21 maggio 2014

BILANCIO COMUNALE. UN DEFICIT DI SCELTE


Inizia questa settimana in commissione, e poi sarà in aula il dibattito, e il voto sul bilancio di previsione 2015. Il terzo di questa maggioranza. Un’occasione importante per fare il punto sulla programmazione economico-finanziaria del nostro Comune, in una fase in cui il dibattito in città su questi temi non è certamente dei più floridi. Per la verità, non lo è mai stato, sia per la solita aridità e difficoltà di lettura dei bilanci pubblici, sia per effetto dell’incertezza dei riferimenti legislativi entro i quali si è dovuto muovere il Comune di Milano in questi anni. Prima, nel 2012, il tema sofferto della vendita delle quote azionarie di SEA e Serravalle per coprire il buco pregresso. Poi, nel 2013 e 2014, il delirante dibattito su vecchie e nuove tasse. Dall’Imu a Tarsu, Tares, Tari, Iuc e ancora Imu. Nella convinzione ormai diffusa che comunque per “responsabilità di tutti”, responsabilità locali e responsabilità centrali, i cittadini pagano di più rispetto al passato. Fino all’aumento eccessivo delle tariffe e degli abbonamenti dei trasporti pubblici approvati dalla giunta nello scorso anno, che tanto hanno colpito ceti medio bassi e pensionati.

07biscardini19FBMa adesso, a due anni dalla fine della mandato della giunta Pisapia, si può tentare di allargare il campo e di analizzare la questione da un altro punto di vista, per verificare se ci sono le condizioni per cambiare passo, superando criticità storiche e per collocare anche la politica del bilancio in una visione strategica più generale. Fuori da una logica troppo spesso solo contabile, su una linea di tendenziale “trascinamento” dei bilanci comunali sulla scia dei consuntivi di quelli precedenti.

In questi anni ho posto alcune questioni che purtroppo non hanno ancora trovato uno sbocco significativo all’altezza di ciò che avrebbe potuto e dovuto fare un comune importante come quello di Milano. Alle domande non sono venute risposte soddisfacenti, alle sollecitazioni condivise non sono seguite azioni coerenti, alla necessità di cambiare strategia e introdurre profonde innovazioni si è contrapposta di norma l’impossibilità di far le cose in fretta. Una sorta di rinuncia a intervenire e un’ammissione di impotenza della politica a rinnovare la struttura operativa del Comune, nonostante sia condiviso il giudizio che questa struttura sia troppo rigida, statica, incancrenita e ferma da anni. Ma queste insufficienze possono ancora essere rimosse, se l’intera maggioranza e l’intero consiglio riscoprissero oggi il filo di un’azione politica che ha il dovere di guardare in faccia alla realtà per rimuovere gli ostacoli più grandi, con maggiore coraggio.

Cito solo tre questioni.

Primo. Nonostante le migliori intenzioni e le più roboanti dichiarazioni, non siamo riusciti in questi anni ad affrontare con energia il tema di una diversa organizzazione della macchina comunale, coerente a una diversa e più efficiente politica dei servizi e a una contemporanea e diversa politica del personale. Per una sburocratizzazione della struttura comunale e per un suo efficientamento in rapporto a una politica di spending review. Che non vuol dire tagliare in modo lineare le spese dei singoli assessorati, ma analizzare dove spendiamo, per cosa e come spendiamo, per quali servizi utili e per quali meno utili.

Questione che marcia in parallelo con quella di una diversa politica della spesa corrente. Che non è in sé solo il problema della riduzione tout court della spesa, che pur avrebbe dovuto avere una curva discendente rispetto a quella delle giunte precedenti, ma è riqualificazione dell’azione comunale, per rapportare la macchina a una diversa e più efficace gestione dei servizi. Certo una cosa che non si fa dall’oggi con il domani, come sostengono i rappresentanti della giunta. Che richiede coinvolgimento delle strutture e persino partecipazione dei dirigenti e dei dipendenti. Ma che può essere avviata anche oggi, definendo obiettivi precisi e una traiettoria certa. Recuperando i ritardi di ciò che finora non è stato fatto, per ottenere qualche successo significativo da qui al 2016, sia in termini contabili che politici. Si tratta di dotarci subito di un nostro “piano Cottarelli”, fatto di numeri concreti e risultati da conseguire in tempi definiti.

