14 maggio 2014

IL CASO DEL MUSEO ALFA ROMEO ARRIVA IN PARLAMENTO


Un nuovo caso per l’ispettore Ferraro? Il caso del Museo Alfa Romeo. Si tenta di capire se di delitto si tratti: indiziati, testimoni, alibi e moventi, gli ingredienti ci sono tutti. Perché il museo è stato chiuso? Cosa impedisce la sua riapertura se tutti si dichiarano concordi? Un balletto tra proprietà e soprintendenza, tra provvedimenti di tutela e ricorsi al Tar, partenariato con Expo, piani di riqualificazione complessiva e interpellanze parlamentari. Andiamo con ordine e partiamo dalla fine. Ilaria Borletti Dell’Acqua sottosegretario ai beni culturali ha risposto in aula pochi giorni fa alla interpellanza urgente dell’onorevole Rampi (Pd) che chiedeva “quali iniziative intenda intraprendere questo Ministero per la riapertura del museo ubicato all’interno dell’ex stabilimento Alfa Romeo, nell’area ex Alfa di Arese”.

05mattace18FBTecnicamente l’interpellanza ha valenza prettamente politica, si chiede al governo di illustrare la propria linea presente e futura sull’oggetto dell’interpellanza, e dunque la risposta della Borletti è particolarmente significativa quando afferma “Premetto che il Ministero è pienamente consapevole dell’importanza non solo culturale, ma anche economica e sociale del marchio Alfa Romeo, nella convinzione che il futuro di tale glorioso marchio dell’industria italiana, celebre nel mondo, sia strettamente connesso alla tutela e alla valorizzazione della sua memoria storica”.

Rimando alla lettura della trascrizione integrale che illustra quanto avvenuto tra il 2011 e oggi  dopo “il provvedimento di tutela emanato, con decreto del direttore regionale per i beni culturali e paesaggistici della Lombardia, in data 31 gennaio 2011” e brevemente sottolineo alcuni passaggi che ritengo significativi: il decreto è posto “su istanza del comune di Arese” quindi per iniziativa della comunità locale che teme che la collezione storica venga spostata a Torino, “che un simile patrimonio potesse esser perso, sparpagliato” come disse l’allora sindaco Gianluigi Fornaro, a fronte delle operazioni immobiliari previste nell’ex area produttiva di Arese.

Altrettanto significativa la risposta del gruppo Fiat che una settimana dopo – 8 febbraio 2011 – chiude repentinamente il museo “segnalando la necessità di opere di manutenzione straordinaria”. La chiusura era solo il prodromo dell’imminente ricorso al Tar per l’annullamento del vincolo presentato nella primavera del 2011. Chiusura ingiustificata per un museo che senza alcuna pubblicizzazione, nel 2010 era stato visitato da 24.000 appassionati, un tesoro nascosto con grandi potenzialità raccontate su queste stesse colonne pochi mesi fa da Pablo Rossi, il curatore dell’Archivio Giuseppe Eugenio Luraghi.

Nell’aprile 2013 Fiat diventa global partner di Expo 2015 e nell’ottica di questo accordo il Ministero promuove l’istanza della riapertura del Museo e della sua valorizzazione. Nel luglio 2013 Fiat chiede a Regione Lombardia un tavolo di concertazione con la Soprintendenza e presenta un piano di riqualificazione complessiva cui nel gennaio 2014 è stato dato parere favorevole corredato da suggerimenti utili a finalizzare la pratica in tempo utile per permettere la riapertura per Expo. Tutto bene quel che finisce bene. Apparentemente. Perché il ricorso al Tar di Fiat è ancora pendente, e potrebbe vanificare gli sforzi fin qui fatti.

Quello che è emblematico in questo caso sono gli attori coinvolti: in tutto questo processo non hanno veste ufficiale gli appassionati, le forze sociali, le comunità locali, l’opinione pubblica tutta che in questi anni si è spesa perché il Museo venisse riaperto, e che ha costituito quella lobby trasversale che ha portato il caso in parlamento. L’onorevole Rampi in replica si dice parzialmente soddisfatto e sollecita un tavolo straordinario e un sopralluogo: andiamo a constatare di persona, “a vedere materialmente le condizioni di questo museo” forse perché il segreto di Pulcinella è che il museo è in buone condizioni e potrebbe essere riaperto dall’oggi al domani, nello stesso modo in cui fu chiuso.

Appurata la volontà politica delle istituzioni (centrali e locali) si tratta capire dove stia puntando la strategia di marketing di FCA, forse smettere di rivolgersi a Sergio Marchionne, un po’ distratto al punto di dichiarare che tenta di riaprire un museo da sei anni quando è chiuso da tre, e sperare che Harald Wester Chief Technology Officer Head of Alfa Romeo and Maserati che il 7 maggio all’Investor Day declama “il suo amore per l’Alfa come quello di una mamma per un neonato”, oltre i cinque miliardi di investimenti che impegnerà per rilanciare l’Alfa Romeo, tutta italiana dalla progettazione all’assemblaggio, sappia recuperare il filo con la storia e con il suo territorio. Inutile sponsorizzare l’Alfa Romeo Sound City a Milano se non si è in grado di ascoltare l’istanza di una rete sociale, reale, attiva e disponibile, che vale ben più di mille social network. Assurdo voler rilanciare un marchio e chiudere il proprio museo storico.

Ci auguriamo che il nuovo cuore pulsante produttivo di Alfa Romeo ritrovi il legame con la sua storia, quella storia così speciale di cultura industriale che le parole di Jacopo Gardella nel novembre 2012 su ArcipelagoMilano rendono esemplare: “(…) Museo Storico, dove sono riuniti e conservati esemplari ancora funzionanti di vari tipi di vetture, prodotti nel corso della gloriosa vita della fabbrica. Per mantenere ciascuno di questi esemplari in condizione tale da essere ancora utilizzabili, e capaci di spostarsi e di correre, si è voluto affiancare al Museo un reparto di manutenzione, una officina meccanica dotata delle stesse attrezzature richieste dalle normali auto in uso. Un Museo di tale complessità e di così ammirevole lungimiranza non si crea facilmente. Il suo destino non può essere legato alle vicende immobiliari delle costruzioni edili a cui è collegato e insieme alle quali è nato; la sua creazione fa parte di un programma unitario e organico che aveva presieduto alla creazione dell’intero complesso industriale Alfa Romeo. All’interno di questo programma, del quale l’ultimo promotore e sostenitore è stato l’ingegner Giuseppe Luraghi, per molti anni illuminato presidente di Alfa Romeo, il Museo rappresentava una stretta integrazione di attività produttive con interessi culturali; era la testimonianza di un modo illuminato e aperto di concepire il lavoro operaio, non più esclusivamente circoscritto alla efficienza operativa, ma anche aperto alla curiosità e alla conoscenza dei più vasti orizzonti entro cui si colloca l’attività manuale.”

 

Giulia Mattace Raso

 



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