14 maggio 2014
JERRY BROTTON
LA STORIA DEL MONDO IN DODICI MAPPE
Feltrinelli, 2013
pagg. 526, euro 39,00
L’idea che le mappe fossero entità a sé stanti, così come la scienza della loro creazione, sono in realtà interpretazioni relativamente recenti. Per migliaia di anni i manufatti che differenti culture hanno chiamato “mappe” furono realizzati da individui che non pensavano che potessero essere disgiunti dalla scrittura di documenti ufficiali, dalla pittura e dal disegno, o dall’iscrizione di diagrammi su una variegata serie di supporti che andavano dalla pietra al legno, alla carta.
I rapporti tra mappe e ciò che oggi chiamiamo geografia sono ancora più sottili. A partire dagli antichi greci la geografia è stata definita come lo studio grafico (gràphein) della terra (ge), ma come disciplina intellettuale a sé stante la geografia, in Occidente, non fu codificata formalmente come materia di studio accademico che a partire dal XIX secolo.
Grazie all’avvincente libro di Jerry Brotton, docente di studi rinascimentali alla Queen Mary University di Londra ed esperto autorevole di storia delle mappe e di cartografia rinascimentale, è possibile fare un viaggio nel tempo e nello spazio e, seguendo la traccia lasciata dalle dodici mappe, comprendere quanto la storia delle carte geografiche abbia modellato la nostra visione del mondo.
Partendo dall’analisi del loro significato, a partire dalle rappresentazioni della storia antica, per finire con le immagini satellitari contemporanee, la ricerca di Brotton ci fornisce la prova di come ciascuna di esse trasmetta un’immagine estremamente personale del mondo. E come il “mondo” sia un concetto sociale, creato dall’uomo.
Le dodici mappe di cui si parla nel libro presentano infatti un disegno dello spazio fisico del mondo che deriva da idee e valori di cui sono permeate. Come dire che una certa visione del mondo produce una mappa del mondo, ma questa definisce, a sua volta, la visione del mondo della cultura che l’ha creata. E si delinea in base a temi che vanno dalla scienza alla politica, la religione e l’economia fino alla globalizzazione.
“Ma non sempre” – sostiene l’autore – “le mappe sono modellate in maniera consapevole o inconsapevole dall’ideologia. Hanno avuto un ruolo nella loro realizzazione anche confuse forze emotive. Gli esempi riportati nel libro vanno dalla ricerca di uno scambio intellettuale nella mappa islamica del XII secolo alle concezioni globali di tolleranza e uguaglianza nella controversa mappa del mondo pubblicata dallo storico e cartografo tedesco Arno Peters nel 1973.”
La prospettiva cristiana centrata su Gerusalemme della mappamundi di Hereford del XIV sec (n.d.r. una delle più famose mappe medioevali, custodita nella cattedrale di Hereford,Inghilterra); la più antica mappa coreana che mostra la terra intera, compresa l’Europa; la prima autentica visione del mondo globalizzato del cartografo ed esploratore portoghese Diogo Ribeiro agli inizi del XVI sec.; la proiezione degli anni Settanta del Novecento che aveva l’ambizione di dare uguale dignità e importanza al “terzo mondo”; le applicazioni geospaziali secondo Google Earth, non sono dunque che l’innesco per la creazione di mappe in grado di farci meglio comprendere le civiltà che le hanno prodotte. E ci permettono anche di sognare di luoghi sconosciuti che non vedremo mai, di tempi antichi che solo con la fantasia possono essere ricreati.
Forse la migliore definizione metaforica delle mappe, ci suggerisce Brotton, è un graffito impresso a grandi caratteri su un muro che affianca la linea ferroviaria di Paddington Station a Londra e che dice “Ciò che è lontano, è a portata di mano nelle immagini dell’altrove”.
“Il mondo cambia di continuo”, ammonisce Brotton, “dopo quasi due millenni in cui si sono create mappe su pietra, pelli d’animale e carta, le immagini che lo raffigurano sono ora digitalizzate e virtuali, e si trovano ad affrontare il rischio di una rapida obsolescenza. Ma tutte, come le più antiche e ormai sconfessate o imprecise, o dimenticate, restano utili testimonianze del fatto che la storia e la comprensione del nostro mondo passano anche attraverso la storia della definizione degli spazi fisici”.
Daniela Muti
questa rubrica è a cura di Marilena Poletti Pasero