10 forchette “impossibili” e i libri illeggibili, tutti esposti in mostra.

Accanto alla mostra principale il Focus è dedicato all’opera fotografica, in parte inedita, realizzata da Ada Ardessi e Atto, autori che per decenni hanno lavorato a stretto contatto con Munari, testimoniando i principali momenti della vicenda professionale e umana dell’autore. L’esposizione ha come titolo “Chi s’è visto s’è visto” locuzione molto amata da Munari e che racchiude tramite immagini, l’artista e l’uomo a tutto tondo.

Munari politecnico fino al 7 settembre Museo del Novecento lun.14.30 – 19.30 mar. mer. ven. e dom. 9.30 – 19.30 gio. e sab. 9.30 – 22.30

 

RONDINI COLORATE PER SALVARE L’ARTE ANTICA

Dopo le lumache e le rane, Milano è invasa dalle rondini: quelle plasticose e multicolor di Cracking Art, gruppo artistico nato vent’anni fa e con all’attivo interventi in grandi città, con opere che fanno dialogare arte e ambiente. L’ultimo progetto è a favore soprattutto dell’arte, nello specifico quella antica, con lo scopo di promuovere e sostenere economicamente il restauro conservativo del monumento equestre di Bernabò Visconti, realizzato in marmo da Bonino da Campione nel 1363, simbolo del museo di arte antica del Castello e posto all’ingresso delle sale espositive.

L’operazione si intitola: “Deponi un uovo, fai rinascere un monumento“, e tutti i cittadini sono invitati, insieme alle autorità cittadine e agli artisti di Cracking Art, a contribuire alla rigenerazione del monumento al Castello Sforzesco, “deponendo” un uovo di rondine.

Dopo l’inaugurazione ufficiale del Nido di Rondini, creato in collaborazione con Italia Nostra e FIAT, il pubblico è invitato, fino al 30 giugno 2014, ad acquistare i multipli di rondine messi a disposizione per l’iniziativa dal gruppo Cracking Art, versando a Italia Nostra un contributo di venti euro. Si potrà avere in cambio una scultura multipla di rondine piccola e depositare poi un uovo nel nido, appositamente allestito dagli artisti di Cracking Art, firmando così il proprio gesto rigenerativo. Il ricavato, come in occasione delle installazioni del Duomo e della Darsena, andrà proprio in favore del restauro del monumento equestre.

Ma quella delle rondini sarà un’invasione generale, ma pacifica, in giro per la città: altre rondini e uova saranno posizionate nel corso della rassegna in luoghi simbolo della cultura milanese: il cortile di Palazzo Reale, il Museo del Risorgimento e Palazzo Morando.

Il progetto Rigeneramento di Cracking Art ha un mantra ben preciso: l’Arte che rigenera l’arte, ovvero un obbiettivo che è anche il nuovo corso del movimento, inaugurato nell’ottobre 2012 fra le guglie del Duomo di Milano, per sostenere con fondi nuovi il restauro della guglia maggiore. Operazione proseguita anche la primavera successiva (aprile 2013), con una invasione di migliaia di rane colorate nelle acque del Naviglio, fino alla Darsena, con l’obbiettivo di contribuire al recupero delle chiuse leonardesche alla Conca dell’Incoronata, in San Marco a Milano.

In questo caso Cracking Art assume l’impegno sociale e culturale di portare l’arte contemporanea a un confronto attivo con l’arte antica e monumentale, e anche questa volta ogni parte sociale è chiamata a partecipare in modo attivo per un’ottima causa.

 

BERNARDINO LUINI E FIGLI: UNA SAGA LUNGA UN SECOLO

Dopo un silenzio durato quasi cinquant’anni, Bernardino Luini torna protagonista di una mostra, e lo fa in grande stile. Il pittore di Dumenza, chiamato però da tutti “di Luino”, è il centro di una esposizione come da tempo non se ne vedevano, con 200 opere esposte per chiarire a tutto tondo una personalità significativa ma discussa, soprattutto per la mancanza di dati certi che caratterizza la biografia dell’artista.

Da giovedì 10 aprile sarà possibile scoprire Bernardino, i suoi figli e la sua bottega, le influenze illustri che lo ispirarono (Leonardo, Bramantino, i veneti, persino “un certo che” di Raffaello) e più in generale cosa succedeva a Milano e dintorni agli inizi del ‘500.

