14 maggio 2014

la posta dei lettori_14.05.2014


Scrive Pierfrancesco Gargano a LBG su Expo – Luca Beltrami Gadola affermava nel suo articolo del 7 Maggio che “se qualcuno avrà voglia di scrivere la storia di EXPO 2015 non potrà che raccontare come una buona idea si sia ormai trasformata in una sorta di incubo”. Una buona idea nata per far diventare l’Italia il riferimento nell’accoglienza e nella produzione agro-alimentare e per portare 29 milioni di visitatori italiani e di tutte le nazionalità del mondo a Milano (circa i due terzi di tutti i turisti che visitano l’Italia in un anno) ma, da chi nello stesso momento mandava le squadre sui mezzi pubblici alla ricerca di uomini, donne bambini senza permesso di soggiorno o ne cercava i bambini negli asili milanesi. Da questo stridore d’intenti forse qualcuno si sarebbe dovuto domandare se la vittoria su Smirne fosse una occasione per il paese e per dare risposte al problema della fame nel mondo o per i “Io vi do tutti gli appalti che volete”.

Per me l’Expo ha generato sempre molte domande, come ogni grande evento politico ed economico. Esso ha avuto da subito dei lati chiari e dei lati oscuri, come le caselle di una scacchiera. E proprio su una scacchiera sembrano muoversi le tante pedine che, fino al 2015, sono impegnate a giocare la “partita per l’Expo” con una certezza che l’opinione degli italiani e dei milanesi non sarà presa in considerazione, fuori dalle stanze c’è il cartello “non disturbare i manovratori”. Ma almeno chi si doveva porre le domande indisturbato se le è poste? Dopo aver colpevolmente trascurato di dare nuova vita alle aree interne alla città come l’ortomercato per scegliere di acquisirle fuori Milano quali insegnamenti hanno tratto dalle disastrose esposizioni spagnole sia universali (padiglioni costruiti dai partecipanti, durata 6 mesi) che internazionali (durata 3 mesi in una area ridotta fino ad un massimo di 25.000 metri quadrati). Hanno per esempio visionato i materiali avanzati alla Milano Ristorazione? Hanno visionato la loro destinazione finale? Hanno visionato il loro trattamento a Bilancio?

Ma forse sono tutte domande secondarie rispetto a come sarebbe potuta cambiare realmente Milano con le nuove linee di metropolitana e l’idea delle “vie d’acqua”, che accende gli entusiasmi dei fautori della riapertura dei Navigli mirando a tingere di romanticismo l’irruzione della modernità nel tessuto urbano (vedi progetto City Life al posto della vecchia Fiera Campionaria). È possibile che l’EXPO rappresenti il futuro guardando al passato? E perché così tante voci, in città, si alzano contro la realizzazione della via d’acqua, che pare tecnicamente irrealizzabile?

Più le domande si moltiplicano e più iniziamo ad entrare nel vivo della politica che ruota attorno all’EXPO. Come e se saranno rappresentate tutte le migliaia di aziende italiane della produzione agroalimentare nella grande vetrina di visibilità internazionale e quale lettura della solidarietà nazionale/internazionale italiana si darà sul tema fame? Ancora, l’EXPO è la grande occasione per l’Italia per riscoprire l’agricoltura e per lanciare politiche di consumo ecosostenibile e responsabile?

Trascurando e lasciando alla magistratura le questioni se sia davvero possibile costruire senza che una parte dei soldi vadano nelle tasche della mafia e se saranno rispettate le regole sulla sicurezza nei cantieri; il punto finale è: come verrà utilizzata dopo EXPO l’immensa piastra di cemento e gli edifici di contorno all’esposizione?

Caro Luca una certezza c’era all’inizio dell’avventura e continua ad esserci, su quanto deciso nulla si poteva fare contro la profusione di questa immane quantità di investimenti governati da partecipate per nulla trasparenti, ma non esistono milanesi silenti che aspettano sulla riva del fiume il cadavere di EXPO 2015 perché le sconfitte della nostra città non sono solo mie o tue ma sono di tutti noi italiani e soprattutto di tutti i contribuenti stremati dalla crisi e, al contrario siamo in tanti e pronti a voler “fare per beneficiare tutti”.

