21 maggio 2014

CONSUMO DI SUOLO MA IL SUOLO NON È UN BANCOMAT


Dalla Milano da bere alla Milano da consumare. L’ultimo rapporto sul consumo di suolo in Italia pubblicato da Legambiente il 13 maggio 2014 dice che Milano è, con Napoli, la città più edificata e cementificata di Italia: oltre il 60% del suolo del comune è occupato da edifici capannoni, asfalto. Si tratta dell’altro lato della Tangentopoli lombarda, quello forse di cui è meno in voga parlare: vent’anni di speculazione edilizia culminati nella battaglia per il tasso di edificabilità dei terreni dell’Expo, manifestazione nata sotto gli occhi del mondo come inno all’agricoltura e diventata altrettanto sotto gli occhi del mondo simbolo della corruttela e del sottosviluppo italiano.

03sinigaglia19FBSottosviluppo è una parola forte, lo sappiamo. Ma non la usiamo casualmente. La battaglia per limitare il consumo di suolo va ben oltre l’ambientalismo: si tratta di buona politica con ricadute a cascata e profonde sulla collettività.

L’edificazione selvaggia di questi anni infatti non ha risolto affatto l’emergenza abitativa in cui vivono 650 mila famiglie italiane e decine di migliaia nel capoluogo lombardo. Diretta a creare introiti rapidi per i costruttori piuttosto che rispondere alle esigenze della comunità, la speculazione ha al contrario distorto gli equilibri del mercato immobiliare. Per arricchire i pochi ha tolto molto, il suolo pubblico, a molti, la cittadinanza. Ha sottratto risorse collettive, terreno che una volta edificato non tornerà più fertile. Ha modificato il rapporto di sostenibilità tra la città e la campagna circostante. E ha reso molti comuni dipendenti dalle entrate di imprese edili e immobiliaristi obbligati a pagare oneri di urbanizzazione. Un sistema perverso che ha portato la pubblica amministrazione a promuovere comportamenti a sfavore della collettività e a essere particolarmente ossequiosa nei confronti di lobby e potentati, esattamente come è successo per il gioco d’azzardo.

In sintesi, la politica attuata finora ha portato a una diminuzione del benessere sociale e ha invece aumentato e moltiplicato esponenzialmente i vantaggi di chi adotta comportamenti che danneggiano la comunità. È quindi non solo un esempio di utilizzo sbagliato delle risorse e di mala politica, ma è il contrario dello sviluppo sociale.

E il problema non si limita a Milano, anzi. L’intera Lombardia è una delle regioni più urbanizzate e cementificate d’Europa. Negli ultimi anni il suolo lombardo è stato consumato al ritmo di 140.000 metri quadrati al giorno, come se sparissero 20 campi di calcio in 24 ore. E nella classifica del cemento la nostra regione è quella più tristemente rappresentata: Monza, Bergamo, Brescia e si piazzano tra le città più edificate con oltre il 40% di superficie impermeabilizzata.

La questione però è culturale: si tratta di capire che il suolo non è un bancomat per le casse dei comuni ma si tratta di una risorsa naturale non rinnovabile (potremmo dire bene comune) che è indispensabile per consentire la coltivazione di cibo (il nostro paese non ha più l’indipendenza alimentare), per assorbire l’acqua piovana che altrimenti causa disastri idrogeologici quando c’è maltempo, per assorbire la CO2 e contenere il riscaldamento del pianeta. In Germania hanno calcolato che il costo per la società di un ettaro di suolo cementificato si può quantificare in 6.500 €: sarebbe il caso di considerare questi costi in un conteggio globale quando si pensano progetti di trasformazione.

È chiaro quindi che sul consumo di suolo si gioca una partita ben più ampia di quello che potrebbe apparire a prima vista. Una partita da cui dipendono tra le tante cose, l’impoverimento delle campagne, la qualità di vita nei nostri quartieri, il costo dell’affitto per i nostri figli.

Le soluzioni possono venire solo da un approccio globale al problema. Le associazioni lombarde, su questo fronte, si sono mosse da tempo. Legambiente Lombardia ha promosso un Centro di Ricerca sui Consumi di Suolo a stretto contatto con Paolo Pileri, uno dei primi accademici a occuparsi di questo tema. Il Fai, in particolare, da anni ha acceso i riflettori su questo tema, elaborando anche un dossier assieme al Wwf e organizzando decine di tavole rotonde.

Italia Nostra, l’associazione di cui sono presidente a livello regionale, sta agendo su un altro fronte, analizzando i Piani paesistici delle regioni italiane e lo stato della co-pianificazione Stato -Regioni in materia di paesaggio per cercare di ridare dignità alla pianificazione urbanistica che dovrebbe essere un modo per governare la vita e i bisogni della comunità e non un veicolo per operazioni speculative di gruppi di potere che si lanciano alla conquista dei comuni.

E dopo tante pressioni, anche la politica sta finalmente affrontando il problema. L’8 luglio anche il Consiglio regionale della Lombardia discuterà una proposta sul consumo di suolo. Sul tavolo ci sono ben quattro proposte: una della giunta, una della maggioranza di centrodestra, una del centrosinistra preparata dal consigliere Agostino Alloni e una del M5S. Anche a livello nazionale qualcosa si muove e particolare apprezzamento va alle ipotesi contenute nella proposta di legge e negli emendamenti a firma tra gli altri dei deputati lombardi Giueppe Civati e Veonica Tentori, elaborate in collaborazione con alcuni attivisti democratici che lavorano su questi temi a livello locale. L’idea è semplice: subordinare il consumo di suolo alle reali esigenze abitative e favorire il ripristino dei terreni agricoli. Come? Partendo da un censimento degli immobili inutilizzati e imponendo che siano sempre verificate le possibilità alternative all’edificazione di suolo libero. Ma anche favorendo il ripristino delle colture nei campi abbandonati o inutilizzati, magari destinandoli a orti didattici urbani, collettivi. Ci piacerebbe insomma che l’attenzione sulla discussione fosse alta, quanto alta è la posta in gioco.

 

Paolo Sinigaglia*

*presidente Italia Nostra Lombardia



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