Quello sviluppato in mostra è un percorso ricco e vario, che oltre a moltissime opere del Luini, presenta anche il lavoro dei suoi contemporanei più famosi, Vincenzo Foppa, Bramantino, Lorenzo Lotto, Andrea Solario, Giovanni Francesco Caroto, Cesare da Sesto e molti altri, che spesso giocarono un ruolo chiave nel definire l’estetica artistica milanese.

Un percorso lungo quasi un secolo, che dalla prima opera di Bernardino, datata 1500, arriva a coprire anche le orme del figlio Aurelio, vero continuatore dell’attività di bottega, se pur già contaminato da quel Manierismo che stava dilagando nella penisola.

La mostra occuperà l’intero piano nobile di Palazzo Reale, e si concluderà in maniera scenografica nella sala delle Cariatidi, presentando, in alcuni casi per la prima volta, tavole, tele, affreschi staccati, arazzi, sculture, disegni e prove grafiche.

Oltre a prestiti milanesi, con opere provenienti da Brera, dall’Ambrosiana e dal Castello sforzesco, si affiancano importanti contributi internazionali provenienti dal Louvre e dal museo Jacquemart-André di Parigi, dall’Albertina di Vienna, dal Szépművészeti Múzeum di Budapest, dai musei di Houston e Washington.

Il progetto, curato da Giovanni Agosti e Jacopo Stoppa, oltre a essere la più grande retrospettiva mai dedicata a uno dei protagonisti dell’arte del Cinquecento in Lombardia, è una saga famigliare in dodici sezioni, ognuna dedicata all’approfondimento di un momento della vita dei Luini e delle loro commissioni più importanti. Degni di nota sono gli straordinari affreschi per la Villa Pelucca di Gerolamo Rabia, mirabile ciclo decorativo tra sacro e profano; e la casa degli Atellani, con una rassegna di effigi dei duchi di Milano e delle loro consorti, ricostruita dall’architetto Piero Lissoni, responsabile dell’allestimento.

Dopo tante mostre dedicate ai contemporanei, la mostra è un tuffo in un’epoca che per Milano fu davvero d’oro, un momento in cui la città ma anche la stessa Lombardia, regalarono un apice artistico in seguito difficile da eguagliare.

Bernardino Luini e i suoi figli Palazzo Reale, fino al 13 luglio 2014 Orari: Lunedì 14.30_19.30 da Martedì a Domenica 9.30_19.30 Giovedì e Sabato 9.30_22.30 Biglietti Intero € 11,00 Ridotto € 9,50

 

QUEL PROVOCATORE DI MANZONI

Ironico, irriverente, scandaloso, incompreso. Piero Manzoni è questo e molto altro. A 50 anni dalla morte dell’artista, scomparso prematuramente all’età di 30 anni, Milano propone una grande retrospettiva con più di 100 opere per celebrare il genio di questo “surrealista” mancato, che ebbe solo sette anni di attività artistica. Una parabola fulminante che, dalla originaria Soncino, lo porta a legarsi a doppio filo alla Milano di metà anni ’50, ponendosi a fianco di artisti quali Lucio Fontana e il gruppo degli spazialisti.

In mostra si potrà ripercorrere il breve cammino di Manzoni, dai lavori d’esordio, nella sezione dedicata alle opere nucleari, fino alle serie più note. Immancabili i tre grandi filoni tematici su cui Manzoni operò e che sono ormai immediatamente associati al suo nome: gli Achrome, le Linee e la famosa Merda d’artista.

In particolare degli Achrome la mostra è ben nutrita: sono tanti e fatti di materiali diversi, dai sassi al polistirolo, dalla pelle di coniglio alla carta, dal peluche ai panini. Sono le opere forse più interessanti di Manzoni, in cui, attraverso la neutralità del colore bianco, sempre prevalente, Manzoni cerca uno spazio totale. Secondo la definizione stessa data dall’artista, sono “superfici acrome”, senza colore, aperte a infiniti significati possibili. Inizialmente fatti di gesso, colla e caolino, gli Achrome non sono manipolati, ma lasciati asciugare naturalmente, affidando la trasformazione del materiale in opera d’arte a un processo che avviene da sé. Se per Fontana o Pollock il gesto dell’artista era fondamentale, costruiva o distruggeva l’opera, per Manzoni quel potere creativo è bloccato, congelato, lasciando questo dono all’opera stessa.

