7 maggio 2014

“LA SOCIETÀ GENEROSA” E LE SUE ISTITUZIONI


“La natura dell’economia moderna ha subito un sostanziale impoverimento a causa della distanza venutasi a creare tra l’economia e l’etica” (Sen 1987): da questo postulato muove La società generosa (Milano, Feltrinelli, 2014) di Pier Mario Vello e Martina Reolon, testo che restituisce una centralità spesso dimenticata all’individuo, come motore di ogni azione possibile, come ultimo depositario di valori, come ens construens di ogni futura società e di ogni possibile benessere.

09nuvoli17FBLa tesi non è certo nuova, ma è stimolante e rimanda a una visione del mondo in cui non è più il singolo a farsi carico di creare speranza, ma accanto a lui agiscono, in armonia, le istituzioni. Il percorso del testo è costruito su un’implicita, ma ineludibile, memoria della Divina Commedia: da due vizi capitali quali l’invidia e l’avidità, in perenne conflitto con la creatività e la generosità, si giunge a un’omeostasi ideale in cui lo stato, l’economia e la filantropia coesistono bilanciandosi in un interscambio che va a tutto vantaggio dei singoli e della società nel suo complesso.

È l’invidia – e non l’avidità – il sentimento maggiormente distruttivo. Essa, a differenza dell’avidità, non cerca solo di derubare quanto ritenuto buono nell’oggetto del suo desiderio, ma mette anche gli elementi cattivi del Sé nell’oggetto desiderato, attraverso una proiezione che ha come scopo quello di danneggiare l’oggetto e di distruggerlo. Quest’aspetto (…) porta alla distruzione della creatività.” (pp. 47-48)

Gli autori indicano come da lungo tempo siano stati riconosciuti legami profondi fra la generosità e l’attività dell’intelletto, poiché, a guardar bene la generosità è aspetto fondativo dello sviluppo della mente (…). La generosità ha profondi legami con la possibilità stessa di una cognizione allargata e flessibile del mondo che circonda. Il canale profondo che collega generosità con creatività passa attraverso la cognizione premurosa e, soprattutto, attraverso l’immaginazione” (p. 52.)

La generosità vola leggera per sovrabbondanza d’essere: “(…) è come un paradigma sovramorale, non settario, areligioso, non fideistico, transnazionale, sovraetnico.” (p. 50), in un rapporto simpatetico con la creatività, e con almeno sette caratteristiche che si riscontrano specularmente nell’una e nell’altra:

1. operano attraverso l’integrazione e l’inclusione;

2. in loro è presente la gratuità ed è assente il calcolo;

3. possiedono capacità di attesa;

4. hanno una dimensione giocosa;

5. tollerano il vuoto, l’incertezza, il rischio;

6. sono produttive e generano abbondanza;

7. questi sei elementi si rafforzano tra loro attraverso un’azione sinergica.

Sono la generosità e la creatività a dare colore alla vita, mentre il denaro e i suoi meccanismi rendono l’uomo moderno “blasé“, “disincantato, disilluso, piatto” (Simmel). Ed è la generosità a rappresentare la vera apertura all’intersoggettività, sì da dover essere collocata alla radice dell’esistere sociale e della sua base etica.

A questo punto la generosità – esaminata sinora come elemento caratterizzante del singolo – viene fatta slittare ad altro piano, quello delle istituzioni e degli organismi di potere. Dopo nefasti totalitarismi, ci si è resi conto della necessità di un modello dialogante tra lo Stato e le diverse istanze della società civile: Stiamo parlando della concezione di uno Stato sociale che abbia come prevalenti obiettivi l’attenuazione delle diseguaglianze economiche e dell’iniquità sociale tra i cittadini, la valorizzazione delle differenze, la garanzia per tutti dell’espressione delle libertà individuali, la gestione ottimale della redistribuzione delle risorse, la gestione della giustizia in modo neutrale, la promozione della solidarietà tra i cittadini. È su questa idea di Stato che s’innesca la possibilità di un rapporto significante e dialogante con il dono, la generosità e la solidarietà espressi a livello locale e microscopico della società civile nei rapporti riconoscenti tra i soggetti, e a livello istituzionale nel mondo della filantropia organizzata. (167)

