13 luglio 2009

LA MOVIDA TRA CANCELLI, ALCOOL E PRESERVATIVI


 

Meno male che ci sono i farmacisti. Quelli come Ilaria Zavattaro, della farmacia di Corso Sempione 5, che hanno deciso di non chiudere gli occhi. Lì, davanti alla loro vetrina, si muove una fetta consistente di movida milanese. Tutti gli altri, di fronte alla fiumana di giovani che si concentrano in zona tutte le sere e, soprattutto, le notti, hanno reagito in due modi. I gestori di locali, con atteggiamento rapace: prezzi alti, proposte consumistiche, interesse concentrato sulle proprie tasche. I residenti con insofferenza crescente nei confronti del rumore, degli schiamazzi, dei bicchieri e delle lattine lasciate ovunque a testimonianza di notti non indimenticabili.

 

E loro, i farmacisti, cosa hanno fatto? Hanno aperto un dialogo con questi giovani, gli hanno teso la mano, li hanno degnati di un pensiero positivo. Hanno distribuito cinquecento volantini nei locali dell’Arco della Pace per annunciare che nella loro farmacia, dalle 21 all’una di notte avrebbero cominciato a distribuire profilattici gratis, per combattere malattie e virus, per rendere il sesso più sicuro. Un atto semplice, cui nessuno in questa città aveva pensato. Perché, si sa, questa non è una città per giovani. Non è neanche una città per vecchi, se vogliamo dirla tutta. Ma nei confronti dei giovani è particolarmente acida, acrimoniosa, ostile.

 

Certo, quando si tratta di parlarne in astratto, i suoi amministratori usano toni incoraggianti. Perfino la movida diventa un valore di cui vantarsi. Di fatto, Milano mette in mostra tutti i limiti di un sistema che non funziona. Malato fin dalle fondamenta. Anni di licenze commerciali distribuite senza criterio, di mancata pianificazione delle funzioni tipiche di una metropoli, di assenza di strategie per affrontare le dinamiche di una città in crescita hanno generato mostri. I locali frequentabili e frequentati dai giovani si sono concentrati in tre-quattro zone al massimo. Al di fuori di quelle zone c’è il vuoto, la morte civile. La vita culturale della città si è progressivamente impoverita e la sua offerta di stimoli alla popolazione più giovane è andata sempre più affievolendosi. Risultato: le “mode” concentrano un numero inverosimile di giovani negli stessi posti. I Navigli, l’Arco della Pace, via Tortona, Brera vivono notti false, tirate, esasperate, mentre il resto della città (per non parlare delle periferie) sprofonda nella banalità del nulla, o nel disastro di una vita scandita dai ritmi imposti dalla malavita. Si chiama movida anche qui da noi. Ma la nostra è distante anni luce dalla movida di Barcellona, di Madrid, dalle notti felici di metropoli come Parigi. Dove un giovane può divertirsi anche a poco prezzo perché tutta la città gli offre occasioni di divertimento, svago e arricchimento culturale.

 

Qualche isola di resistenza, a dire il vero, negli ultimi anni qualcuno era riuscito a costruirlo. Basti pensare al palinsesto di un piccolo network culturale come quello concentrato in piazza Oberdan, negli anni recenti della gestione di Daniela Benelli, assessore alla Cultura della giunta Penati. Mentre Palazzo Marino rispondeva agli eccessi della movida meneghina con la “filosofia del cancello” portata avanti dal vicesindaco Riccardo Marshall De Corato (ovunque ci sia un problema s’interviene o con i cancelli, come in piazza Vetra, o con le transenne, come in viale Montenero, oppure con le forze dell’ordine), “in Oberdan” si è andati avanti per anni proponendo altro: mostre, dibattiti, concerti, rassegne di film coordinate dalla Cineteca, incontri con i personaggi che hanno fatto grande Milano. Sostanza, cultura. Non c’è stata sera in cui le finestre e le vetrine di Oberdan non abbiano illuminato la città, oltre alle menti e ai cuori di chi l’ha frequentata. Giovani, in maggior parte.

 

Quindi c’è l’alternativa, si direbbe. Sì che c’è, anche se l’elettorato milanese non l’ha premiata: oggi, che anche la giunta di Palazzo Isimbardi si è allineata alle altre di centrodestra, non si sa che fine faranno Spazio Oberdan e gli spazi culturali collegati. Questo è un problema, sul quale sarebbe chiamata a ragionare una sinistra finalmente capace di distogliere il pensiero dal proprio ombelico per lanciarlo un po’ più in là: dove c’è la vita reale. Prima che sia troppo tardi, e che la città anneghi nell’ultimo bicchiere di birra, pagato a caro prezzo. uelli come Ilaria Zavattaro, della farmacia


 



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