Altro filone affrontato è quello della linea: strisce di carta di diverse lunghezze prodotte in maniera meccanica, misurate, inscatolate e “pronte per la vendita”, così come pronte per il consumo erano le uova sode che Manzoni creò per un happening in galleria dal titolo Divorare l’arte, del 1960: uova sode, simbolo di rinascita, erano offerte ai visitatori per essere mangiate. Lo scopo era quello di rendere lo spettatore opera d’arte, renderlo partecipe della performance, dargli un ruolo attivo nella vita artistica. Le uova rimangono poi protagonista dell’opera di Manzoni, quando in quello stesso anno decise di contrassegnarle con la sua impronta digitale, creando un’identità inequivocabile tra l’opera e l’artista stesso.

Manzoni non era nuovo a questo tipo di exploit, tanto che l’anno dopo decise di firmare i corpi di spettatori e curiosi, con tanto di autentica e bollini riconoscitivi. Lo spettatore diventa arte vivente.

In mostra completano la panoramica anche i celebri fiati d’artista, i corpi d’aria (palloncini gonfiati che sembrano sculture) e le basi “magiche” per le cosiddette sculture viventi.

Certo l’opera che tutti si aspettano è la serie delle Merde d’artista, in cui Manzoni polemizza contro il nuovo mercato dell’arte, sempre più attento ai meccanismi economici e sempre meno all’oggetto artistico in sé. Ecco perché con un’operazione quasi duchampiana, Manzoni insegna che, ai giorni nostri, tutto può ormai essere considerato arte, a discapito della qualità e del contenuto … . Ecco perché decise di vendere queste confezioni a peso d’oro (700 lire al grammo, indicandolo in trenta grammi d’oro).

Artista che ammicca mentre bacchetta, con le sue opere ha decontestualizzato e ribaltato il senso dell’opera d’arte. L’allestimento non brilla per inventiva, ma almeno ha il pregio di presentare fotografie dell’artista all’opera e citazioni dello stesso, attraverso le quali si potrà comprendere più a fondo l’universo di questa meteora dell’arte italiana che ebbe però un ruolo di rottura con l’arte del suo tempo.

Piero Manzoni 1933 – 1963 Palazzo Reale Fino al 2 giugno 2014 Orari: lunedì 14.30-19.30 da martedì a domenica 9.30-19.30 giovedì e sabato 9.30-22.30 biglietti: Intero € 11,00 – Ridotto € 9,50

 

KLIMT, BEETHOVEN E LA SECESSIONE VIENNESE

Gustav Klimt è il maestro indiscusso della Secessione viennese, movimento artistico sviluppatosi tra la fine dell’800 ed esauritosi alla fine degli anni ’10 in Austria e che dilagò anche in città come Monaco e Berlino. È uno degli artisti più amati, ammirati e idolatrati di sempre, benché il corpus delle sue opere sia relativamente esiguo, 250 lavori circa. Nulla a confronto della prolificità di artisti come Picasso, Warhol o Kandinsky, per citare solo alcuni degli artisti ospitati di recente a Palazzo Reale.

Ed è proprio qui che da mercoledì 12 marzo sarà possibile scoprire e ammirare anche i capolavori del maestro viennese. “Klimt. Alle origini di un mito” è l’ultima mostra promossa dal Comune di Milano e dal Sole24 Ore.

È bene dire fin da subito che non è una monografica su Klimt, ma piuttosto una panoramica su Klimt, sui fratelli Georg e Ernst e su alcuni degli artisti più significativi della Secessione. Di lavori puramente klimtiani ce ne sono una ventina. Piuttosto quella proposta da Palazzo Reale è una mostra, con un allestimento molto accattivante e suggestivo, con opere notevoli e lavori che faranno capire il senso di quella straordinaria rivoluzione artistica che va sotto il nome di Art Nouveau, Art Decò o, appunto, Secessione.

