7 maggio 2014

NO EXPO, NO CANAL E L’AMAREZZA DEI NON VIOLENTI


Qualche giorno addietro in una brevissima intervista rilasciata a Radio Popolare ho detto che il sentimento prevalente di fronte alle vicende di Expo è l’amarezza: l’amarezza dei non violenti quella di chi crede ancora nella politica e nel sistema democratico. Poi qualche giorno dopo ho letto che c’era chi si era infilato nel cantiere della Darsena e aveva danneggiato alcune macchine operatrici ritenendo con questo di rappresentare la rabbia dei No Canal. In un momento come questo, con quel che succede in giro per il mondo e intorno ai campi di calcio si potrebbe derubricare questo episodio tra i “de minimis”. Fino a un certo punto.

01editoriale17FBPerché attorno alla vicenda Expo si è lasciato invelenire il dibattito e il confronto? Perché una parte di chi manifestava e manifesta diversità di opinione è costretta nell’angolo e finisce con l’assumere atteggiamenti violenti? Chi ne porta la responsabilità? Chi è tentato dalla risposta di comodo “c’è sempre una frangia di antagonismo puro e semplice che cavalca qualunque cosa” sa di dire una mezza verità, anzi una piccola parte di verità: è sul “qualunque cosa” che dobbiamo ragionare.

Il “qualunque cosa” non nasce all’interno dell’antagonismo purché sia, ma è l’antagonismo che sa cogliere il momento nel quale si rompe l’equilibrio tra dissenso civile e potere politico. L’origine dunque sta nella politica e nel modo di gestire il confronto e credo che il caso Expo sia paradigmatico. Se qualcuno mai avrà voglia di scrivere la storia di Expo 2015 non potrà che raccontare come una buona idea si sia ormai trasformata in una sorta di incubo collettivo che con ogni mezzo, spesso rozzo e superficiale e con distribuzione clientelare di risorse, si cerca di trasformare da incubo ad attesa di successo e in sforzo collettivo.

Il giorno della vittoria di Milano su Smirne tutti avevano capito che c’era a portata di mano un’occasione storica: poter diventare il Paese di riferimento per chi intenda affrontare in maniera civile e corretta il problema della fame nel mondo. Le cose sono andate ben diversamente ed è inutile ripercorrere le vicende note a tutti tra liti, voracità, stupidità e nessun senso del bene comune e chiusura totale a qualunque apporto esterno: la vicenda del Expo Diffusa e Sostenibile ne è un esempio. Il motto sembrava essere quello che leggevamo sui tram milanesi negli anni dell’infanzia: non disturbare il manovratore che è intento alla manovra. Era e in parte è ancora la politica italiana.

Oggi abbiamo capito, e ce lo ricorda Emilio Molinari a parlando della “questione acqua” su queste stesse pagine, che Expo sarà un’altra cosa rispetto al tema originario e anche il sindaco Giuliano Pisapia di recente, ma tardivamente, ha sollevato il problema: possiamo dire che siamo di fronte al tradimento di un’idea.

Perche non capire che nel fondo all’origine dei movimenti di No Expo e No canal c’è anche e proprio la rabbia per il tradimento dell’idea? Se dobbiamo ammettere ulteriore occupazione di suolo o compromissioni del paesaggio, ammesso che non fossero evitabili, il sacrificio sarebbe parso quantomeno utile in un bilancio di costi e ricavi sociali e politici positivo. Il tradimento dell’idea e la consapevolezza di interessi economici non dichiarati e mai discussi sono il terreno di cultura dell’antagonismo di marca Expo. Tutto poteva essere evitato. Checché se ne dica o si voglia credere mi domando quanti sono i milanesi che stanno sulla riva del fiume, silenti, aspettando che passi il cadavere di Expo 2015. Magra soddisfazione. Una prece. Io invece spero ancora perché Milano, malgrado tutto, è la mia città e le sue sconfitte sono le mie.

Luca Beltrami Gadola



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