Nota a margine. Solo qualche mese fa, nonostante le sollecitazioni e nonostante la legge, il Comune di Milano si è dotato di quell’organismo indipendente di valutazione della performance che avrebbe avuto proprio il compito di monitorare in questi anni il funzionamento complessivo del sistema, compresa la valutazione annuale dei dirigenti di vertice e l’attribuzione ad essi dei premi di produzione, nel rispetto del principio di valorizzazione del merito e della professionalità, per incentivare la produttività e la qualità della prestazione. Un passo in ritardo, ma nella direzione giusta.

Secondo. Il tema riguarda gli investimenti, un obiettivo per la crescita fondamentale per la città e per la nostra economia. Questione che però non è stata nelle migliori corde degli assessori al bilancio e della giunta. Invece che difendere ed estendere la politica degli investimenti, senza criticare il debito se questo va nella direzione dei cittadini, si rischia di andare nella direzione opposta. Si sopportano a fatica gli interventi in conto capitale del passato, non si ha il coraggio di difendere la politica dei trasporti finalizzata al potenziamento del trasporto pubblico e alla realizzazione di nuove metropolitane. Non si è avviata una vera politica degli investimenti nei settori utili alla città. Il debito è diventato il diavolo, indipendentemente dal perché è stato contratto. “Il debito è una brutta tassa – si dice – la pagano i nostri figli, la paga il futuro ed è una tassa invisibile, non viene varata con procedimento democratico.” Cosa non vera da nessun punto di vista e comunque non distinguendo da debito a debito, da intervento a intervento, da come è stato contratto e a quali costi.

Può una giunta muoversi su questa strada? Nel merito vuol dire non avere idea che è necessario investire per il futuro e per le future generazioni, non innovare e soprattutto non riconoscere, come lo riconoscono tutti, nella politica degli investimenti e nelle infrastrutture una spinta essenziale per rilanciare l’economia. Se poi si valuta l’avversione ideologica che questa giunta ha mosso nei confronti delle iniziative di project financing, quasi a impedire anche a risorse private di poter dare un contributo nella realizzazione di nuove infrastrutture pubbliche (si veda il caso di quanti parcheggi interrati per residenti o a rotazione finanziabili da imprese o da cooperative sono stati derubricati) potremmo ritenere che la nostra maggioranza ha paura delle opere pubbliche e degli investimenti. Al di fuori di uno sterile piano triennale non si va. Salvo la difesa, troppo incondizionata, delle opere attivate nell’ambito di EXPO.

Per esempio, pensare che il nostro bilancio sia in difficoltà a causa della partita del trasporto pubblico è un errore concettuale. Fare investimenti nel settore dei trasporti e della mobilità, per una diversa qualità della vita, per la riduzione del traffico e della congestione è giusto o sbagliato? Se si drammatizza e se si criminalizza il comparto del trasporto pubblico, qual è viceversa il modello di mobilità che vogliamo realizzare in questa città? Ci sono solo tre alternative: andare a piedi, andare in bicicletta o andare in macchina. E se, per giunta, non si vogliono neppure i parcheggi interrati ci si arrende all’idea che le macchine siano parcheggiate, quasi stabilmente, ai lati delle nostre strade, sui marciapiedi e negli altri spazi pubblici disponibili. Non credo che nessuno, sul piano politico, sia disposto a sostenere a freddo una tale opinione, che pur di fatto viene assunta quando si discute di bilancio.

Se vogliamo aumentare l’uso dei mezzi pubblici bisogna invece avere il coraggio di dire che vogliamo il potenziamento del trasporto pubblico e dobbiamo difendere il debito. Che non è uno scandalo il fatto che ci siano delle voci di bilancio consistenti nel settore dei trasporti, anzi forse ne mancano alcune, come quelle che avrebbero potuto essere messe in campo per avviare la costruzione del Secondo passante ferroviario. Ma lo stesso vale per altre opere pubbliche strategiche per la città. Come quelle che potrebbero avviare il progetto di riapertura dei Navigli attraverso l’apertura delle conche dell’Incoronata e di Viarenna. Opere di assoluta attrattività. O la messa a regime del Seveso. E molte altre ancora.

Insomma, un’occasione, questo prossimo bilancio, per definire una nuova strategia degli investimenti che adesso sembra muoversi su un altro binario. Riscopriamo il filo della buona amministrazione, che faceva dell’investimento pubblico una vera priorità per garantire ai cittadini più servizi pubblici e più equità. Riapriamo la discussione, per affrontare il tema degli investimenti in diversi settori dall’istruzione, alla salute, alla casa, al verde, alla cultura e alla qualità urbana, per garantire ai cittadini migliori servizi, più servizi a minori costi individuali, fuori da una logica contabile per quello che dovrebbe essere un buon bilancio.