Il motivo è presto spiegato. I capolavori di Klimt non sono più assicurabili, spiega il curatore della mostra, Alfred Weidinger, che cura l’esposizione insieme a un’altra grande esperta klimtiana, Eva di Stefano. I premi assicurativi sono altissimi, le opere troppo significative perché i musei se ne possano separare con facilità. Retrospettive importanti a livello numerico sono ormai rarissime. Per gli amanti dei numeri basti ricordare che ‘Il ritratto di Adele Bloch Bauer’ fu acquistato nel 2006 da Ronald Lauder per 135 milioni di dollari, diventando uno tra i quadri più costosi di sempre.

Nonostante tutto le opere in mostra sono comunque tante, un centinaio, divise in sezioni. Si inizia con la sezione sulla famiglia Klimt, significativa perché mostra qualcosa di forse poco noto, l’origine della vocazione artistica del maestro. Il padre, orafo, passa ai tre figli maschi la passione e la pratica dell’arte, che i ragazzi portano avanti studiando presso la Kunstgewerbeschule (scuola d’arte e mestieri), dove si esercitano in pittura e in svariate tecniche, il tutto ancora seguendo uno stile storicista ed eclettico. Particolare attenzione è stata dedicata all’opera giovanile, alla formazione di Klimt e ai suoi inizi come decoratore dei monumentali edifici di rappresentanza lungo il nuovissimo Ring di Vienna.

La sezione successiva è dedicata alla Kunstler-Compagnie, la Compagnia degli Artisti che Klimt creò con i fratelli Ernst e Georg insieme a Matsch, e alla quale vennero affidate prestigiose commissioni ufficiali e onorificenze, riprendendo e portando avanti lo stile pomposo del loro maestro Hans Makart.

Ma il nuovo stava per arrivare. Abbandonato lo stile storicista Gustav Klimt e compagni, nel 1898, dopo lo scandalo causato con i dipinti per l’università di Vienna (bruciati in un incendio ma riproposti in mostra tramite incisioni) inaugurano la prima mostra della Secessione viennese, con la pubblicazione della rivista ufficiale, Ver Sacrum. È l’anno in cui l’architetto Otto Wagner crea il famoso Palazzo della Secessione, decorato internamente dagli stessi artisti.

È in questo ambito che nascono alcuni dei capolavori esposti, come la bellissima Giuditta II. Salomè, prestito della veneziana Ca’ Pesaro, Adamo ed Eva, Acqua Mossa, Fuochi fatui (una chicca di collezione privata difficilmente prestata in mostra) e altre opere preziose, ricche di decorazioni eleganti e sinuose, in cui il corpo femminile diventa protagonista. La donna prima madre poi femme fatale, intrigante e sensuale, portatrice di estasi e di tormento è il soggetto prediletto da Klimt.

Paesaggi (con l’incredibile Girasole) e ritratti sono altre sezioni della mostra, disseminate qua e là dagli straordinari disegni su carta. Opere che mostrano tutta l’abilità del grande maestro che con un solo tratto di matita riusciva a creare un languido corpo femminile.

Ma varrebbe il costo del biglietto anche solo la straordinaria ricostruzione del Fregio di Beethoven, a metà percorso, ispirato dalla nona sinfonia del musicista e creato per il Palazzo della Secessione di Vienna. Copia dell’originale, irremovibile e danneggiato, realizzata durante il complesso lavoro di restauro compiuto negli anni ’70-80, è stato ricostruito così come Klimt l’aveva allestito nel 1902, con 7 pannelli di 2 metri di altezza per 24 di lunghezza.

Tributo a un musicista considerato leggendario dagli artisti viennesi, il Fregio rappresentata l’eterna contrapposizione tra il bene e il male, il viaggio dell’uomo – cavaliere e l’aspirazione al riscatto e alla salvezza possibili solo attraverso l’arte, rappresentata dalla donna; un’opera forte di quel messaggio allegorico sempre presente nelle opere di Klimt. Maestro indiscusso di eleganza e raffinatezza.

Klimt. Alle origini di un mito Palazzo Reale, fino al 13 luglio Aperture e costi: Lunedì dalle ore 14:30 alle ore 19:30, da martedì a domenica dalle ore 9:30 alle ore 19:30, giovedì e sabato orario prolungato fino alle ore 22:30 Biglietto intero 11 euro, ridotto 9,50.

