7 maggio 2014

IL VERDE IN PIAZZA DEL DUOMO TRA STORIA E FORMA DELLA CITTÀ


Voglio parlare ancora di Milano come paradigma della città e dire qualcosa a proposito degli ultimi interventi come il verde in Piazza del Duomo a partire dalla distanza concettuale tra gli interventi di Caruso e il mio su queste colonne, distanza che credo abbia un significato anche generale, e non solo di tipo personale o individuale. Io vedo, rispetto al concetto di Caruso, un rapporto più complesso e dialettico tra idea e forma, tra politica e cultura. Non propendo per l’identificazione tra idea di città e la sua forma. Mi sembra che l’idea di città sia una nozione civile più ampia, che l’architettura (civile) deve interpretare – e credo senza l’intermediazione politica o dei politici, ma come parte della politica: quella parte nella quale gli architetti hanno piena e non delegabile responsabilità. Per cui credo che nella costruzione (collettiva) della città non debba non debbano esserci elementi di tipo prescrittivo, sia pure condivisi. Credo che il progetto sia sempre ritrovamento, e non mai conseguenza o frutto di prescrizioni: anche quando può apparire un punto di incontro logico tra le due modalità.

08bono17FBProvo a fare un esempio, che ritrovo in una relazione di venti anni fa’ di Aldo Rossi (di cui un disegno illustra, con certa mia invidia, lo scritto di Caruso di cui tratto …) Nel merito di un progetto accanto alla “casa degli artisti” in zona Brera, Rossi scrive: “… inoltre essa (la casa degli artisti), può essere l’inizio della ricostruzione della via Tomaso da Cazzaniga, intesa come unità della cortina stradale, promuovendo la formazione di corti interne. La proposta muove da considerazioni che hanno come motivo centrale la ricostruzione di una parte della città, tanto carica di storia quanto distrutta; forse uno degli esempi dove Milano ha perso il tracciato topografico fino a perdere le relazioni con l’introno“.

Sono temi vicini a quelli trattati da Caruso. Quando essi nascono da una norma o da un dovere (lo dico estremizzando), restano il più delle volte lettera morta, o memoria inerte; quando sono il frutto di un progetto inteso come ritrovamento di una idea, e di un’idea civile, sono un grande contributo alla città.

Ecco allora – per intima anche se non evidente analogia – che mi sento ancora una volta di dissentire da quanto Caruso dice su Piazza del Duomo. Quanto dice mi sembra ipotetico e non reale: è infatti tutto da dimostrare che, se si facesse un bosco in Piazza del Duomo, questo avrebbe “successo popolare”. Mi pare che la piazza, così com’è, di successo ne abbia avuto tanto, e che sia sempre stata approdo costante di tante persone, che dall’hinterland venivano (e vengono) a partecipare, e godere, di una città ancora fondamentalmente monocentrica. E, proprio in forza di questa persistenza, molti progetti di trasformazione della piazza sono – nel corso degli anni – scivolati via come acqua sui vetri.

Ci ricordiamo negli anni ’80 dello scorso secolo la commissione (proposta dalla politica) di venti progettisti, venti, che proponeva, tra l’altro, anche di tagliare una fetta dell’Arengario … . Gli alberi in piazza possono essere il sentimento anche dolce di un grande uomo di musica come Abbado: non per forza coincidente con il sentimento della città. E il bel pavimento del Sagrato del Portaluppi, che Caruso cita, è ancora lì ai piedi del Duomo, e ancora incanta quella varietà di pietre, che dalle Prealpi sono “scese” per costruire la città: così come, per tutti e un tempo, il marmo di Candoglia.

Non so invece che dire – e forse è meglio tacere – di eventuali e provvisorie ortaglie (in vasche d’acciaio) in occasione di Expo 2015. Le sintonie tra le esposizioni universali e le città sono sempre state alterne e forse rare: certo la fortuna di Lisbona (1998), ma anche la noia infinita di Hannover (2000), e così via. Mi sembrano più in tema le cascine della Bassa: come da alcuni progetti. E sarebbe stato bello rifare quei quattro ponti sui Navigli che impediscono, e impediranno al visitatore nel 2015 di navigare da Locarno a Pavia, attraversando quei luoghi che sono stati i più fertili del mondo: grazie al lavoro dell’uomo, alla capacità di governare le acque.

Benché incompiuta, la storia di Piazza del Duomo è una storia progressiva, entro quello straordinario contesto lombardo. Una storia nella quale le idee sono diventate architettura; dove la primitiva volontà di realizzare una strada-bazar che collegasse con la Scala, è diventata la Galleria. Una nozione storica e viva di architettura civile, ci riporta sempre, più che a possibili prescrizioni o regolamenti, alle idee e alle parole che possiamo scambiarci: come quelle lontane e forti di Carlo Cattaneo, che suggeriva di “non disperdere la città di fronte alla faccia del Duomo”.

 

Cristoforo Bono



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