E se ricordiamo che storicamente gli investimenti in opere pubbliche hanno sempre avuto un positivo e forte effetto moltiplicatore sull’economia cittadina, allora in un momento di difficoltà come questo, un piano di investimenti del Comune potrebbe dare un significativo contributo alla ripresa dell’economia. Riscoprendo quell’importante ruolo di stimolo e guida dello sviluppo che il Comune di Milano ha avuto nel passato, quando i Sindaci, dotati di una visione strategica, programmavano ingenti investimenti nei settori dell’energia e dei trasporti pubblici da realizzare anche nel lungo periodo. Ciò portò Milano ad essere all’avanguardia tra le città italiane.

Terzo. Questa volta sul terreno delle entrate e non solo da tasse e tributi. Se vogliamo portare nelle casse comunali nuove risorse per nuovi interventi e servizi, uno strumento efficace, relativamente nuovo, che i Comuni hanno a disposizione, è il contrasto all’evasione fiscale.

Il consiglio comunale approvò nel 2011 un ordine del giorno, votato a larga maggioranza, nel quale si dava mandato all’assessore al bilancio e alla giunta di organizzare una task force per attrezzare il Comune di Milano nell’azione di contrasto all’evasione fiscale, al fine di consentire anche al nostro Comune, attraverso l’attività di segnalazione, di recuperare per il bilancio il 100% delle somme accertate. Così come la legge consente di fare. Se l’evasione fiscale a Milano è stimabile intorno ai 4,5 miliardi di euro annui, l’accertamento del solo 10% di quella cifra, potrebbe portare nelle casse comunali la straordinaria somma di 450 milioni di euro. 225 se ci accontentiamo del 5%. Inutile ricordare che l’evasione fiscale, in una città come la nostra, non riguarda solo piccoli evasori, ma la criminalità organizzata e attività diverse legate a imprese fittizie e a patrimoni occulti. Insomma, una campagna con forti ricadute sull’attività amministrativa e sulla nostra politica degli investimenti, che è anche azione politica per il rispetto della legalità.

I risultati finora non sono confortanti. Dai dati del Ministero delle Finanze risulta che nel 2013, per attività di accertamento fiscale del 2012, sono entrati nelle casse del Comune soli 949.268 euro. Cifra ben diversa da quella prospettata dai nostri conti. Certo, un modesto segnale di cambiamento rispetto al passato in cui il dato era ancora peggiore, ma un dato assolutamente insufficiente che dimostra almeno tre cose: la task force non è stata impiantata, l’attività di segnalazione è stata debole, il Comune non si è attrezzato come il Consiglio comunale aveva richiesto.

949 mila euro sono pari a 0,76 euro per abitante, contro i 25,49 del comune di Formigine, gli 8,07 di Bergamo, 4,47 di Rimini, 4,46 di Cinisello Balsamo, eccetera. Comuni di piccole e medie dimensioni che hanno dimostrato come l’attività di recupero dell’evasione non solo sia possibile, ma anche redditizia.

Dopo due anni di continui solleciti, le risposte sono sempre le stesse: non è facile farlo dall’oggi al domani, la struttura è quella che è, i tempi sono quelli che sono. Con una imprecisione in più fatta dalla stessa giunta: “siamo il primo comune d’Italia con la somma più alta di 950 mila euro”. Un modo strano di leggere i dati. Certo, siamo i primi in valore assoluto, ma molto più in giù nella graduatoria se il calcolo è su base pro capite.

Anche in questo caso, abbiamo ancora due anni davanti per rimediare e per recuperare il tempo finora perduto. Ripianare il bilancio recuperando somme dall’evasione fiscale è cosa ben diversa che vendere quote azionarie delle proprie aziende partecipate o aumentando tasse e tributi. Ed è cosa ben diversa sul piano dell’equità.

Nessuno esclude che si possono anche chiedere sacrifici, ma a condizione di non strafare e di offrire una prospettiva diversa per il futuro, sia sul terreno della spesa che su quello delle entrate, dimostrando che si sta facendo tutto il possibile per cambiare le cose in termini strutturali.

La svolta è possibile e si può cambiare passo. Anche dal versante delle politiche di bilancio, si può dimostrare, come ci chiedeva Giangiacomo Schiavi dalla pagine del Corriere della Sera di qualche giorno fa, che “Milano rilanci l’Italia migliore”, evitando che a volte sia “afflitta da piccolezza”.

 

Roberto Biscardini*

* Consigliere Comunale

 



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