 

PERCHÈ IL MUSEO DEL DUOMO È UN GRANDE MUSEO

Inaugurato nel 1953 e chiuso per restauri nel 2005, lunedì 4 novembre, festa di San Carlo, ha riaperto le sue porte e le sue collezioni il Grande Museo del Duomo. Ospitato negli spazi di Palazzo Reale, proprio sotto il primo porticato, il Museo del Duomo si presenta con numeri e cifre di tutto rispetto. Duemila metri quadri di spazi espostivi, ventisette sale e tredici aree tematiche per mostrare al pubblico una storia fatta d’arte, di fede e di persone, dal quattordicesimo secolo a oggi.

Perché riaprire proprio ora? Nel 2015 Milano ospiterà l’Expo, diventando punto di attrazione mondiale per il futuro, così come, in passato, Milano è stata anche legata a doppio filo a quell’editto di Costantino che quest’anno celebra il suo 1700esimo anniversario, con celebrazioni e convegni. Non a caso la Veneranda Fabbrica ha scelto di inserirsi in questa felice congiuntura temporale, significativa per la città, dopo otto anni di restauri e un investimento da 12 milioni di euro.

Il Museo è un piccolo gioiello, per la qualità delle opere esposte così come per la scelta espositiva. L’architetto Guido Canalico lo ha concepito come polo aperto verso quella varietà di generi e linguaggi in cui è riassunta la vera anima del Duomo: oltre duecento sculture, più di settecento modelli in gesso, pitture, vetrate, oreficerie, arazzi e modelli architettonici che spaziano dal XV secolo alla contemporaneità.

E l’allestimento colpisce e coinvolge già dalle prime sale. Ci si trova circondati, spiati e osservati da statue di santi e cherubini, da apostoli, da monumentali gargoyles – doccioni, tutti appesi a diversi livelli attraverso un sistema di sostegni metallici e di attaccaglie a vista, di mensole e supporti metallici che fanno sentire l’osservatore piccolo ma allo stesso tempo prossimo all’opera, permettendo una visione altrimenti impossibile di ciò che è stato sul “tetto” del Duomo per tanti secoli.

Si è poi conquistati dalla bellezza di opere come il Crocifisso di Ariberto e il calice in avorio di san Carlo; si possono vedere a pochi centimetri di distanze le meravigliose guglie in marmo di Candoglia, e una sala altamente scenografica espone le vetrate del ‘400 e ‘500, alcune su disegno dell’Arcimboldo, sopraffini esempi di grazia e potenza espressiva su vetro.

C’è anche il Cerano con uno dei “Quadroni” dedicati a San Carlo, compagno di quelli più famosi esposti in Duomo; c’è un Tintoretto ritrovato in fortunate circostanze, durante la Seconda Guerra mondiale, nella sagrestia del Duomo. Attraverso un percorso obbligato fatto di nicchie, aperture improvvise e sculture che sembrano indicare la via, passando per aperture ad arco su pareti in mattoni a vista, si potrà gustare il Paliotto di San Carlo, pregevole paramento liturgico del 1610; gli Arazzi Gongaza di manifattura fiamminga; la galleria di Camposanto, con bozzetti e sculture in terracotta; per arrivare fino alla struttura portante della Madonnina, che più che un congegno in ferro del 1700, sembra un’opera d’arte contemporanea. E al contemporaneo si arriva davvero in chiusura, con le porte bronzee di Lucio Fontana e del Minguzzi, di cui sono esposte fusioni e prove in bronzo di grande impatto emotivo.

Il Duomo è da sempre il cuore della città. Questo rinnovato, ampliato, ricchissimo museo non potrà che andare a raccontare ancora meglio una storia cittadina e di arte che ebbe inizio nel 1386 con la posa della prima pietra sotto la famiglia Visconti, e che continua ancora oggi in quel gran cantiere, sempre bisognoso di restauro, che è il Duomo stesso.

Museo del Duomo Palazzo Reale piazza Duomo, 12 – biglietti: intero 6 euro, ridotto 4 euro orari: martedì – domenica: 10.00 -18.00.

 

 

 

questa rubrica è a cura di Virginia Colombo

mailto:rubriche@arcipelagomilano.org

 


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