7 maggio 2014

NOMINE PUBBLICHE E PARITÀ DI GENERE: QUALCOSA SI MUOVE, MA NON BASTA


Il Governo, nei giorni scorsi, ha annunciato le proprie scelte per i vertici dei giganti del gas, della luce, dei trasporti, delle comunicazioni e di molte altre società partecipate e controllate dallo Stato. La faticosa scelta su tali nomine ha un indiscusso merito: non ci si è limitati a inserire nomi femminili nei consigli di amministrazione e nei collegi sindacali, come prevede la legge sulle quote di genere, ma alcune donne sono arrivate ai vertici delle società stesse.

12livigni17FBI nomi sono noti, grandi professioniste del mondo dell’imprenditoria e del management, esponenti di punta dell’economia della nostra nazione negli ultimi anni: Emma Marcegaglia all’Eni, Patrizia Grieco all’Enel, Luisa Todini alle Poste, Catia Bastioli a Terna.

Due sono manager, per formazione e lunga esperienza (Grieco e Bastioli, la prima presidente esecutivo di Olivetti, la seconda amministratrice delegata di Novamont), due figure più politico-istituzionali (Marcegaglia, ex presidente di Confindustria, e Todini, imprenditrice, ex parlamentare Pdl oggi nel Cda della Rai).

Questo il dato formale, la sostanza sembra essere molto più complessa e vale la pena di analizzarla attentamente. Anzitutto, un dato negativo: la presidenza delle società partecipate o controllate dallo Stato è stata spesso nella nostra storia economica e imprenditoriale un ruolo di rappresentanza, slegata dalle decisioni fondamentali che fanno capo al consiglio di amministrazione. Le regole della conduzione societaria, la cosiddetta governance, affidano però al presidente il delicato ruolo di condurre e indirizzare i lavori del consiglio di amministrazione. E quindi le nuove presidenti nominate potranno, se vorranno interpretare correttamente e nei pieni poteri il loro ruolo, effettivamente impostare il lavoro del consiglio di amministrazione a livello di indirizzo politico, sollecitando determinate prese di posizione e tutelando le pari opportunità di genere.

Inoltre due dati numerici appaiono significativi e degni di nota: fino a oggi, le sei società oggetto di rinnovo degli organi sociali avevano in totale 48 consiglieri di amministrazione e di questi solo 2 erano donne, ben lontane dai vertici delle società. Il secondo dato è che non è usuale nemmeno nelle società quotate avere donne a capo dell’impresa. Sulle quasi 250 società quotate in Borsa in Italia solo 12 hanno una presidente donna, cui si aggiungono quattro presidenti onorarie. Si tratta, tra l’altro, nella quasi totalità dei casi di rappresentanti della proprietà.

Insomma, se ben interpretata anche a livello di spinta propulsiva, questa ultima tornata di nomine potrebbe davvero rappresentare l’inizio di una novità concreta nella valorizzazione della componente femminile dell’imprenditoria e del management. Con un altro punto dubbio, ad avviso di chi scrive, che dovrà essere risolto a tutti i costi dalla politica. Rimane anche un problema di metodo di queste nomine.

In Inghilterra, ci sono un’apposita Authority e un codice che sovrintendono a tutte le nomine pubbliche, non per sottrarle ai ministri cui la legge le affida ma semplicemente per garantire che il metodo di selezione sia al di sopra di ogni sospetto. E si tratta di un metodo semplice e lineare che andrebbe, semplicemente, replicato nel nostro Paese. Merito, imparzialità e trasparenza sono i tre criteri guida cui ogni processo di nomina pubblica deve ispirarsi. Massima pubblicità possibile della selezione in corso per garantire al più alto numero di candidati di partecipare, pubblicazione preventiva dei criteri di selezione e rigore scientifico nella composizione della short list dei candidati tra i quali ai ministri tocca poi procedere alla nomina.

In Italia, con il sistema vigente, tali nomine sembrano sempre e comunque “cadute dall’alto”, senza la possibilità di un’effettiva verifica di trasparenza al di sopra di ogni sospetto. Solo con un metodo cristallino di selezione, tutte le componenti dell’imprenditoria e del management, anche quelle meno note alla politica e alla pubblica opinione, nell’ovvio rispetto delle pari opportunità di genere, potranno aspirare ai ruoli dirigenziali che le loro competenze e la loro esperienza meritano.

 

Ilaria Li Vigni

 

 

 



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