 

Scrive Renzo Rosso a LBG su Expo – A differenza di molti, il giorno in cui Milano vinse su Smirne, e soprattutto dopo il primo seminario in Assolombarda dove venivano esibiti qualche premio Nobel e alcuni preclari colleghi e amici anglosassoni che come me hanno dedicato la vita all’acqua e all’ambiente, pensai che il mio paese stava iniziando a sprofondare per davvero. Lo avremmo fatto con il nostro stile: coprendoci di ridicolo. Con una probabilità non proprio trascurabile. Ho appena visto alcuni progetti degli effimeri padiglioni di Expo. E penso che pioggia e sole e fango e acqua sporca e soprattutto aria e vento e burrasca riserveranno parecchie sorprese. Qualcuno si metterà a ridere, ma sarà un riso amaro. (Ordinario di Costruzioni Idrauliche e Marittime e Idrologia nel Politecnico di Milano)

 

Scrive Angelo d’Auria a LBG su Expo – Ho letto il suo articolo “No expo, no canal e l’amarezza dei non violenti”, e desideravo iscrivere il Comitato Quarto Oggiaro per l’interramento della Gronda Nord, superstrada di collegamento strategico all’EXPO in costruzione tra le case di Quarto Oggiaro, al gruppo dei cittadini delusi e amareggiati. Noi non siamo nati come Comitato di contrasto, quello era il lavoro che doveva fare a suo tempo il Comitato contro la GRONDA Nord, ma come comitato di proposta, ovvero di 390 metri di superstrada (110 m a raso, 120 m in scivolo, 160 m in trincea), che chiediamo d’interrare, per impedire che squarcino il quartiere e si mangino una parte consistente di suolo.

Da settembre 2013 ad oggi è in corso una estenuante e sleale “trattativa” (“trattative” nelle quali mafiosi e tifosi sono stati trattati con maggior rispetto, attenzione e risultati, “trattative” che nell’ambito dell’EXPO prendono il nome di “infiltrazioni”). Estenuante perché per ottenere di essere prima sentiti e poi ascoltati in parte, abbiamo dovuto raccogliere 600 firme in un mese, convocare 2 partecipate assemblee pubbliche, volantinare, attaccare striscioni (puntualmente rimossi!) organizzare incontri, collette ecc. insomma tutto quello che un comitato fa, solo per amore della propria causa, del proprio territorio, della propria salute e che loro snobbano sempre, derubricandola come strumentalizzazione politica.

L’altro ritornello che usano è quello che loro sanno che cosa è buono per noi, perché quando vengono eletti, diventano “gli eletti” e i cittadini, la cui considerazione è funzionale solo al consenso, denunciano con la loro partecipazione, il fallimento e l’arroganza della rappresentanza. Abbiamo offerto loro un’opportunità per dimostrare che non c’è ipocrisia nella mission dell’Expo e che l’evento costruito per ricordare al mondo il rispetto delle persone e dell’ambiente in cui vivono, è costruito in assoluto rispetto dei tanto strombazzati slogans, lo si chieda ai cittadini delle aree che ospitano il grande evento e che subiscono l’oltraggio e le conseguenze delle infrastrutture, senza goderne alcun beneficio.

Ci delude la slealtà della “controparte” che ci ha portati ad un negoziato piuttosto che ad un confronto, come in una contrapposizione di interessi, piuttosto che in una comprensione delle ragioni che, a nostro avviso sarebbe l’interramento totale del tratto di superstrada Eritrea – Fabrizi, senza se e senza ma. Consapevoli purtroppo, che con il voto firmiamo un assegno in bianco, siamo costretti ad accettare qualunque “concessione” che la nostra “aggressività” riesce a strappare e rivendicarla anche come un successo, lasciando pure alla “controparte” la difesa di una posizione, le cui uniche ragioni sono costituite dalla difesa della propria posizione.