La filantropia che rappresenta l’area della generosità istituzionalizzata e organizzata, il cui significato trascende quello psicologico e morale del soggetto generoso, e che costituisce la terza area etica, dopo lo stato e l’economia. In un’analisi appassionata ma non acritica della filantropia, torna centrale il tema del dono, come l’elemento su cui si regge la società, come “il formatore per eccellenza delle alleanze. Ciò che le suggella, le simboleggia, le garantisce e le rende vive” (Caillé). Chi dona si dichiara pronto a giocare il gioco dell’associazione e dell’alleanza: e il filantropo fa proprio questo, in un’operazione non aliena da rischi tra i quali, non ultimo, l’assenza di un parametro chiaro e condiviso che faccia da spartiacque tra l’azione che risponde a logiche di profitto, e quella che segue logiche sociali e filantropiche.

Il modello dentro il quale muoversi sarà allora quello indicato nella Social Innovation Agenda 2013 del Miur che riconosce “l’innovazione sociale nel raggiungimento di obiettivi che rispondono in modo innovativo alle necessità sociali, ma anche nell’utilizzo di processi che coinvolgano interazioni sociali tra le tre componenti interessate, policy makers, attori del mercato e società civile”. Un finale che restituisce alla società civile, rimasta nelle pieghe del testo più come destinatario che come attore, il ruolo che pareva esserle stato negato.

Il modello cui far riferimento – laico, realistico, condivisibile – il mondo occidentale lo possiede da secoli, ed è quello indicato da Cicerone nel De amicitia, dove recupera l’ideale ellenico della filantropia, calandolo nel contesto della realtà romana, per cui diventa “legame interessato”, fra persone cui era propria quella humanitas in grado di generare una benevolenza verso il prossimo che scaturiva dall’intimo, e che lo spingeva ad aiutare gli altri disinteressatamente. Persone unite da comuni ideali etici, e tese ad allargare i legami fra gli individui, ponendo alle fondamenta valori come virtus e probitas, che si collocano esattamente agli antipodi rispetto all’invidia e all’avidità.

Il “dono” è così da collocare in un contesto di reciprocità fra le parti, nel riconoscimento dei medesimi obiettivi e delle stesse strategie; uno scambio produttivo in cui la creatività individuale o di gruppo viene sostenuta dal contributo economico che rende possibile la techné e l’attuazione pratica dell’idea, ma che fornisce alla filantropia, contestualmente, la sua ragion d’essere. Una filantropia che, però, ha bisogno di attori illuminati e lungimiranti; che abbiano progetti di ampio respiro e capacità di riconoscere la “creatività generosa”. Il rischio della filantropia è quello di buona parte delle istituzioni: essere resa meno efficace da miope, insipienze, limitatezze culturali degli apparati. Mentre la storia insegna (anche in Italia) che protagonisti illuminati della filantropia hanno provocato scatti in avanti nell’innovazione, intervenendo là dove lo Stato non ha saputo (o potuto) dare una risposta adeguata.

Interazione e sinergia costante, dunque, fra etica ed economia per una società in cui minore sia la violenza, la disparità, il dolore. Amartya Sen sostiene che se è vero che l’etica può dare molto all’economia, anche l’economia può rendere più ricca l’etica. Tesi che condividiamo perché l’economia

1. individua un fondamento realistico delle regole, legato all’individuo, al suo qui e al suo dove, limando le asperità dell’assolutezza etica;

2. ravvede la necessità del rispetto dei valori individuali, di gruppo, della terra, dell’etnia (il cui misconoscimento indurrebbe a investimenti sbagliati);

3. se l’etica può rendere più “giusta” l’economia, questa può rendere l’etica più flessibile e generosa.

In questo contesto di libero e reciproco scambio, dove nessuno si colloca in un ruolo di superiorità perché dà (mentre l’altro in apparenza riceve), si può pensare a costruire anche una società più felice. Utopia? Forse. Ma siamo grati a libri come La società generosa, poiché non possiamo dilazionare più a lungo un percorso globale, profondamente condiviso e – questa volta irreversibile – verso un’autentica filantropia (e non solo istituzionale).

Giuliana Nuvoli



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