 

Scrive Luigi Lunari a LBG su Expo – Egregio direttore, solitamente d’accordo in toto, stavolta ho qualcosa da obbiettare. Il giorno della vittoria di Milano su Smirne, il mio atteggiamento è stato decisamente controcorrente. Ricordo ancora l’indecoroso balletto della Moratti e di Penati, osannanti per l’affermazione. Milano aveva battuto Smirne, va bene! Ma non è un po’ come immaginare la Juventus prevalere su l’Ambri Piotta, e vedere Agnelli e Conte che si abbandonano a giubilazioni irrefrenabili? E poi: dov’erano le città pari-grado di Milano? Non dico Londra o Parigi, che hanno altra dimensione, ma Lione. Monaco, Marsiglia, Francoforte, Madrid e Lisbona… a nessuna di queste interessava accaparrarsi la ghiotta e meritoria “occasione storica” di diventare, come Lei dice, “paese si riferimento per affrontare in maniera civile e corretta il problema della fame nel mondo”? Già questa diffusa latitanza mi ha fatto subito insospettire, e fatto nascere in me il sospetto che il tutto fosse solo una furbata all’italiana per beccarsi qualche sovvenzione nazionale ed europea… a vantaggio di una piccola casta di profittatori pronti a gettarsi sull’affare. Del resto, come dice Lei, sta andando ben diversamente: “tra liti, voracità, stupidità e nessun senso del bene comune e chiusura totale a qualunque apporto esterno”. Ma – mi scusi – tutto questo è una novità generata dal progetto Expo? Non è così da sempre, nei nostri usi e costumi politici, sociali, industriali e civili? Perché stupirsene? Quella “chiusura totale” che Lei denuncia, io l’ho avvertita sempre, a Milano, tutte le volte che – competente quale io sono in un sia pur piccolo settore operativo – ho provato ad avanzare proposte di razionalizzazione dei procedimenti, di economica gestione delle risorse, di pulizia da interessi creati e privilegi. Sempre mi sono trovato di fronte a un muro di gomma, a un atteggiamento di ignorazione (diverso da ignoranza, che indica uno “stato” mentre “ignorazione” implica la volontà di ignorare. Un neologismo, okay: never mind!). Nessuna reazione, mai: solo il “non parlare al manovratore” come giustamente rispolvera Lei, solo il rapido infilare sotto il tappeto la polvere da me sollevata… e schluss! È sempre prevalsa la “castità” del sistema Milano e del sistema Italia: “castità” nel neologistico senso di adesione al sistema delle “caste”. Ciascuna chiusa in se stessa e sorda ad ogni apporto estremo, quale il mio nel mio caso. L’Expo si farà, ne sarà strombazzata l’inaugurazione con un sacco di cose non ancora pronte e non finite, i milioni di visitatori attesi non ci saranno (oggi il mondo si muove in modo tale che non c’è più bisogno delle esposizioni universali o delle fiere campionarie, poiché ognuno va dove vuole quando vuole), e a beneficiare della baraccata sarà un piccola casta di furbetti del quartierino che hanno messo le mani in pasta al momento giusto.

 

Scrive Valentino Ballabio a Franco D’Alfonso sulla città metropolitana – Esprimo viva solidarietà per l’abnegazione con cui insisti nell’indicare la dimensione metropolitana come prospettiva per il bilancio, se non il governo complessivo, della Grande Milano dei prossimi anni. Purtroppo, in realtà, il combinato disposto di una pessima legge (Renzi – Delrio) e di una impenetrabile indifferenza e sottovalutazione (Pisapia – Benelli) da parte del capoluogo della più importante area metropolitana italiana – Roma Capitale esclusa – non declinano a favore. Sul primo punto la cosiddetta città metropolitana viene ridotta alla ex-provincia dimezzata nel territorio, isterilita nelle competenze e deprivata di organi politici elettivi. Sul secondo la mancata attenzione e iniziativa di Sindaco ed Assessore “competente” (con tanto di Dirigente appositamente incaricato di specifico “progetto” al seguito, nonché dossieraggio PIM buono per tutti gli usi) registrano un disarmante vuoto di interesse e di idee. Perché, altrimenti, la tua benemerita convocazione al circolo De Amicis del 14 gennaio al riguardo, pregevolmente partecipata e autorevolmente incoraggiata anche da Piero Bassetti, non ha avuto alcun seguito? Chi ha paura di entrare nel merito di un cambiamento istituzionale vero, non limitato ai biglietti da visita e alla carta intestata di probabili autorità e organi “metropolitani” improvvisati e posticci?



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